INCONTRO TRA POPOLI, CULTURE, RELIGIONI:
ALCUNE SFIDE POSTE AI LAICI SALETTINI IN EUROPA
1. Dopo il secolo breve, caratterizzato dalla società liquida e dalla cultura disancorata, siamo arrivati al secolo della transizione. Sua caratteristica principale: cambiano progressivamente tutti i riferimenti, le prassi consolidate, le certezze. Ogni guadagno fatto non ci protegge più da ciò che potrebbe verificarsi nell’immediato futuro. L’evoluzione di quanto siamo e facciamo diventa imprevedibile e difficilmente governabile, come il mondo di internet
2. Ogni transizione richiede tempo per stabilizzarsi, lascia le persone nell’incertezza che o frena l’iniziativa o spinge ad essere superficiali, modifica in parte le identità perché destabilizza, richiede una forte capacità di mettersi in dialogo con la novità e con la diversità
3. La transizione diventa elemento di crisi che, per l’Europa, si sta declinando su più versanti:
a. lo è dal punto di vista culturale, come ha evidenziato, alcuni anni orsono, il dibattito intorno alle radici cristiane dell’Europa, con tutto l’impegno di Giovanni Paolo II e degli episcopati europei arrivato fino alla richiesta di inserimento nella Carta Comune del nostro continente di questo lemma evocativo. L’Europa è nata in pellegrinaggio e il Cristianesimo è la sua lingua materna, scriveva Goethe. La globalizzazione delle relazioni ha inserito nei nostri contesti nuovi “geni” culturali con l’esito di produrre elementi significativi di meticciato che, mentre rafforzano i nostri cromosomi nativi, portano anche qualche sconcerto. Infatti si scontrano con la chiusura quasi dogmatica, propria di chi non si sente sufficientemente sicuro di sé. È classico l’esempio delle argomentazioni a sfavore delle immigrazioni da altri paesi e culture. Ma, forse, non si è fatta sufficiente attenzione all’inserimento di culture parallele che non dipendono dalle migrazioni, ma da modelli antropologici che si sono insinuati sul tessuto della vecchia cultura europea modificandola
b. lo è dal punto di vista sociale con l’emergere di localismi talora esasperati e con il rischio di frantumazione delle identità nazionali, come Brexit insegna. Identità ed unità nazionale sono temi tra loro strettamente intrecciati che non sono il cuore del discorso, ma contribuiscono a costruirlo. In questo la storia infinita della ricerca delle regole condivise per la creazione di una casa comune europea – storia sempre solo ai nastri di partenza – ci insegna quanto grave sia la crisi identitaria nei nostri paesi
c. lo è dal punto di vista religioso in modo molto eloquente e preoccupante. Non tanto per le conseguenze numeriche, ancora poco modificate, quanto per quelle di contenuto. Quanti cristianesimi ci sono in Europa? Quante forme di essere cattolico ci sono? Ma soprattutto, quanta coscienza di essere popolo di Dio che cammina dietro il suo Signore, per conformare se stessi e la propria esistenza a lui, come spesso richiama il Papa? Quanto Battesimo si vive davvero nella varie vocazioni e quanta appartenenza formale? Quanto la “mia” fede diventa l’ossatura del mio vivere, e quanto invece è semplicemente uno degli ornamenti, necessari ma poco incisivi in me?
4. Conseguenze in buona parte devastanti, tanto da farci ritrovare in una vera era del vuoto che ci sta interpellando con le sue contraddizioni e le sue sfide. Tanto che in qualche caso abbiamo l’impressione di essere giunti alla fine. Vuoto che manifesta in vari modi, tra i quali:
a. l’accentuarsi dell’individualismo dei singoli e dei gruppi, con le varie conseguenze in termini di diritti, doveri, organizzazioni. Il boom economico dei nostri paesi – chi prima e chi poi - ci ha indotti a puntare molto su di noi, sul nostro piccolo gruppo. È entrato in noi il germe del self made man che oggi ci ha messo a giocare in difesa. Così, nel tempo delle crisi, invece di allearci ci stiamo barricando nelle nostre certezze residue. Ma anche la fede si è trasformata in fatto personale, individuale. E la cultura certamente non favorevole ha subito assunto questa prospettiva relegando, di fatto, ogni elemento della fede al solo foro interno. Via dall’agorà pubblica le questioni desunte dalla fede perché questa è cosa del singolo
b. l’emergere della forza del relativismo etico non solo nella vita privata, ma anche in quella pubblica nelle sue varie forme con le conseguenze di “fluidità” che generano incertezza e necessità di adattabilità. Un tema sensibile, questo, e molto delicato perché, in presenza di fragilità identitaria rischia di trasformarsi in dogmatismo, intolleranza, fanatismo. E non pensiamo che lo sia solo per i Musulmani, come abbiamo visto negli ultimi mesi sia rispetto ai migranti, che ai Rom, che alle persone senza dimora. Tutto è relativo, nulla è certo, nulla è vero. È l’accento esagerato sulle possibilità dell’uomo e dell’io che relativizza tutto. È il senso di autonomia assoluta che, ad esempio, un certo modo di vivere la scienza ci ha innestato dentro. È la confusione tra democrazia e forza della maggioranza che rischia di farlo lievitare
c. la sempre più presente doppia morale nella vita delle persone e dei gruppi sociali, che porta ad uno stile basato fondamentalmente sulla menzogna e sulla truffa, una sorta di anti-verità eletta a sistema. Anche nella vita di fede. E tutto aggravato dalla effettiva mancanza del controllo reciproco – in termini morali si parlerebbe di correzione fraterna – dovuta a quel crollo della dimensione comunitaria di cui già si diceva
d. il cambiamento radicale di diversi significati dei fatti propri e comuni dell’esistenza quali quello della relazione interpersonale, o quello del bene comune, come quello della laicità e quello inerente il dialogo. Significati che rimandano davvero alla osservazione che i Padri Conciliari scrissero quasi al termine del Vaticano II: Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti. Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra speranza ed angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo. Questo sfida l’uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta
e. la crisi di senso della vita e, in definitiva, dell’uomo stesso che si pone ed antepone a qualsiasi principio ritenuto primo o ultimo. Crisi che è ben più della identità mancata: si riferisce al perché profondo della vita. Che, se mal affrontata, porta agli esempi si sfida al destino fino all’estremo. Tanto, anche se dovesse finire male, non perderei nulla. Mi sia concesso di insistere su un unico punto. Tra i pericoli che minacciano la cultura contemporanea, il più grave è la crisi di senso e della verità, causa prima di deviazioni morali e di disperazione. Spetta a voi teologi ridare a un mondo che non smette di ispirarvi il desiderio di perseguire la verità, il “gaudium de veritate” che salva e che fa liberi
f. la pluriformità della globalizzazione dei fenomeni, delle culture, delle mobilità, dei mercati, delle idee, con la conseguenza forte della inculturazione in altri livelli geografici e culturali con la necessità di adeguamento non sempre lineare
g. nell’ambito del sacro il prevalere della religione sulla fede che sta portando a forme di appartenenza molto esteriori, che non incidono sulla interiorità ma si accontentano dell’apparato celebrativo, delle questioni legate ai modi più che agli stili, del fattore personale e privato. È un revival del sentire religioso avvertito come necessità ma di natura non coessenziale alla vita della persona: è diventato un elemento solo culturale
5. A fianco e dentro questi elementi in Europa si sono inseriti alcune questioni che fanno declinare la crisi in modo particolare. Eccone alcuni:
a. la fragilità della costruzione della casa comune europea, segno chiaro della poca solidità del progetto unitario e della scarsa volontà di superare i localismi. Tutto ci dice di metterci insieme e, invece, diamo di fatto forza a “ciò che ci divide”. Qualche esempio: la volontà separatista della Scozia, la questione settentrionale in Italia, la Brexit, la lentezza nell’assunzione delle decisioni politiche e amministrative, le rivendicazioni di autonomia degli stati membri, le scaramucce tra polizia spagnola e polizia catalana nei recenti fatti di Barcelona, i veti incrociati di Francia e Germania, …
b. la questione migratoria, punto sensibile e di grande impatto. Da inizio 2017 a giugno sono arrivati rifugiati per oltre 101.000 unità solo considerando coloro che hanno attraversato il Mediterraneo e 2.250 sono morti in mare. 85% di loro arrivati in Italia, gli altri tra Grecia (9.300), Cipro (300) e Spagna (6.500). Una questione che ha messo a nudo le fragilità locali, le paure, le convenienze politiche. Ma si tratta di una questione destinata a modificare profondamente l’Europa. Dentro alla questione c’è un elemento di cui non si parla più, ma che è importante: il movimento interno tra Europa dell’est ed Europa dell’Ovest (in Italia, ad esempio, circa 1 milione)
c. abbastanza legato è il fenomeno degli attacchi ripetuti da parte di varie forme di integralismo di matrice religiosa e culturale. In sintesi, dal 2014: Bruxelles 24 maggio 2014, Joue les Tours 20 dicembre 2014, Parigi 7 gennaio 2015, Nice 3 febbraio 2015, Copenhagen 15 febbraio 2015, Saint Quentin Fallavier 26 giugno 2015, treno Amsterdam Parigi 21 agosto 2015, Parigi 13 novembre 2015, Londra 5 dicembre 2015, Parigi 7 gennaio 2016 (Charlie Hebdo), Bruxelles 22 marzo 2016, Magnanville 13 giugno 2016, Nice 14 luglio 2016 (promenade), Wurzburg (D) 18 luglio 2016, Ansbach (D) 24 luglio 2016, Saint Etienne de Rouvray – Rouen 26 luglio 2016 (parroco), Berlin 19 dicembre 2016, Istanbul 1 gennaio 2017, Londra 22 marzo 2017, San Pietroburgo 3 aprile 2017, Stoccolma, 7 aprile 2017, Manchester 22 maggio 2017, Londra 3 giugno 2017, Parigi 6 giugno 2017, Londra 19 giugno 2017, Parigi 19 giugno 2017, Bruxelles 20 giugno 2017, Amburgo 28 luglio 2017, Barcelona 18 agosto 2017, Cambrils 18 agosto 2017. Ne sta derivando un nuovo assetto anche valoriale nei confronti del modo di percepirsi degli europei: fragilità e vulnerabilità. Che, invece di ricondurre ad una riflessione educativa sta portando alla ricerca spasmodica e non governata di supporti difensivi. C’è il rischio di una involuzione culturale e anche religiosa
d. vi è anche una forte crescita della povertà e dei fenomeni di emarginazione di sempre più larghi strati delle popolazione. Quasi un quarto della popolazione europea vive a rischio povertà o esclusione sociale: un esercito che ha raggiunto quota 118,7 milioni nel 2015, in aumento rispetto ai dati del 2008, anno di inizio della crisi economica (115,9 milioni). Si tratta appunto di quasi un quarto (23,7%) della popolazione dell'Ue, di nuovo ai livelli del 2008. Sono definiti in questa condizione in quanto ricadenti in almeno una delle tre condizioni: a rischio di povertà dal punto di vista reddituale (dopo i trasferimenti sociali), in difficoltà economiche materiali, in nuclei familiari con basso lavoro. Tra i quindici i Paesi dell'Ue dove l'indice di povertà è aumentato in questi anni, l'Italia si trova al quarto posto (+3,2%) dietro a Grecia (+7,6%), Cipro (+5,6%), e Spagna (+4,8%). Complessivamente nella Penisola sono 17,4 milioni gli italiani a rischio povertà o esclusione nel 2015 rispetto ai 15 milioni del 2008. Dall'altro lato della medaglia, i maggiori declini di persone a rischio si sono visti in Polonia (da 30,5 a 23,4%), Romania, Bulgaria e Lettonia
e. è in atto un progressivo abbandono dell’impegno educativo e formativo che sta modificando, abbastanza velocemente, il modo di vedere, intendere e vivere la realtà. È un processo che tende alla marginalizzazione della religione a tutto vantaggio di una vaga spiritualità molto individualista e pochissimo incisiva nella costruzione della società
6. Perché tutte queste sfide – e le tante altre che stanno dentro ad esse – interpellano il laico salettino? Lo interessano anzitutto in quanto laico, ovvero in quanto portatore di una missione specifica nel mondo che lo coinvolge pienamente. Lo interessano perché richiedono un approccio riconciliatore che è tipico del messaggio de La Salette. Lo riguardano perché è proprio dell’atteggiamento di Maria sui monti dell’Isere che:
a. appare sulla terra, luogo della vita e del lavoro della gente, ovvero il mondo
b. appare con le scarpe e con il vestito locale ad indicare un modo specifico di stare in quel mondo
c. appare indicando uno strumento di revisione del già dato: le tenaglie che servono a togliere i chiodi, non a metterli
d. appare piangendo perché vede correttamente a quale stravolgimento del disegno originario di Dio l’uomo sta lavorando, con un atteggiamento di profonda sintonia con il mondo.
Il laico salettino non è ostile al mondo, ma profondamente solidale con esso tanto da scendere laddove è il mondo per portare un messaggio di verità. Scendere nell’Europa di oggi a partire dal terreno dell’accoglienza che è quello al momento non solo più scivoloso, ma anche più interpellante per i cristiani.
Incontro europeo laici salettini
Santiago de Compostela – settembre 2017
ACCOGLIENZA DELL’ALTRO E DEL DIVERSO:
ELEMENTI PER UNA SPIRITUALITÀ DELLA RICONCILIAZIONE
1. Tema centrale e cruciale per la vita di un cristiano oggi: nella capacità di accoglienza si gioca la nostra condizione di esseri umani o il nostro scivolare nella barbarie bestiale che ci attornia. L’impegno della prossimità è il vero antidoto alla globalizzazione della indifferenza
2. Tre tappe della nostra riflessione: le radici bibliche dell’accoglienza, noi e gli stranieri come emblema della diversità da accogliere, lo stile dell’accoglienza cristiana visto con le lenti salettine
3. Prima tappa:
LE RADICI BIBLICHE DELL’ACCOGLIENZA
a. Accoglienza è un programma di vita: ad cum legere (in latino) significa “raccogliere insieme verso”. Camminare insieme per costruire il bene comune è l’imperativo biblico per l’umanità
b. YHWH chiede al suo popolo di amare il prossimo (Lev. 19,18) ma anche amate lo straniero perché anche voi siete stati stranieri in terra di Egitto (Deut. 10,34). La motivazione di questo precetto che chiama all’amore, vertice dell’accoglienza, risiede nel fatto che i credenti sono costitutivamente stranieri. Qualche esempio:
i. 1Pt 2,11: vi esorto come stranieri e pellegrini
ii. Eb 11,13: nella fede morirono … confessando di essere stranieri e pellegrini sulla terra
iii. Fil 3,20: la nostra patria è nei cieli e di la spettiamo come salvatore il Signore Gesù
c. Anche i primi Padri della Chiesa sono dello stesso parere. Lo dice bene la Lettera a Diogneto , ma anche Agostino che scrive: vero cristiano è colui che anche nella sua casa riconosce se stesso come un viandante, uno straniero
d. Se scegliamo di percorrere una strada di chiusura non trasgrediamo ad un elemento periferico della fede ma rovesciamo totalmente la volontà di Gesù. Esattamente come stava capitando a metà del XIX secolo in Francia dove il mio popolo non vuole sottomettersi, dove il giorno del Signore era disatteso, dove la bestemmia la faceva da padrone. Allora il rovesciamento si presentava così. Oggi il grande sintomo è proprio la chiusura. Con gli occhi di Maria dobbiamo cogliere questo segno dei tempi e connetterlo con le sue lacrime di allora
e. Gesù, anzitutto, ci è modello di accoglienza. La sua è una santità ospitale che Luca ben sintetizza così: Gesù accolse le folle, parlava loro del regno di Dio e guariva quanti avevano bisogno di cure . Il suo essere profeta si radica proprio nella disponibilità ad accogliere tutti e ciascuno e di lasciarsi accogliere (come da Marta o da Zaccheo ). Gesù accoglieva tutti, in primo luogo i poveri in quanto primi destinatari del Vangelo. Con alcune specificità:
i. non accoglieva il povero in quanto povero, lo straniero in quanto straniero, il peccatore in quanto peccatore perché avrebbe significato rinchiuderlo in una categoria e ghettizzarlo. Gesù incontrava l’altro in quanto essere umano. Non aveva prevenzioni
ii. si metteva sempre e anzitutto in ascolto dell’altro cercando di percepire cosa gli stava a cuore
iii. in questo modo risvegliava la fiducia e la fede da parte dell’altro (dice la tua fede ti ha salvato e non “io ti ho salvato), attraverso la sua presenza di persona affidabile, accogliente, ospitale
iv. questo è compassione, capacità di arrivare alla comunione passando per la relazione.
Anche la Vergine a La Salette è un modello di accoglienza con Melanie e Maximin. È quello lo stile che ci chiede di avere come suo figli e come persone che si ispirano al suo messaggio. Lasciare avvicinare le persone accogliendole nel cuore in quanto persone e non rendendole categorie.
f. Abbiamo nel Vangelo secondo Matteo un canovaccio che ci guida nell’incontro accogliente dell’altro. Ascoltiamolo:
34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
Nell’ultimo giorno ci sarà lo svelamento della nostra prassi quotidiana che, oggi, spesso mascheriamo. Qui sta la posta in gioco della accoglienza o della non accoglienza. Diamo gloria a Dio con la nostra capacità di accoglierci a vicenda. Nulla di più semplice, nulla di più esigente
4. Seconda tappa:
NOI E GLI STRANIERI, EMBLEMA DELLA DIVERSITÀ DA ACCOGLIERE
a. In virtù di quanto proclamato dal Vangelo per noi discepoli del Signore chiudere la porta ai migranti, ai poveri, agli ultimi vuol dire mettere Cristo fuori dalle nostre vite, dunque non essere più suoi discepoli. Gesù si incontra proprio nella persona dell'altro anche se così diverso. L’alternativa non è tra accoglienza o rifiuto dello straniero ma tra civiltà e barbarie
b. Noi cristiani possiamo contribuire al dibattito sullo straniero con una sola parola: philoxenia, amore per lo xenòs, lo straniero. La parola con cui si apre la storia della salvezza in Abramo è lekh lekhà, esci, vattene . Abramo è sempre straniero e forestiero nella terra di Canaan. Per questo sa bene cosa significa accogliere, diventando il philoxenos per eccellenza (come nel caso dei tre viandanti alle querce di Mamre ). Così facendo, come scrive la lettera agli Ebrei, senza saperlo hanno accolto degli angeli . C’è un versetto della lettera ai Romani che è fortissimo in questo senso. La traduzione in italiano recita siate premurosi nell’ospitalità . Ma in greco si dice “perseguite la philoxenia”. Questo atteggiamento è insito nella nostra natura di cristiani, fa parte della identità cristiana
c. Come possiamo diventare xenofobi se siamo di natura xenofili? Scriveva il teologo Danielou: La civiltà ha fatto un passo decisivo il giorno in cui lo straniero da nemico è divenuto ospite … il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite e in cui lo straniero sarà rivestito di singolare dignità, invece di essere votato alla maledizione, quel giorno si potrà dire che qualcosa sarà cambiato nel mondo
d. È fisiologico che la presenza massiccia di stranieri ci ponga in questione: proprio perché ci manca un terreno comune su cui confrontarci la conseguenza che nasce spontaneamente è la paura. Questa non va ne minimizzata ne derisa, ma presa sul serio e capita. Per fare questo dobbiamo mettere in conto non solo la “mia” paura ma anche – e soprattutto – la “sua” (quella dell’altro). Siamo due paure a confronto. Non basta evocare questioni ideologiche o religiose: va affrontata come presa di coscienza della distanza, della diversità, della non conoscenza e, quindi, della non affidabilità. La paura è paralizzante ma va superata assumendola, non rimuovendola. Va evitato di assolutizzare la identità dell’altro ma anche di assolutizzare la propria identità. Perché altrimenti si dimentica che l’identità – a livello personale e a livello comunitario – si è formata storicamente e si rinnova nell’incontro, nel confronto, nella relazione. L’identità è dinamica, non monolitica ma plurale: è un tessuto di molti colori, fatto di fili intrecciati. L’identità si costruisce ed irrobustisce grazie all’accoglienza dell’altro e della sua alterità. Altrimenti diventiamo socialmente autistici
e. Per vivere davvero l’incontro con l’altro possiamo richiamarci le parole del filosofo Emanuel Levinas: Io sono soltanto nella misura in cui sono responsabile . Incontrare lo straniero e l’altro non significa farsi una immagine della sua situazione, ma porsi come responsabile di lui senza attendersi feed back, fino alla difficile sfida di una relazione asimmetrica, disinteressata e gratuita. Solo così l’incontro diventa incontro con Dio. Ci sono di esempio i monaci trappisti del monastero di Notre Dame de l’Atlas a Thibirine, uccisi nel 1996, che possiamo considerare come gli sponsor spirituali del cammino di incontro cristiano con lo straniero. E in questo senso i laici salettini sono molto interpellati (come vedremo più avanti)
5. Terza tappa:
LO STILE DELL’ACCOGLIENZA CRISTIANA
a. Se accoglienza è tutto questo, come possiamo renderla visibile e vitale oggi? E come lo possiamo fare a partire dalla prospettiva salettina? Proviamo ad identificarne i tratti scandagliando il tesoro del Vangelo nella parabola del Buon Samaritano
i. Siamo all’overture della parabola, con quella domanda essenziale su chi sia il prossimo.
25 Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». 26 Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». 27 Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». 28 E Gesù: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai ».
ii. Primo elemento dell’arte dell’accoglienza: il vedere l’altro, l’accorgersi di lui e del suo bisogno.
30 Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. 32 Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.
Non basta guardare, occorre vedere, essere svegli e vigilanti, restare consapevoli che nel quotidiano dobbiamo non solo incrociare l’altro ma vederlo con uno sguardo che sappia leggerlo nella sua identità. Come non ripensare agli occhi della Vergine a La Salette che vedono, colgono, interpretano e per questo soffrono. Vedere, però, è necessario ma non sufficiente, come ci dice il comportamento del sacerdote e del levita
iii. Secondo elemento dell’arte dell’accoglienza: avvicinarsi all’altro rendendolo mio prossimo. Il Samaritano non ha nessun titolo da vantare, eppure viene indicato come protagonista per indicarci che quando si tratta di vivere l’amore non ci sono etichette che tengano: conta solo lo stare accanto all’uomo. C’è la decisione di farsi vicino: è il vertice teologico ed antropologico dell’insegnamento di Gesù. La vera domanda, allora, è: a chi mi faccio prossimo? Il volto dell’altro mi accenda una responsabilità. E qui sta uno degli elementi più originali del carisma salettino: farsi responsabili. La Vergine chiede proprio questo ai due piccoli pastori
iv. Terzo elemento dell’arte dell’accoglienza: essere preso da viscerale compassione. Dice proprio così il verbo greco, splanchnizomai. Un verbo usato nove volte da Gesù tra cui nel brano del padre misericordioso. Nella prossimità si è feriti dalla sofferenza dell’altro e non si può restare indifferenti. È un moto interiore che ci cambia ci svelano a noi stessi per quello che davvero siamo
v. Quarto elemento dell’arte dell’accoglienza: fare misericordia.
34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.
L’accoglienza umana e cristiana è proprio questo: una chiamata a fare misericordia. Quando si decide di fare si può solo sapere che ah inizio l’arte dell’incontro. Arte che non sappiamo dove ci porterà e che comporta diverse tappe: ascolto, sospensione del giudizio, simpatia, empatia, dialogo, magiare insieme, lasciarsi per poi ritrovarsi, non accampare pretese sull’altro. Si tratta di fare ciò che possiamo fare in modo che si abbia cura dell’altro, che sia coinvolgente altri (l’albergatore nella parabola), che sia bello. Nessun protagonismo della carità, dell’accoglienza ma una carità intelligente, bella libera e liberante
6. Tutto questo ci riporta in modo diretto ad alcune linee del messaggio de La Salette e dello stile di vita che ciascun laico salettino è chiamato a fare proprio. Lo direi così: il vero nome dell’accoglienza cristiana è prossimità.
a. La prossimità è il mandato forte che viene da La Salette. Ed è contenuto in quell’invito forte della Vergine al termine dell’apparizione: Ebbene, figli miei, lo farete conoscere a tutto il mio popolo. Andiamo, figli miei, fatelo conoscere a tutto il mio popolo. Qui c’è insieme l’elemento della responsabilità e quello della prossimità. I salettini sono fondamentalmente fatti per l’accoglienza. Non tanto quella materiale, intesa nel senso comune, ma quella profonda che si fa prossimità all’uomo. E all’umo nella sua quotidianità e nelle sue fatiche, al carrettiere che bestemmia o al contadino che pensa di non avere tempo per andare alla Messa perché troppo attento alle cose che passano. Ancora il salettino oggi ha un compito proprio verso l’accoglienza nelle sue dimensioni concrete verso i migranti. E tale compito non è in prima battuta rivolto ai migranti, ma alla nostra gente – italiani, spagnoli, svizzeri, francesi, tedeschi, polacchi, … - che ha bisogno soprattutto di vedere con occhi diversi, con gli stessi occhi di Maria che scorge i nodi che contano, senza fermarsi alle impressioni che passano. Le lacrime di Maria ci dicono che siamo chiamati a far lavare gli occhi dei fratelli in modo che vedano come vede Dio e si incontrino con il fratello, chiunque esso sia. Siamo chiamati a suscitare le lacrime della nostra gente, non per una forma pietistica che si lascia prendere dalla pena per i guai degli immigrati richiedenti asilo, ma per la comprensione di stare venendo meno alla nostra vocazione umana e cristiana
b. La prossimità apre il salettino a diventare attore di riconciliazione. Tutte le cose dette ci rendono certi che, specie sulla questione migratoria di oggi, serve con urgenza un percorso forte e sincero di riconciliazione. Tra migranti e nativi, tra migranti e migranti, tra nativi e nativi, tra paese e paese. Ma, prima di tutto, tra persona e Dio. Senza questa profonda riconciliazione interiore ogni tentativo di guardare all’altro in modo divino rischia di infrangersi sulle rocce del nostro egoismo. Il salettino non può restare a guardare: deve diventare riconciliatore delle prospettive, concretamente. Lo deve fare con la parola, ma anche mettendo in gioco se stesso per primo con segni chiari di dialogo e di accoglienza intelligente . Per questo deve anzitutto sottoporsi ad un tirocinio personale di incontro con l’altro, per poi farsi capace di dire la verità sulle cose (e anche sui migranti). In questo percorso può attuare la missione ricevuta dalla Vergine e dire appunto quanto Dio vede.
A cura di
Pierluigi DOVIS
Direttore
Caritas Diocesana Torino