Una storia da raccontare

Agosto 2021

Raccontare fa ardere il cuore

L’arte di narrare storie esiste dagli albori della civiltà umana. Narrare storie per educare e intrattenere è un’arte antica presente in ogni cultura. Le storie hanno plasmato le visioni del mondo e i valori di ogni civiltà.

Non è un caso che ancora oggi, molti dei più conosciuti speakers motivazionali continuino a sottolineare la rilevanza e l’importanza del saper narrare storie come parte essenziale di una comunicazione verbale efficace e coinvolgente.

Tutti noi, almeno una volta, abbiamo sperimentato il potere evocativo di “buone storie”. Le “buone storie” mantengono desta la nostra attenzione, stimolano le nostre emozioni e i nostri sentimenti, ci aiutano a ricordare e, quando ci coinvolgono in prima persona, finiamo per condividerle. Giustamente, il poeta americano, romanziere, drammaturgo, saggista e professore d’inglese alla Duke University, Edward Reynold Price (1 febbraio 1933 – 20 gennaio 2011), ha affermato che “il suono della storia è il suono dominante delle nostre vite”.

Le storie impregnano l’intera Bibbia e sono il fondamento dello stile di comunicazione di Gesù. Sia che camminasse per le strade della Galilea con i suoi discepoli o predicasse alle folle, Gesù di Nazareth predicava e condivideva il suo messaggio attraverso “l’arte del racconto”. Non è una coincidenza che Matteo ci ricordi che la narrazione era la tecnica preferita di Gesù quando parlava alle folle (vedere Mt 13,34). Sì, Gesù sembra essere un abile story-teller. È interessante notare che quando fu chiesto al noto scrittore americano Mark Taiwan chi fosse il più grande story-teller della storia, egli abbia risposto Gesù di Nazareth.

Non solo Gesù ha fatto un grande uso dell’“arte del racconto” per parlare del Padre e del Suo Regno, ma ha anche utilizzato un linguaggio scevro e semplice richiamando costantemente l’attenzione a realtà ordinarie e quotidiane, quali per esempio uccelli, fiori, monete perdute e molti altri oggetti ordinari con cui le persone del suo tempo (sacerdoti, farisei, dottori della legge, pescatori, agricoltori, etc.) potevano facilmente entrare in relazione.

Con le sue storie penetranti Gesù è stato in grado di catturare l’attenzione del suo pubblico, ispirare la loro immaginazione e comunicare un messaggio convincente, capace di trasformare e cambiare vite intere. Con la sua “arte narrativa” Gesù ha saputo rivelare il volto misericordioso del Padre e toccare le corde più profonde di quanti lo ascoltavano. Non è pertanto un caso che molti di coloro che hanno ascoltato le sue storie hanno poi deciso di seguirlo, diventando parte della sua storia. Di generazione in generazione, seguendo l’esempio del Maestro, i suoi discepoli hanno raccontato, proclamato e predicato la Buona Novella, la storia della bontà e della misericordia di Dio incarnata in Gesù il Cristo.

Le ultime parole di Gesù al Geraseno “Torna a casa tua e racconta quello che Dio ha fatto per te” (Lc 8,39) incoraggiarono l’ex-indemoniato ad andarsene e proclamare in tutta la città ciò che Gesù aveva fatto per lui. A La Salette, la “Bella Signora” ha investito i due pastorelli, Massimino e Melania, con la missione di raccontare la storia del loro incontro con Lei. Anche questa storia, come quella del Figlio, è stata tramandata di generazione in generazione. Entrambe le storie hanno trasformato una grande moltitudine di uomini e donne. E noi, Missionari di Nostra Signora di La Salette, siamo i beneficiari di entrambe le storie: non per custodirle gelosamente, ma per raccontarle e farle risuonare nella vita ordinaria dei fratelli e delle sorelle che incontriamo lungo il nostro pellegrinaggio terreno verso la Gerusalemme celeste. Oggi come ieri, sia la Chiesa che il mondo hanno bisogno di sentire raccontate entrambe le storie. E tanto la Chiesa che il mondo hanno bisogno di ascoltarle raccontate proprio da coloro che sono stati trasformati personalmente, sia dal Figlio che dalla Madre.

Maria racconta di suo Figlio

Se i veggenti avevano il dovere di trasmettere la gloriosa apparizione agli abitanti delle vicinanze di Corps, la preoccupazione di Maria, madre del divino redentore, è ricordare alla Chiesa il suo dovere di essere messaggera della Buona Novella della salvezza. Pertanto, l’interesse della Signora in lacrime non è tanto l’esaltazione del suo nome, anche se merita questo onore. La Madre della Chiesa appare per ricordarci la sottomissione come premessa fondamentale per meritare le grazie che suo Figlio ci ha lasciato in eredità attraverso il suo abbassamento alla condizione umana che è culminato nello spargimento del suo sangue sulla croce.

L’apparizione di Maria a La Salette non è fine a se stessa; Maria intende risvegliare a tutti i battezzati, a cominciare da coloro che hanno maggiori responsabilità nella Chiesa, l’urgenza di annunciare il mistero del suo Figlio morto e risorto. Non si mette al centro del suo messaggio. Lo scopo della sua gloriosa apparizione, come ha già fatto durante le nozze a Cana, è quello di chiedere obbedienza a suo Figlio: “Fate tutto quello che vi dirà” (Gv 2,5).

Nel 2001 Giovanni Paolo II, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale Missionaria, incoraggiò il popolo di Dio a mettersi in cammino per portare il Vangelo di Gesù a tutti i popoli. Quale storia, dunque, raccontare? Il crocifisso luminoso che Maria porta risponde esattamente a questa domanda, poiché è ciò che ha attirato maggiormente l’attenzione di Massimino e Melania a causa della luce emanava da lei. Questo mostra e conferma il grido missionario di Paolo quando dice che “mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso” (1Cor 1,22–23). È questa la storia-messaggio da raccontare fino all’ultima venuta di Cristo. Perché questa “grande avventura di evangelizzazione” sia effettiva, Giovanni Paolo II propone nuovi metodi, nuovi modelli e nuovi paradigmi. L’importante di questa missione comune a tutti è rendere presente la grazia del nostro Signore Gesù Cristo nella vita dei nostri fratelli e sorelle.

Fare memoria ci rende capaci di camminare vero un domani

Nella sua ultima raccomandazione rivolta ai veggenti a La Salette, ripetuta due volte nella lingua francese, Maria ha chiesto loro di comunicare «ciò» a tutto il Suo popolo (precisamente: «Eh bien, mes enfants, vous le ferez passer à tout mon peuple»). Quel “ciò” che per 175 anni veniva trasmesso, è contenuto nell’intero evento La Salette. Qui contano i dettagli : il Paese, nel quale l’apparizione è avvenuta (la Francia del XIX secolo); il luogo dell’apparizione (un villaggio nelle Alpi); il tempo (circa le 15.00 di sabato 19 settembre 1846); il tempo dopo i primi vespri della festa liturgica della Madonna Addolorata (celebrata nella III Domenica di settembre[1]); l’abito della Bella Signora, modellato su quello indossato dalle contadine della regione di La Salette, ed altri elementi dell’abbigliamento (il crocifisso con Gesù[2], le tenaglie e il martello[3], le due catene[4], le rose variopinte); poi la tristezza, il volto nascosto, le lacrime, il modo in cui Maria si comportava e si muoveva alla presenza dei ragazzi. Ma anche il Messaggio stesso e le due lingue, nelle quali esso era comunicato, la sorgente che era emersa ed era sempre attiva nel luogo, dove era apparsa la sfera di luce con la persona della Madonna seduta dentro, e infine il fatto che ambedue i ragazzi abbiano ricevuto segreti, di cui non hanno parlato nemmeno tra di loro.

Tutti questi elementi ci sono noti. Ne parliamo in ogni occasione possibile. Finché esiste la basilica della Beata Vergine Maria sul monte nei pressi del villaggio La Salette in Francia, e finché esiste la Congregazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, sarà in vigore la continuità e l’attualità del messaggio della Bella Signora, comunicato a Melania e Massimino. La trasmissione del racconto su questo evento suppone una continuazione fino alla fine dei tempi, ma potrebbe essere terminata prima, se gli uomini si convertissero e con la loro condotta rendessero inutile il richiamo della Signora Piangente alla conversione e penitenza.

I veri figli spirituali della Madonna sicuramente considerano la conversione dell’umanità ai sentieri della Divina Volontà più rilevante dell’esistenza della Basilica della Madonna di La Salette e della stessa Congregazione dei Missionari di La Salette.

Un elemento rimane ancora irrisolto ed è oggetto di inutili polemiche: quale è la portata dei segreti affidati a Melania e Massimino?[5]

L’affidamento dei segreti costituisce un elemento importante nella trasmissione del racconto sull’evento a La Salette. Essi sono una garanzia che l’incontro aveva il carattere di mistero e quindi richiede rispetto. Non cerchiamo di scoprirne il contenuto, ma raccontando l’Apparizione accenniamo sempre alla loro esistenza, riconoscendo umilmente la nostra ignoranza circa il loro contenuto.

Flavio Gillio MS

Eusébio Kangupe MS

Karol Porczak MS



[1] La festa fu introdotta prima dai serviti. Dal 1667 cominciò a diffondersi in alcune diocesi. Papa Pio VII (1800-1823) nel 1814 la estese a tutta la Chiesa e assegnò la terza domenica di settembre come il giorno della festa. Poi Papa Pio X (1903-1914) la stabilì per il 15 settembre e in questa data è celebrata fino ad oggi.

[2] È da quel crocifisso che veniva la luce che formava tutta la figura di Maria, mentre Gesù stesso era vivo sulla croce, ma – come hanno detto i ragazzi – era ormai in agonia. Non aveva ancora la ferita nel costato destro, aperta con la lancia solo dopo la Sua morte.

[3] Questi strumenti si trovavano SOTTO le braccia della croce di Maria, e non SULLE sue braccia, come invece viene rappresentato nel nostro crocifisso missionario. Non si tratta di un problema tecnico, relativo al modo di fissarli, ma il loro posizionamento ha un valore simbolico.

[4] Una catena grossa con grandi anelli era appesa sulle spalle della Bella Signora, invece quello più piccolo sosteneva il crocifisso sul Suo petto.

[5] Sappiamo che nei commenti dei bambini circa la visione della Bella Signora era emerso un piccolo incidente, il quale conferma il fatto che nel momento, in cui ascoltavano i segreti, i bambini non erano né in estasi, né sordi. Quando Massimino ascoltava attentamente la Bella Signora, Melania non la udiva, ma in quel momento non dava segni di noia o impazienza. Essa aspettava con pazienza, non sentendo alcuna voce. Poi i ruoli si invertirono: quando Melania ascoltava la Bella Signora che le affidava i segreti, Massimino non sentiva la voce di Maria. Era annoiato e cominciò a lanciare piccoli sassi in direzione della Madonna, colpendoli con un bastoncino. Se fosse stato sordo, subito avrebbe notato che i sassi non facevano alcun rumore. Poi, davanti a Melania che lo rimproverava, si giustificava dicendo che nessun sasso toccò la Bella Signora. Sembra che Melania, e anche Massimino, ascoltando Maria siano stati sempre ben consci di quello che succedeva attorno a loro, non erano in estasi.

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Ve lo dirò diversamente…

Luglio 2021

Annunciare Cristo nella libertà e in mezzo alle diversità

Se c’è un testo che per eccellenza esprime lo spirito missionario dal punto di vista del Nuovo Testamento, questo testo è la Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi, capitolo 9, versetti 1923, in cui Paolo scrive: “Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io”.

In questo brano Paolo dà alla sua opera di evangelizzazione un chiaro carattere cattolico universale. In questi versetti Paolo svela anche tre importanti elementi che supportano un approccio così universalistico al suo ministero. Primo: l’opera di evangelizzazione di Paolo è universale perché l’evangelizzatore è libero, come affermato nella prima parte del versetto 19: “Infatti, pur essendo libero da tutti, […]”. Secondo: l’opera di evangelizzazione di Paolo è senza “confini” perché l’evangelizzatore trova la sua motivazione nel Vangelo: “Ma tutto io faccio per il Vangelo […]” (v. 23). In terzo luogo, l’opera di evangelizzazione di Paolo è universale perché l’evangelizzatore ha un solo obiettivo, cioè “[…] salvare a ogni costo qualcuno” (v. 22). Questi tre elementi spiegano sia il “perché” che il “come” Paolo fu in grado di farsi “[…] tutto per tutti […]”. Ecco perché, ad esempio, durante il suo soggiorno ad Atene, Paolo discute nella sinagoga “[…] con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava” (At 17,17) e pure nell’Areopago (At 17,22). Bastano questi pochi passaggi per mostrare il grande approccio pastorale “cattolico” che ha ispirato e guidato il ministero e l’opera di evangelizzazione di Paolo. Sembra che, per Paolo, non ci fossero situazioni “adatte” e “non adatte”; o persone “adatte” e inadatte” per predicare la Buona Novella. Ogni situazione e ogni categoria di persone erano, potenzialmente, la “situazione giusta” e le “persone giuste” per proclamare il “[…] Vangelo di Gesù il Cristo […]” (Mc 1,1).

Nonostante quello che potremmo pensare, Paolo non fu il primo a incarnare e dare vita a questo modo di diffondere la Buona Novella.Prima di lui, Gesù di Nazareth fece lo stesso.Prima di Paolo, Colui che fu l “Apostolo” del Padre si accostò alla sua missione con lo stesso atteggiamento.Infatti, durante il suo ministero pubblico Gesù di Nazareth, mosso da un “fuoco ardente” sia per il Regno di Dio che per “le cose del Padre”, annunciò la Buona Novella sia agli uomini che alle donne;sia ai Farisei che ai Sadducei;ai ricchi quanto ai poveri e agli emarginati di quel tempo; tanto ai pii Giudei che ai Samaritani e ai Gentili.Il ministero di Gesù non conobbe né limiti religiosi o culturali, né confini etnici o sociali.Il suo appassionato coinvolgimento nella missione affidatagli dal Padre lo rese un predicatore, un maestro e un redentore estremamente libero.

È interessante notare che possiamo trovare lo stesso spirito nell’Apparizione di Nostra Signora di La Salette.Infatti, questo è suggerito, ad esempio, dagli abiti indossati dalla Bella Signora di La Salette quando apparve ai due pastorelli, Massimino e Melania.I ricordi dei due bambini ci raccontano che Maria, a La Salette, era vestita come si vestivano le donne ordinarie dell’epoca nella zona del piccolo villaggio di La Salette.Lo stesso si può dire di quando Maria passò dal francese al patois, il dialetto parlato dalla gente comune di quella zona geografica a quel tempo.

Gesù di Nazareth, San Paolo e la Bella Signora de La Salette: tre esempi stimolanti che ci invitano e ci ispirano a vivere nei nostri ministeri, e al di là delle nostre preferenze o ideologie, la “cattolicità” della missione che la Madre, attraverso il Figlio,ha affidato a ciascuno di noi. 

Il linguaggio dell’amore

È per amore che Gesù ha assunto su di sé la nostra condizione umana, anche se questo magnifico atto gli costerà un’estrema sofferenza al punto da gridare “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” 

“Vi dirò in un altro modo” che tocca molto bene l’evangelizzazione come missione primordiale della Chiesa, poiché essa è la continuazione dell’azione salvifica di Cristo. Il messaggio cristiano si è inserito nel linguaggio di tutti i popoli in modo tale da soppiantare persino le culture! È come dire che tutte le culture si lasciano illuminare dall’autorità di Cristo come denominatore comune: “Non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” che il nome di Gesù. 

Il pontificato di Giovanni XXIII assume l’aggiornamento della Chiesa dando continuità al movimento di rinnovamento liturgico, teologico, biblico, pastorale e sociale, alla ricerca di una nuova posizione in sintonia con il grande desiderio della Madre di Dio di far comprendere sempre di più il messaggio del suo Figlio.

San Giovanni Paolo II, nella sua enciclica, Redemptoris missio propose, per la prima volta, l’espressione “nuova evangelizzazione”. Questo non nasce perché è emerso ed è stato istituito un nuovo dicastero nella Santa Sede, ma piuttosto una provocazione alla Chiesa a riconoscere l’urgenza e la necessità dell’evangelizzazione come missione della Chiesa stessa, che va avanti da duemila anni, che deve comunque trovare un linguaggio nuovo, avere nuovi stili di vita, fatti anche di profonda identità, ma anche di rispetto. Perciò, il santo del nostro tempo ha inteso risvegliarci a un nuovo linguaggio nell’annuncio della fede di sempre, e da noi è inteso che Maria, non volendo cambiare la direzione della Chiesa di suo Figlio, vuole solo ricordarci il nostro dovere di sempre che è, prima di tutto, la nostra sottomissione a Dio. Ve lo dirò diversamente, non è altro che rendere esplicita la verità permanente ed eterna, cioè il mistero di Gesù morto e risorto, causa della nostra salvezza. Ve lo dirò diversamente” è, come dice il cardinale Tagle, accettare l’attuale sfida di discernere come presentare il Vangelo, che è sempre lo stesso, in un mondo che cambia. 

Nell’annuncio della Buona Novella della salvezza deve essere sottinteso il linguaggio che non ha confini, il linguaggio dell’amore la cui eredità Gesù ci ha lasciato nell’ultimo momento della sua vita in questo mondo deve essere sottinteso: “Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12). L’annuncio evangelico in questi giorni, il linguaggio meglio compreso dall’umanità di oggi è quello dell’amore che è l’amore materno di Maria in lacrime ai piedi della croce e a La Salette, non quello delle grandi spiegazioni teologiche.

È per amore che Gesù è venuto nel mondo; è per amore che Maria rimane premurosa verso di noi ed è per amore che noi, missionari di La Salette, accettiamo la sfida della missione evangelizzatrice della Chiesa.

La Salette – comunicazione di sensibilità che va oltre la lingua e la cultura

La storia ha attribuito alla nostra Congregazione il carattere missionario. Dopo 175 anni dall’apparizione a La Salette sappiamo che il nostro compito è quello di evangelizzare il mondo nello spirito del Messaggio consegnatoci dalla Bella Signora. Questo comporta la necessità di aprirci ad altre lingue e culture, nelle quali ci troviamo a lavorare. Ne è responsabile tutta la Congregazione e non solo le singole Province ancorate in un’unica cultura e lingua.

Ci fa riflettere il fatto che Maria, parlando con Melania e Massimino, usi due lingue. Il francese è la lingua dello Stato che la tradizione ha soprannominato la Prima Figlia della Chiesa. In questa lingua Maria ha consegnato le sue raccomandazioni più impellenti, riguardanti l’Eucaristia e il rispetto dovuto al Figlio. Quando invece parla dei prosaici problemi della regione di La Salette, inizia a usare il dialetto che perfino i bambini capiscono. La perplessità di Melania costringe Maria a revisionare il metodo della comunicazione e renderlo più accessibile. In questo modo conquista non solo i mediatori della comunicazione del Messaggio, ma anche gli ascoltatori che La capiscono.

Dobbiamo ricordare che molto spesso, e non solo oggi, in alcune situazioni bisogna «iniziare a parlare diversamente». Questa è riconciliazione: l’iniziativa sta dalla parte di chi sa che l’altro ha qualche cosa contro di lui. Sono io che devo cominciare a parlare diversamente, anche se qualcuno mi vede in cattiva luce. Pure Gesù parla della necessità di un cambiamento di atteggiamento, e nelle modalità comunicative: «Se dunque tu presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23–24). Se vogliamo riconciliarci con i nostri simili, niente è più utile che cambiare tono, modalità di interazione, ma prima di tutto modificare la narrazione, cioè passare da una narrazione accusatoria e giudicatoria a quella che esprime la richiesta di perdono e di riconciliazione. Questo è ormai un altro linguaggio: quello dell’amore e della misericordia. E Dio parla proprio questo linguaggio. Questo compito è difficile per noi, ma siamo incessantemente aiutati dall’amore e dalla grazia di Gesù, quindi è possibile realizzarlo.

Dobbiamo assumere l’atteggiamento degli Apostoli Paolo e Barnaba, di cui gli Atti degli Apostoli dicono che a Listra, Iconio e Antiochia [oggi Turchia centrale] «rianimavano i discepoli e li esortavano a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22). Una curiosità riguardante quella regione: i loro abitanti parlavano un dialetto proprio, quello licaonio (cfr. At 14,11).

E così Maria, dopo aver comunicato ai ragazzi le sue riflessioni personali in dialetto, passa di nuovo alla lingua francese e dice: «Fatelo conoscere a tutto il mio popolo». Lo ripete due volte, quindi in questa raccomandazione è contenuta anche quella frase da comunicare: «Voi non capite il francese. Allora ve lo dirò diversamente». Dobbiamo trasmettere l’intero Messaggio, con tutti gli elementi contenuti in esso. Qui non si tratta di un semplice accenno o una parentesi fatta da Maria. Anzi, la frase: «lo dirò diversamente» è un esempio dell’uso della lingua derivante non dall’esperienza di questo mondo, ma dall’esperienza del Cielo che è nostra vera patria. Là vale solo l’intimità del cuore e la sensibilità della mente nell’amore e nella riconciliazione, e la gente di ogni tempo e cultura si aspetta proprio quella lingua, perché da sempre ha sete di amore ed è toccata da una crisi profonda di fede e di identità.

Flavio Gillio MS

Eusébio Kangupe MS

Karol Porczak MS

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Sinodalità: un cammino di vita e di missione ecclesiale

Giugno 2021

Seguire Cristo per diventare apostolo

La parola italiana sinodo deriva da una parola composta greca. Letteralmente, deriva dal Greco “syn” che significa “insieme” e “hodos” che significa “via”, “strada”, “sentiero”, quindi viaggiare insieme, camminare insieme.

Quando guardiamo a come si svolge e si sviluppa il ministero di Gesù, questa dimensione di “sinodalità” è molto presente. E non solo perché lungo la strada il carisma di Gesù, incarnato in ciò che ha insegnato e fatto, ha attratto a lui molte persone, ma anche perché lo stesso Gesù non ha vissuto da solo la sua chiamata e missione.

Durante il suo ministero pubblico, Gesù non si dedica solo a compiere la missione che il Padre gli ha affidato; lo si vede anche impegnato nella formazione di una comunità di seguaci che avrebbe poi continuato la sua stessa missione, una volta asceso al Padre.

L’importanza di questa dimensione nel ministero di Gesù è testimoniata dal fatto che una delle prime cose che Gesù fa all’inizio del suo ministero pubblico è chiamare i suoi primi discepoli (vedi ad esempio Mt 4,18–22, Mc 3,16–19 e Lc 5,1–11). La chiamata dei discepoli è uno dei momenti chiave del ministero di Gesù.

Inoltre, il Vangelo di Marco ci fa anche conoscere il triplice obiettivo della scelta di Gesù di chiamare alcuni a seguirlo stabilmente. Nel capitolo 3, ai versetti 14 e 15, Marco scrive: «Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni».

Ciò che è bello notare è il processo di crescita e trasformazione che i primi seguaci di Gesù sperimentarono mentre camminavano “con” e “dietro” il loro Maestro di Nazareth. Una tale crescita è molto chiara dal modo in cui i Vangeli si riferiscono a quelli che siamo abituati a chiamare i “Dodici Apostoli”. In effetti, all’inizio, sono identificati semplicemente con i loro nomi (Mt 4,18.21; Mc 3,16–19), o con le loro professioni (Mt 4,18.21), o con i loro legami familiari (Mt 4,18.21; Mc 3,17–18). Ad un certo punto, dopo aver trascorso un tempo sufficiente con Gesù, i Vangeli si riferiscono a loro come discepoli. Infine, al momento della “Grande Commissione”, sono anche designati come Apostoli.

Oltre a predicare la Buona Novella del Regno di Dio, Gesù si preoccupò anche di formare coloro che avrebbero poi continuato la sua opera di evangelizzazione. Da quanto possiamo attestare dai Vangeli, Gesù non ha considerato la missione che il Padre gli aveva affidato un tesoro “personale” o un privilegio. Al contrario, ha condiviso la sua visione e la sua esperienza del Padre con coloro che sarebbero stati responsabili della vita della primissima Chiesa. Il modo in cui Gesù ha condotto il suo ministero ha dato inizio a una sorta di “effetto domino”: uomini comuni sono chiamati a seguirlo e diventano discepoli e, infine, il discepolato sotto la cura di Gesù li trasforma in apostoli che faranno altri discepoli.

Questa dinamica è anche ben attestata nel Libro degli Atti degli Apostoli e in alcune lettere di San Paolo. Due eventi del Libro degli Atti degli Apostoli possono ben illustrare questa “sinodalità” della Chiesa primitiva. Il primo è At 6,1–7 e il secondo At 15. In Atti 6, per far fronte a un bisogno concreto di prendersi cura delle vedove trascurate nella distribuzione del cibo, i dodici riuniscono tutti i discepoli con il proposito di scegliere sette uomini tra loro noti per essere pieni di Spirito Santo e sapienza. Una volta formulata la proposta, il testo dice che piacque “a tutto il gruppo”.

Il secondo passo che illustra questa sinodalità della Chiesa primitiva è At 15, noto anche come Concilio di Gerusalemme. Il testo ci fa sapere che per risolvere la questione sull’eventuale circoncisione dei Gentili, Paolo e Barnaba sono inviati a Gerusalemme per incontrare gli Apostoli e gli Anziani (At 15,2).

Il fatto che Maria, a La Salette, poco prima di scomparire, abbia affidato a Massimino e a Melania la missione di far conoscere il suo messaggio a tutto il suo popolo, riflette questa dinamica. Ai piedi della Bella Signora di La Salette, Massimino e Melania diventano suoi discepoli. Una volta scomparsa, iniziano ad essere “missionari-discepoli”. Maria li include e li lascia prendere parte alla missione del Figlio. Inizia, così un nuovo effetto domino che alla fine avrebbe portato alla nascita e alla crescita dei Missionari di Nostra Signora de La Salette. E noi siamo parte di questo effetto domino!

Preghiera rende possibile il camminare insieme

“Ecco tua madre” (Gv 19,27) è stato l’ultimo desiderio di Gesù mentre giaceva sull’albero della croce. In queste parole Gesù implica che sua madre dovrà essere presa in considerazione nella comunità che si riunirà in suo nome, cioè la Chiesa. Fin dai primi momenti dell’emergere della Chiesa, infatti, la presenza di Maria è stata più che nota nel suo ruolo di prima discepola, che si è riservata la missione di aprire il tesoro del suo cuore per condividere le intenzioni più profonde del suo Figlio.

I discepoli, insieme a Maria, “avevano un solo cuore e una sola anima” (At 4,32) e insieme hanno percorso la vita di Gesù come unica via che conduce al Padre. Infatti, nella vita e nella missione la sinodalità è quella di avere Gesù come via, per camminare insieme su questa strada e per sentire insieme le implicazioni della missione della Chiesa nel mondo.

Quando nel suo messaggio la bella Signora chiede ai due veggenti se le loro preghiere sono ben fatte, questa domanda è rivolta a tutti nell’oggi della nostra storia perché la nostra identità cristiana è legata al tronco che è Cristo, il divino Maestro che ha lasciato questa pratica come luogo e momento privilegiato per la sua presenza. La Chiesa in duemila anni ha sempre considerato la preghiera come il grande tesoro delle grazie, l’incontro della creatura con il suo Creatore segnato nell’intimità dei cuori. Per questo motivo, più che un semplice richiamo, il messaggio di La Salette è una scuola aperta per noi per rivedere i nostri obblighi e doveri come amati figli di Dio. 

A La Salette Maria non viene con altre novità in temi di messaggio perché con la Madre di Dio l’antica verità diventa nuova e nel contesto dell’apparizione c’è l’invito ad ascoltare il messaggio del suo Figlio, cioè l’invito veemente che porta il cambiamento della vita. Quindi si può dire che il discorso della Bella Signora è ispirato dal Vangelo. 

Sinodalità come cammino è sempre stato presente da quando la prima comunità ecclesiale riceve da Cristo risorto la missione di annunciare la Buona Novella ad essere predicata a tutti i confini della terra. Al centro della sua predicazione c’era e ci sarà per sempre il kérygma, cioè l’annuncio di Gesù morto e risorto per la vita del mondo. Senza illusioni, Paolo ci lascia ben impresso il nostro dovere di predicare Gesù Cristo crocifisso. 

Infatti, non si può concepire la Chiesa senza la centralità della croce. Dai pionieri dell’evangelizzazione apprendiamo che la croce è la glorificazione di Dio e del Figlio di Dio; è la vittoria su Satana e su tutti i poteri del mondo; è la prova della forza di Dio nella debolezza del brivido; crea pace tra Dio e gli uomini e nuova unità tra i popoli. 

Il fatto che la luminosità della croce portata da Maria abbia attirato fortemente l’attenzione di Massimino e Melania significa che la fedeltà a Cristo crocifisso deve essere per noi ogni giorno un compito. 

Strettamente legato alla Croce è il centro di tutta la vita cristiana, l’Eucaristia. Nutre il cammino sinodale della Chiesa. Senza di essa non saremo nulla in questo mondo incerto.

In questo cammino missionario è preponderante l’azione dello Spirito, poiché è lui che sostiene la sinodalità della Chiesa e manifesta tra i fedeli, come sottolinea giustamente il Lumen Gentium, il dono di pari dignità dei battezzati, cioè la vocazione universale alla santità; la partecipazione di tutti i fedeli all’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo; la ricchezza di doni gerarchici e carismatici; la vita e la missione di ogni Chiesa locale.

Come famiglia salettina, e seguendo le orme dei primi missionari de La Salette, sentiamo la sinodalità nella misura in cui prendiamo insieme il carisma della riconciliazione.

Maria via di incontro, di ascolto e di preghiera…

Radunati nel Cenacolo, gli apostoli, Maria e i discepoli si trovavano insieme, pregando. Nelle loro parole e nei loro pensieri dominavano sicuramente gli straordinari eventi degli ultimi giorni che riguardavano Gesù. La sua vita, la passione, la crocifissione e la morte suscitavano tristezza e commozione. Ma le sue apparizioni dopo la morte, come Signore Risorto, suscitavano speranza e consolazione. Quando scese lo Spirito Santo, la loro identità fu cambiata: diventarono una Chiesa, alla quale Cristo affidò l’evangelizzazione di tutto il mondo. La Madre del Signore fu presente con loro a Gerusalemme, e poi rimase legata alla Chiesa fino alla sua Assunzione al Cielo, tra l’altro ad Efeso, e dopo l’Assunzione restò accanto al Figlio e intercedette per noi dal Cielo.

A La Salette dimostra la sua cura per la Chiesa, e approfittando del ruolo della Regina del Cielo, richiama, tramite i ragazzi, ai valori che costituiscono la Chiesa.

Prima di tutto sottolinea il ruolo dell’Eucaristia. Essa viene trascurata dalla maggior parte degli uomini e disattesa come luogo dell’incontro ravvicinato con Dio. Partecipano ad essa solo le vecchiette, invece gli uomini lavorano la domenica, non distinguendola dagli altri giorni della settimana. Fino alla fine del mondo non ci sarà una migliore possibilità di incontrare il Signore, se non ricevendo il Suo Corpo e Sangue tra le preghiere e i ringraziamenti. Il nostro atteggiamento, invece, mostra che cerchiamo qualcos’altro e non ci aspettiamo niente da Dio, immersi come siamo nei problemi di questo mondo.

Inoltre, Maria chiede ai veggenti, come essi pregano. La loro sincera risposta, cioè che non se la cavano molto a pregare, spinge Maria a raccomandargli che la preghiera è necessaria, in particolare la mattina e la sera. La preghiera alla mattina esprime la speranza di vivere il nuovo giorno secondo Dio. Quella serale è un’occasione per rivedere la giornata passata, alla luce dei comandamenti. Conoscendoci bene, Maria richiede almeno due orazioni: un Padre nostro e un’Ave Maria. La prima ci è stata insegnata da Gesù, su richiesta dei discepoli, l’altra ci ricorda l’annunzio che l’Arcangelo Gabriele fece a Maria, rivelando la sua elezione ad essere Madre del Figlio di Dio. Per ogni uomo esse costituiscono il minimo assoluto di quello che ci viene chiesto di sapere riguardo ai modelli di preghiera.

Un’altra cosa ricordata dalla Bella Signora, sono i fatti della vita quotidiana che confermano il legame indissolubile che esiste tra il nostro comportamento e la condizione del nostro ambiente: i raccolti guastati, la fame, le malattie, la morte dei bambini, la penitenza senza fuga e la sofferenza. Tutto questo richiede un riferimento a Dio, il che mantiene questo mondo in esistenza. Noi – sono le parole di Maria – non ci facciamo caso. Ella ci ammonisce, esprimendo così la sua cura per noi, affinché noi non incolpiamo Dio per i danni e le sofferenze nel mondo, ma noi stessi. Siamo stati noi ad attivare la corruzione del mondo, e solo da noi dipende quale sarà il mondo nel futuro.

Alla fine Maria mostra come Dio è consapevole di tutto ciò che turba i nostri pensieri e cuori, e ricorda a Massimino un fatto personale legato a suo padre, che egli aveva già dimenticato. Dio è sempre presente accanto a noi, niente sfugge alla sua attenzione e nessuno Gli è indifferente.

Questi fatti indicano che Maria ben conosce la situazione nel mondo e, tramite i testimoni della Sua apparizione, condivide questa conoscenza ed esperienza con tutto il suo popolo. Non nasconde perfino il fatto che sia triste a causa di noi e che il Suo Figlio non vuole più tollerare tutto questo. Gesù vuole agire, ma il Suo agire può essere per noi troppo difficile da capire, per cui Maria ci avverte. Non dobbiamo sottovalutare quello che Ella dice. Giustamente dice San Paolo: «Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna» (Gal 6,7–8). In questo contesto la pandemia Covid-19 può essere considerata un mezzo meno doloroso e fastidioso, con cui Dio vuole farci rivolgere a Lui, perché il Suo braccio pesante avrebbe potuto usare un mezzo ben più importuno.

Flavio Gillio MS

Eusébio Kangupe MS

Karol Porczak MS

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