MONS. PHILIBERT DE BRUILLARD E LA SALETTE

MONS. PHILIBERT DE BRUILLARD E LA SALETTE
  Gian Matteo Roggio ms
INTRODUZIONE
 
Molti si chiedono se il giudizio emesso da Mons. Philibert De Bruillard, vescovo di Grenoble, in merito all’apparizione di Maria a due ragazzi, Massimino (Maximin) Giraud e Melania (Mélanie) Mathieu Calvat, avvenuta il 19 settembre 1846 su una cima montana del territorio del comune di La Salette, sia attualmente valido e vincolante per tutti coloro che, in piena libertà, si avvicinano a questo evento nel tentativo di coglierne la portata spirituale e pastorale all’interno della e per la maturazione battesimale del popolo di Dio in cammino nella storia. Le opinioni sono diverse, per cui si assiste a una variegata gamma di posizioni, che vanno comunque legate alla storia particolare di questa mariofania[1], tuttora avvolta da una pesante ombra di sospetto e diffidenza proveniente da consistenti settori della comunità cristiana, della gerarchia e degli studiosi[2].
Una possibile chiave per accostare la complessità di un evento quale una apparizione mariana è quella di intenderla quale “nexus mysteriorum”, ossia come esperienza in cui si intersecano e si richiamano le dimensioni fondamentali della rivelazione-autocomunicazione di Dio e della libera risposta dell’uomo ad essa.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica pone infatti le apparizioni mariane nel capitolo secondo, significativamente intitolato “Dio viene incontro all’uomo”[3], in rapporto a Cristo Gesù, Mediatore e pienezza di tutta la rivelazione[4]. Il Catechismo non parla esplicitamente delle mariofanie in quanto tali, ma le inserisce nel quadro di quel che è stato tradizionalmente chiamato “rivelazione privata”[5]: un evento storico[6] la cui vocazione è “servire” la rivelazione definitivamente compiuta in Cristo. Questo “servizio”[7] consiste nell’aiuto a vivere più pienamente l’essenziale della fede in una determinata epoca, dal momento che «anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli»[8].
Il valore[9] di un’apparizione mariana, insito nella sua vocazione al “servizio”, è quindi di natura eminentemente pratica[10], dal momento che l’esplicitazione della rivelazione non è riducibile solo ad un aspetto conoscitivo-intellettuale[11], ma indica, nel suo complesso, una sempre più incarnata realizzazione della consacrazione-testimonianza battesimale da parte dell’intero popolo di Dio. Scrive infatti Karl Rahner:
 
«Le rivelazioni private (o particolari) non possono essere messe sullo stesso piano della Rivelazione fondatrice divina data dal Cristo, riportata nella Scrittura e trasmessa dalla tradizione della Chiesa. Esse non sono nemmeno superflue ripetizioni celesti di tale Rivelazione pubblica oppure un aiuto intellettuale per conoscere qualcosa che fondamentalmente potrebbe essere anche conosciuto senza questo aiuto […] Sono nella loro natura un imperativo di condotta, un comando di come dovrebbe agire la cristianità di fronte ad una determinata situazione storica. Non sono delle nuove enunciazioni che ci vengono offerte dal soprannaturale, ma un nuovo comando»[12].
 
Proprio il valore pratico insito nelle apparizioni mariane ha portato le medesime ad essere collocate nel quadro simbolico tipico delle esperienze profetiche. «Di queste, le apparizioni fanno propria la dimensione fondamentale della proclamazione di un messaggio incentrato nell’appello alla penitenza e alla preghiera, ossia alla conversione del cuore verso il Signore della vita e della storia, che viene a vivere con l’uomo. A ben guardare, questa proclamazione, e l’esperienza ad essa sottesa, costituisce la sorgente e il centro unificatore della vita del Signore Gesù e della comunità dei suoi discepoli. Non a caso Maria è Madre e discepola (Lumen Gentium, 61)»[13].
Le esperienze profetiche sono molteplici e non possono essere appiattite le une sulle altre: di fatto, esse non possono essere pensate come le attuazioni particolari (accidentali) di un modello generale (sostanziale). Allo stesso modo, ogni mariofania possiede una sua originalità singolare che chiede di essere accolta e compresa come centro ermeneutico fondamentale del suo stesso accadere nella storia[14] in quanto dono e compito[15], senza però essere pensata come realizzazione di un unico modello[16].
In questo senso, non sembra teologicamente congruente e soddisfacente l’approccio tipico del modello ermeneutico della “suite mariofanica”[17].
 
«La griglia di lettura che fa appello all’ipotesi di una “suite mariofanica” permette agli autori di sottolineare, spesso in modo artificiale, somiglianze e punti di convergenza tra le diverse manifestazioni della Vergine. Inoltre spinge altri autori a elaborare un autentico sistema dove ogni apparizione costituisce un elemento strettamente dipendente dalle altre – non solamente quelle del passato, ma anche quelle che debbono (necessariamente) ancora arrivare – e da interpretare come “suite mariofanica” in permanente espansione come Apocalisse mariana in cui la Vergine interviene sempre più frequentemente e con maggiore visibilità, per annunciare la fine dei tempi. Questa prospettiva escatologica, molto in voga nell’ora attuale, è singolarmente riduttrice quanto allo statuto dell’apparizione mariana e al suo significato ecclesiale: a procedere così, si corre il rischio di illudersi e questo quanto più l’elaborazione di tali teorie riposa su basi false»[18].
 
Il sistema della “suite mariofanica” è incapace di cogliere l’unicità di un’apparizione ed è altrettanto incapace di cogliere la singola apparizione in maniera olistica, come un tutto dotato di una sua propria capacità significativa non condivisibile con altro. In realtà, è solo questa capacità di individuazione che consente di parlare di una grazia specifica (o carisma) di cui l’evento è portatore e che domanda di essere protratta nel tempo come memoria e come profezia.
Una ulteriore difficoltà di un simile modello ermeneutico è riscontrabile nel ruolo che in esso gioca l’elemento del “segreto”. Esso, infatti, viene considerato prioritario e centrale nella spiegazione/ricezione della mariofania e prevede l’assimilazione (o, se si preferisce, l’identificazione) del veggente o dei veggenti ai ricettori/produttori di oracoli visionari. Per potersi reggere, tale dinamica di assimilazione innescata dalla centralità del “segreto” implica che la verità della visione affondi le sue radici nella santità di chi riceve/produce l’oracolo: la visione che si trasforma in oracolo richiede dei santi, la cui santità abbia le stesse modalità espressive “straordinarie” dell’oracolo di cui sono ricettori/produttori[19]. Da questo punto di vista, una simile impostazione non riesce a declinare in maniera soddisfacente né il ruolo dei testimoni di un’apparizione né la loro stessa vita e storia personale.
L’incapacità combinata del modello della “suite mariofanica” di focalizzare una mariofania come un tutto organico con una sua propria specificità che la distingue da altre esperienze dello stesso tipo e di accedere al ruolo dei testimoni in maniera oggettiva, rende una simile metodologia impropria e fuorviante[20]. Proprio per questo, si pone l’esigenza di una metodologia di studio fondata, capace cioè di dare teologicamente ragione di un evento particolare quale una mariofania che, pur non appartenendo all’essenzialità della fede e dell’esperienza cristiana, pur tuttavia può essere riconosciuta ed accolta come cammino di maturazione battesimale non indifferente all’interno della vita della Chiesa. L’elaborazione di una corretta metodologia di approccio si presenta, quindi, non come un compito dovuto all’archeologia, ma come una necessità del presente (e del futuro)[21], anche tenendo conto del dialogo ecumenico[22], all’interno del quale è sempre più necessario ritrovare Maria come Colei che unisce e non come la vittima delle divisioni confessionali[23].
Scopo di questo studio è offrire un contributo all’elaborazione di siffatta metodologia, nella convinzione che quanto messo in atto da Mons. De Bruillard nei confronti dell’evento de La Salette sia sostanzialmente sottovalutato (o semplicemente ignorato), mentre invece costituisce un notevole esempio di prassi teologica e pastorale, la cui validità risulterà sorprendentemente attuale.
Da sempre, la peculiarità originale dell’apparizione di Maria sulla montagna de La Salette è stata identificata con il messaggio da lei lasciato a Massimino e Melania[24]. Questo messaggio è infatti, a rigore di termini, quello che rende La Salette un evento pubblico.
 
«Le apparizioni pubbliche [Lourdes, Pontmain, Fatima, Banneux, ecc] si distinguono egualmente dal fatto de La Salette, che non ha avuto alcun testimone e dove sono elementi pubblici in senso proprio il messaggio e la sua divulgazione per il racconto fatto da Massimino e Melania ai loro padroni, e che sarà all’origine della relazione Prat; sarà solo in un secondo momento che interverrà il confronto diretto dei ragazzi con i pellegrini e gli incaricati dell’inchiesta. A Lourdes e negli altri luoghi citati, un numero più o meno importante di persone assiste in diretta all’esperienza dei veggenti, sono testimoni della loro estasi, raccolgono immediatamente i termini o il tenore delle comunicazioni che essi affermano di aver ricevuto dalla loro celeste interlocutrice. D’altra parte questo è quel che caratterizza la maggior parte delle mariofanie ai nostri giorni, divenute l’oggetto di un vero spettacolo, di uno show talvolta ai limiti della decenza»[25].
 
La ricezione di questo messaggio, però, non è stata semplice né lineare: il suo linguaggio duro, crudo, a volte minaccioso, altre volte invece capace di far balenare la luce della speranza, ha più volte messo in difficoltà coloro che si accostavano ad esso nel tentativo di coglierne la chiave principale di accesso. Molti hanno cercato di interpretarlo rifacendosi all’esperienza tipica della “religiosità popolare”. Di fatto,
 
«nel corso dell’ultimo mezzo secolo, la religione popolare è stata oggetto di innumerevoli studi, dove si affronta, fra gli altri argomenti, il problema del sincretismo pagano-cristiano e della pastorale della paura. Sulla scia di questo tipo di riflessioni, si è finito per ammettere come evidente che il Cristo presentato dalla Signora de La Salette è un “Cristo giustiziere e vendicatore”»[26].
 
Senza dubbio, le parole di Maria a La Salette raggiungevano e tuttora raggiungono un duplice effetto: quello di mettere in crisi tutta una serie di idee date per scontate nel vissuto come anche nella predicazione e nella riflessione teologica (la semplicità delle parole che portano l’unica Parola divina, la immediatezza del loro significato, la loro intuitività, il valore della redenzione, la missione del popolo dei battezzati, la realtà e la simbolica della soteriologia, il mistero del dolore e della sofferenza…); e quello di spingere ad uno sforzo ermeneutico che trasformi radicalmente i patterns valutativi e comportamentali dell’esperienza. Se questo è lo scenario inaugurato dall’apparizione e dal suo messaggio, non siamo però molto lontani dalla situazione in cui Gesù conia le sue parabole. La costruzione linguistica di una parabola, infatti, segue la medesima traiettoria pragmatica: far precipitare nella “krisis”, attraverso le concatenazioni del racconto e delle immagini, ciò che si dà per assodato e per “vero”;  e ricostruire così l’esperienza fondativa dell’ascoltatore attraverso la riallocazione esistenziale degli assi portanti della sua vita. Allo stesso modo, il linguaggio duro e scandaloso, ai limiti della dottrina, rinvenibile a La Salette obbliga a cambiare le attese, i desideri abituali che si possono avere davanti ad un evento sovrannaturale quale un’apparizione.
La verifica del livello di autorità implicato nel e dal giudizio pronunziato da Mons. De Bruillard il 19 settembre 1851 mostrerà proprio questo processo di ricostruzione fondativa dell’esperienza esistenziale dell’ascoltatore, evidenziando la peculiarità del suo approccio all’apparizione, nella convinzione che entrambi costituiscano il fondamento della possibile e corretta ricezione ecclesiale dell’apparizione. Pertanto
 
«conviene guardare l’apparizione de La Salette per quello che è: un intervento provvidenziale al quale la Chiesa ha riconosciuto i caratteri di un’autentica manifestazione della Madre di Dio a due ragazzi, Melania Calvat e Massimino Giraud, incaricati dalla Signora che hanno contemplato di far conoscere al popolo di Dio un messaggio di salvezza. Siamo lontani dal concetto della “suite mariofanica” e da ogni speculazione escatologica. Questo permette di misurare la distanza che separa il fatto de La Salette da tante mariofanie contemporanee, ordinate in modo più o meno esplicito – sovente più anziché meno – all’annuncio della fine dei tempi, e frequentemente in riferimento a Fatima che esse pretendono sia prolungare, sia spiegare»[27].


 
1. Il livello di autorità impegnato da Mons. De Bruillard
            Prima di passare all’analisi diretta del decreto di approvazione dell’apparizione, è utile passare in rassegna alcuni fatti storici che consentono di ricostruire il quadro in cui si è mossa l’azione di Mons. De Bruillard, dal momento che questi stessi fatti testimoniano il livello di autorità con cui lo stesso Mons. De Bruillard ha impegnato la Chiesa davanti a quanto accaduto il 19 settembre 1846[28].
 
1.1 La contestazione del clero di Grenoble
La grande maggioranza del clero della diocesi di Grenoble non ha mai assunto una posizione contraria all’evento de La Salette[29]. Ma una piccolissima parte di esso[30], sin dai primi giorni seguenti la notizia dell’apparizione, si era arroccata su posizioni decisamente contrarie alla veracità del fatto. Un primo apice di questa opposizione viene raggiunto nell’ottobre del 1852 e nel marzo del 1853 con la pubblicazione di due pamphlets dell’abbè Claude-Joseph Déléon[31]. Ma la cosa proseguì anche con il successore di Mons. De Bruillard, Ginoulhiac. Nel luglio del 1854, questo gruppo di sacerdoti chiese all’arcivescovo di Lione, cardinale De Bonald, di trasmettere al papa un loro documento sul fatto de La Salette, la Mémoire au Pape[32], che «costituisce in realtà un autentico ricorso al Papa contro il giudizio di Mons. De Bruillard del 19 settembre 1851»[33].
Secondo lo storico Jacques Olivier Boudon,
 
«è necessario comprendere che questa reazione è diretta anche contro il potere episcopale [corsivo nostro]. È, in certo modo, una delle manifestazioni della fronda anti-episcopale che si era sviluppata nel 1840 particolarmente intorno ai fratelli Allignol e alle loro rivendicazioni in favore dell’inamovibilità dei “desservants”. Lo stesso movimento si ritrova a Grenoble che beneficia in verità di una tradizione in questo campo[34]. Certamente non si tratta della situazione dei preti. Ma l’affare de La Salette è l’occasione di prendersela con un vescovo la cui azione di governo viene giudicata autoritaria e lontana[35]. Alla fine del suo episcopato, Mons. De Bruillard non si sposta più e dirige la diocesi dalla sua camera. Nello stesso tempo, il ricorso al papa è significativo di un movimento più generalizzato in seno ad un clero sempre più romano rispetto ad un episcopato rimasto attaccato al gallicanismo»[36].
 
Lo stesso Mons. De Bruillard, in occasione del ritiro ecclesiastico del 10 settembre 1852, afferma:
 
«L’opposizione che era permessa ed era persino utile nei quattro anni che hanno preceduto il mio pronunciamento, è diventata da due anni focosa, ingiusta e passionale. Dopo i miei decreti [il decreto di approvazione dell’apparizione e il decreto di erezione del santuario e della fondazione del corpo dei Missionari di Nostra Signora de La Salette], essa appare, agli occhi di un gran numero di miei colleghi e di stimati teologi, solamente come una rivolta contro l’autorità»[37].
 
A questo proposito, lo storico Louis Bassette osserva:
 
 «Ci si deve domandare che cosa pensasse della Mémoire il clero della diocesi di Grenoble. Gli storici tacciono su questo punto. Forse gli “oppositori” avevano infranto il divieto di Mons. De Bruillard di pubblicare alcunché sul fatto de La Salette senza la dovuta autorizzazione [gesto che a suo modo non fa che manifestare l’elevato livello di autorità con cui Mons. De Bruillard si è voluto pronunciare davanti all’apparizione], mentre gli altri erano rimasti disciplinatamente in silenzio. Dopo il 1852 non è registrabile alcuna polemica interna ai sacerdoti. Era un silenzio di pura convenienza? E’ agevole rispondere con i fatti: lo zelo, il concorso impresso dai preti di Grenoble al culto di Nostra Signora de La Salette e l’erezione del Santuario stanno a dimostrare che i vescovi, Mons. De Bruillard e Mons. Ginoulhiac, avevano ragione nel dire che l’opposizione era una minoranza numericamente debole e che “l’immensa maggioranza” del loro clero era animata dai loro stessi sentimenti. D’altra parte, reputazioni formali [della Mémoire] furono scritte da molti preti della diocesi, ed espressero i loro sentimenti e quelli della generalità dei loro confratelli»[38].
 
Questa vicenda mostra a suo modo come Mons. De Bruillard abbia impegnato tutto il suo potere e tutta la sua autorità nel dichiarare autentica l’apparizione de La Salette. Se la contestazione di questo piccolissimo gruppo di sacerdoti era effettivamente diretta contro il potere episcopale, è infatti ragionevole supporre che essa prendesse di mira atti e/o pronunciamenti particolarmente significativi del vescovo, e non certo atti privi di un certo livello di autorità e sostanzialmente periferici o secondari nel governo della diocesi. D’altra parte solo la presenza di atti altamente significativi avrebbe giustificato il ricorso alla Santa Sede e alla suprema autorità della Chiesa.
Davanti alla Mémoire[39], Pio IX ritenne di inviare al nuovo vescovo di Grenoble, Mons. Ginoulhiac[40], un Breve, datato 30 agosto 1854, in cui descrive la condotta da tenere:
 
«Da quando avete avuto conoscenza della stampa di questo opuscolo, Venerabile Fratello, voi ci avete denunciato gli errori in esso racchiusi e gli attacchi contro la verità del fatto riconosciuto e approvato dal Vescovo vostro predecessore [corsivo nostro] … Per quel che riguarda il fatto, che è stato pubblicato in tante maniere e che è stato riconosciuto dal Vescovo vostro predecessore  sulla base di prove e documenti che voi avete sicuramente in mano [corsivo nostro], nulla si oppone a che voi possiate esaminarlo di nuovo e dimostrarlo pubblicamente, se lo riterrete opportuno»[41].
 
Nel Breve, Pio IX riconosce esplicitamente l’approvazione dell’apparizione come atto legittimamente posto da Mons. De Bruillard nel pieno esercizio delle sue funzioni. Mons. Ginoulhiac ritenne comunque opportuno passare di nuovo al setaccio quelle “prove e documenti” cui Pio IX fa cenno[42], avendo considerato anche la situazione quantomeno imbarazzante in cui Massimino e Melania si stavano venendo sempre più a trovare. Infatti,
 
«dal febbraio 1847 arriva nell’entourage dei due ragazzi una profezia dove si tratta di preti malvagi e di città punite, Parigi, Marsiglia, ecc, temi che si ritrovano più tardi nei segreti. La profezia è stata inviata al parroco di Corps da un prete residente nei dintorni del santuario di Nostra Signora di Sion in Lorena […] Di tanto in tanto Massimino e Melania sentono parlare di Parigi, dove accadranno cose terribili. Si citano in loro presenza delle profezie come quelle della Suora della Natività, una religiosa morta durante la rivoluzione e le cui rivelazioni furono in gran voga nel diciannovesimo secolo. Tra quelli che parlano delle profezie ai ragazzi c’è l’ingegner Dausse, di Grenoble, che li ha incontrati più volte tra il 1849 e il 1851. Poi ci sono diversi partigiani del falso Luigi XVII: l’orafo Houzelot, salito a La Salette dal 1847; il sacerdote Faurè, che soggiornò a La Salette nel 1850; l’avvocato Girard di Grenoble […] Nell’estate del 1853 […] circolano in effetti delle profezie, uscite dalla bocca di Massimino, il ragazzo divenuto nel frattempo diciottenne: l’imperatore e il papa saranno assassinati, Parigi sarà distrutta, ma Luigi XVII ristabilirà tutte le cose. Per il vescovo [Ginoulhiac] si tratta di frottole ispirate da quello che il giovane ha udito intorno a lui. Preoccupa egualmente anche il comportamento di Melania […] Anche lei si lascia sfuggire dei vaticini, in particolare sull’anticristo e le sue origini»[43].
 
Questo rinnovato procedimento di indagine di Mons. Ginoulhiac sfocia nella pubblicazione di un decreto, datato 4 novembre 1854[44]. Sono state fatte molte illazioni nei confronti di un eccessivo servilismo di Mons. Ginoulhiac nei confronti di Napoleone III. Dal momento che quest’ultimo viene nominato e condannato nelle redazioni scritte dei segreti, alcuni hanno letto la durezza di Mons. Ginoulhiac verso i ragazzi e l’insieme di questo decreto come atto dovuto nei confronti dell’imperatore[45]. Eppure, una simile valutazione di questo decreto non rende ragione dell’insieme della situazione storica: una volta tenuto presente quanto innescato dalla Mémoire e dal suo invio al Papa, non si può non riconoscere che l’intervento di Mons. Ginoulhiac nasce in un contesto specificamente ecclesiale e risponde a problemi di natura specificamente ecclesiale, non politica[46]. Il pronunciamento di Mons. Ginoulhiac è perfettamente legittimo e rientra nella sua effettiva competenza pastorale, per cui ci troviamo di fronte a un giudizio fondato (che ha, cioè, il suo fondamento). Non è dunque possibile interpretare questo documento come il riuscito tentativo politico di isolare e marginalizzare le voci critiche dei veggenti nei confronti del regime imperiale.
A conferma di quanto appena rilevato, si pone poi il fatto che il decreto approntato da Mons. Ginoulhiac assume le prospettive fondamentali già enunciate da Mons. De Bruillard, richiamando e approfondendo due passaggi già presenti nella dichiarazione di approvazione del 19 settembre 1851[47], vale a dire le finalità dell’apparizione e il ruolo dei ragazzi, passaggi elaborati in totale distacco da qualsivoglia calcolo o preoccupazione politica.
Nella formulazione adottata tre anni prima da Mons. De Bruillard, le finalità dell’apparizione non contemplano un posto particolare o una funzione (missione) specifica per i due veggenti in virtù del segreto loro affidato. Essa recita:
 
«Malgrado il naturale candore dei due pastorelli; malgrado l’impossibilità di un accordo tra due ragazzi ignoranti e che si conoscevano appena; malgrado la costanza e la fermezza della loro testimonianza, che non ha mai subito variazioni né davanti alla giustizia umana né di fronte alle migliaia di persone che hanno esercitato tutti i mezzi di seduzione per farli cadere in contraddizione o per ottenere la rivelazione del loro segreto, noi abbiamo dovuto mostrarci per lungo tempo riluttanti ad ammettere come incontestabile un evento che sembrava così meraviglioso […]»[48].
 
Di fatto, Mons. De Bruillard non considera i ragazzi come dei profeti/veggenti/santi, ma come testimoni dei quali si deve appurare l’attendibilità: questa attendibilità consiste nella ragionevole certezza che essi non sono stati ingannati e non hanno ingannato. Questa certezza emerge e si corrobora nel considerare la “costanza” e la “fermezza” che Massimino e Melania hanno vissuto e mostrato nel raccontare il messaggio pubblico e nel mantenere nascosti i segreti. Essa non parte da una analisi morale dei ragazzi: non è la loro moralità (santità) a garantire la veracità della testimonianza che offrono, ma è la perseveranza invariata di quest’ultima a indicare che qualcosa di non spiegabile naturalmente è accaduto il 19 settembre 1846.
Ora, questo è proprio quanto Mons. Ginoulhiac riafferma:
 
«Per parlare dei ragazzi de La Salette, non c’è senza dubbio bisogno di osservare come la loro condotta attuale, fosse anche tale come viene descritta, non provi nulla contro il fatto dell’apparizione. Chi è colui che non sa che questo tipo di grazie, secondo le posizioni dei teologi e del Vangelo stesso, possono essere accordate a persone indegne di riceverle, soprattutto quando non hanno come oggetto diretto la santificazione di coloro che le ricevono, ma quando contengono degli avvertimenti o degli insegnamenti che debbono essere utili agli altri?»[49].
 
L’assimilazione del testimone al profeta/veggente/santo è invece, come già rilevato, uno degli assunti del modello ermeneutico  della “suite mariofanica”. In esso, il veggente, santo dotato di qualità straordinarie, riceve una missione specifica da esercitare presso il popolo di Dio, missione spesso legata al segreto di cui è portatore e che costituisce il centro di tutto l’evento. Nulla di ciò è presente nel decreto di approvazione emanato da Mons. De Bruillard.
Oltre a non riconoscere una qualità profetica ai testimoni, non viene nemmeno concesso ai segreti un posto o una dignità particolare: essi non sono al di sopra dell’apparizione, non ne costituiscono il culmine, ma ne sono una semplice parte; i segreti vanno inseriti nella totalità dell’evento; è la totalità dell’evento che li porta, li sostiene, non il contrario. Nel decreto viene raccontata la loro stesura, non come culmine dell’indagine, ma come mezzo utilizzato in vista di uno specifico fine:
 
«Così [con la scrittura dei segreti e il loro invio al Papa a Roma] è caduta l’ultima obiezione che veniva fatta contro l’apparizione e cioè che non esisteva alcun segreto o che questo segreto fosse senza importanza, se non addirittura puerile, e che i fanciulli non volevano farlo conoscere alla Chiesa»[50].
 
Come si può notare dalla formulazione, la posizione dei segreti è subordinata, non principale: essi sono una parte dell’apparizione e sussistono nella misura in cui quest’ultima sussiste; essi sono una parte dell’evento, che come tale va giustamente ricordata, ma non sono “l’evento”. Inoltre, se fosse vero l’assunto del modello teologico della “suite mariofanica”, gli stessi “fini” dell’apparizione dovrebbero essere esplicitati a partire dai segreti, cuore della profezia de La Salette. Anche questa volta, così non è: le finalità dell’apparizione non provengono dai segreti. Infatti si legge nel decreto:
 
«Dal momento che il fine principale dell’apparizione è stato di richiamare i cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della Chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica, noi vi scongiuriamo, carissimi fratelli, in vista dei vostri interessi celesti e egualmente terreni, di rientrare seriamente in voi stessi, di fare penitenza dei vostri peccati e particolarmente di quelli che avete commesso contro il secondo e il terzo comandamento di Dio»[51].
 
Quel che viene considerato qui in prospettiva apostolica e spirituale è il messaggio pubblico che i ragazzi hanno sempre raccontato senza alterazioni o cambiamenti, nel corso della loro vita: se è questo a determinare non “una”, ma “la” risposta della Chiesa all’apparizione, allora vuol dire che è il messaggio pubblico ad esserne il centro e la chiave ermeneutica, non i segreti affidati ai ragazzi.
Escludendo apertamente che i ragazzi abbiano ricevuto una particolare missione profetica, il decreto di approvazione afferma che l’autenticità dell’apparizione non promana e non proviene dai segreti.  Piuttosto, è il fatto dell’apparizione nella sua totalità (rispetto alla quale i segreti sono una parte) a non poter essere spiegato con cause naturali. Mons. De Bruillard scrive:
 
«Considerando, in primo luogo, l’impossibilità in cui ci troviamo di spiegare il fatto de La Salette in maniera altra rispetto all’intervento divino, qualunque modalità trovassimo, sia nelle sue circostanze, sia nella sua finalità essenzialmente religiosa; considerando, in secondo luogo, che ciò che di meraviglioso è seguito al fatto de La Salette è la testimonianza di Dio stesso, che si manifesta attraverso i miracoli, e che questa testimonianza è superiore a quella degli uomini e alle loro obiezioni; considerando che questi due motivi, presi separatamente e a più forte ragione riuniti insieme, devono dominare tutta la questione e togliere ogni specie di valore alle pretese e alle supposizioni contrarie di cui noi dichiariamo di avere una perfetta conoscenza; considerando infine che la docilità e la sottomissione agli avvertimenti del cielo possono preservarci da nuovi castighi dei quali siamo minacciati, mentre una resistenza troppo prolungata può esporci a dei mali senza rimedio […]»[52].
 
Dei tre criteri ermeneutici esplicitamente affermati, nessuno di essi viene legato ai segreti di cui Massimino e Melania sono stati beneficiati. E’ quindi il decreto di approvazione dell’apparizione di Mons. De Bruillard a fissare quei limiti che Mons. Ginoulhiac riprende nella propria istruzione pastorale: essi non sono una sua invenzione arbitraria o il frutto di un servile calcolo politico, ma la riaffermazione ufficiale di quanto già stabilito dalla Chiesa nel 1851, posta invece di fronte adesso, nel 1854, a una nuova situazione di contestazione e di sospetto nei confronti della mariofania de La Salette.
E’ su questa base che Mons. Ginoulhiac può scrivere:
 
«Ci si sbaglierebbe egualmente nel pensare che è dal carattere morale dei ragazzi all’epoca dell’apparizione che si induce in maniera principale la prova della sua realtà. I diversi autori che hanno scritto su questa materia la evincono dall’impossibilità nella quale si trovavano allora i ragazzi, di essere stati gli inventori, le vittime o i complici di una messinscena. La loro grossolanità, la loro bizzarria e la loro ignoranza sono note […] Non si conoscevano, si erano visti solo qualche giorno prima, a intervalli diversi, ed è durante i momenti di gioco passati insieme che essi avrebbero dovuto concertare la favola dell’apparizione, con tutte le circostanze di cui l’hanno costantemente accompagnata? Benché grossolani e ignoranti, essi non lo erano al punto di persuadersi invariabilmente l’un l’altro di aver visto e udito quello che affermano dal primo momento di aver visto e sentito, se quest’ultimo non esistesse. Poveri, leggeri e bizzarri, dall’indomani [del fatto] essi hanno resistito alle seduzioni e alle minacce le più capaci di impressionare due ragazzi della loro età ed estrazione sociale. Né l’uno né l’altro si sono mai smentiti durante tre anni […] Del resto, nell’attestazione del fatto in se stesso e nella conservazione di quello che essi chiamano il loro segreto, essi si sono mostrati di una fermezza che ha sconcertato gli uomini più risoluti ad abbatterla, e di una abilità che ha smontato costantemente le questioni meglio preparate. Infine, ed è una rimarcabile osservazione fatta da Monsignor Vescovo di Birmingham [Mons. William Ullathorne salì sulla montagna de La Salette dal 25 al 27 maggio 1854], “rispondendo alle innumerevoli domande che sono state loro fatte e che riempirebbero grossi volumi, nello stesso momento in cui erano intenti a raccontare i dettagli dell’apparizione e la parte che vi avevano preso, essi hanno senza dubbio descritto il loro carattere, i loro difetti e le loro qualità in maniera così minuziosa e con una verità tale che non è spiegabile se non perché essi hanno di fatto visto e agito in quel momento così come essi dichiarano”. Tali sono i fatti e le circostanze da cui si può concludere, se non ci inganniamo, la verità del racconto dei ragazzi; e questi fatti e queste circostanze sono evidentemente al di fuori della considerazione delle loro abitudini di sincerità o di moralità all’epoca dell’apparizione […] Del resto, la condotta da noi tenuta verso questi ragazzi permette una rimarcabile osservazione. Cioè che malgrado le misure che noi abbiamo preso nei loro confronti, e che sono sembrate severe, benché noi avessimo affermato più in alto che ogni diniego da parte loro non avrebbe avuto alcuna importanza; malgrado il malcontento e lo smarrimento che essi hanno provato, sebbene noi avessimo loro accordato la più grande libertà sia nelle loro relazioni abituali sia nei loro viaggi; di fronte a questa sorta di provocazioni, e con tutta la facilità di smentirsi, essi non sono cambiati nel loro linguaggio sulla verità del Fatto de La Salette, e non è loro mai scappata alcuna parola, una minaccia, da cui si possa inferire che non sono convinti»[53].
 
La relazione tra questi testi fa emergere con sufficiente chiarezza come il modo di procedere adottato da Mons. Ginoulhiac costituisca una testimonianza diretta del livello di autorità con cui il suo predecessore, De Bruillard, si era impegnato davanti al fatto de La Salette. Se il pronunciamento di quest’ultimo, infatti, fosse stato di basso profilo, non si vede perché Mons. Ginoulhiac, soprattutto in una situazione di crisi e contestazione dell’apparizione, si sia sentito vincolato a riprendere e ribadire proprio quei confini che quel pronunciamento aveva fissato. Anzi, se si fosse trattato di un intervento di basso profilo e di scarsa valenza ecclesiale, questa sarebbe stata l’eventuale occasione per sostituirlo con un atto di maggiore impegno e valore; oppure, al contrario, sarebbe stata l’occasione per mettere definitivamente a tacere l’affare.
Nota infatti lo storico Jean Stern:
 
«Quando Mons. Ginoulhiac arriva a Grenoble nel maggio del 1853, egli ammette che esiste una presunzione in favore della realtà dell’apparizione, dal momento che il suo predecessore si era pronunciato in tal senso. Ma una presunzione non è una certezza. Mons. Ginoulhiac intende sospendere il suo giudizio fino a quando lui stesso non avesse visto chiaro in merito. Tuttavia, in qualità di vescovo di Grenoble egli si considera obbligato a vegliare sul movimento spirituale nato in seguito al fatto del 19 settembre 1846. Egli arriverà a ricordare, e anche con una certa insistenza, che per l’approvazione di una devozione o per l’erezione di un nuovo santuario a seguito di una apparizione, è sufficiente per il vescovo una semplice indizio di probabilità della realtà di tale apparizione. Egli distingue dunque nettamente da una parte l’apparizione, reale o immaginaria che sia; e dall’altra parte le diverse iniziative di ordine religioso nate a seguito del fatto. La distinzione operata dal nuovo vescovo di Grenoble tra fatto e devozione illustra perfettamente il suo modo di affrontare i problemi. E’ un uomo di studio […] Ha cominciato la sua carriera sacerdotale nel 1830, come professore al seminario maggiore di Montpellier […] È in queste circostanze che nel gennaio-febbraio del 1854 Mons. Ginoulhiac inizia una inchiesta sistematica. Egli fa ricercare le relazioni più antiche e richiede informazioni sul comportamento dei due veggenti […] Nel novembre del 1854 […] Mons. Ginoulhiac si pronuncia chiaramente in favore dell’autenticità dell’apparizione»[54].
 
L’unica ragionevole spiegazione di un simile comportamento è che il giudizio di Mons. De Bruillard si sia attestato sul massimo livello possibile delle sue capacità e sia perciò stato tutt’altro rispetto a un atto di basso profilo ecclesiale, tanto da essere teologicamente e pastoralmente vincolante per i suoi successori anche e soprattutto in una situazione insieme di crisi di credibilità e di contestazione dell’apparizione.


 
1.2 Il contrasto tra Mons. De Bruillard e il cardinale De Bonald
            Il cardinale di Lione, De Bonald, arcivescovo metropolita del vescovo di Grenoble, non fu mai convinto della verità dell’apparizione[55]. Scrive lo storico Jacques Olivier Boudon:
 
«Come il vescovo di Grenoble, il cardinale De Bonald è divenuto vescovo sotto la Restaurazione, accedendo alla sede di Puy nel 1823, prima di essere trasferito a Lione nel 1840. La sua fede regalista non può essere tacciata di difetti; figlio del visconte Louis De Bonald, teorico della controrivoluzione, egli si è impregnato del pensiero tradizionalista fin dalla sua giovinezza […] E’ incontestabile che il cardinale De Bonald voglia avvalersi di un diritto di superiorità sul suo suffraganeo. Bisogna forse scorgere in questo l’alterigia del nobile verso un “contadino con la mitra”? Mentre uno è accanto al patibolo, l’altro scopre la controrivoluzione nel salotto. Il cardinale De Bonald ha servito l’Impero, entrando nella “Grande Aumônerie” come chierico della cappella imperiale, mentre il sacerdote Bruillard dirigeva la “Congregation”[56]. Il primo ha conosciuto molto presto gli onori della Restaurazione divenendo cappellano del conte di Artois e vicario generale di Chartres, mentre il secondo otteneva una parrocchia inamovibile, certo, ma in un quartiere popolare. Infine, il cadetto di venticinque anni accede all’episcopato due anni prima dell’anziano per salire tutti i gradini della gerarchia fino al seggio primaziale delle Gallie e alla porpora. In definitiva, sono due generazioni di vescovi che si oppongono: una generazione educata sotto l’Ancien Régime e che ha subito in pieno gli effetti della Rivoluzione e una generazione educata sotto il Concordato e che ha beneficiato dei numerosi vuoti in seno al clero francese per salire rapidamente gli scalini della gerarchia. Il cardinale De Bonald rappresenta questa seconda generazione. Egli doveva pensare che, una volta pronunciatosi, la questione sarebbe stata chiusa. Ma non fu così»[57].
 
Nonostante i suoi reiterati interventi, egli non riesce a far desistere Mons. De Bruillard dalla posizione che quest’ultimo intendeva assumere davanti al fatto de La Salette. Davanti alla pubblicazione del decreto di approvazione[58], egli comunica a Mons. De Bruillard che una tale approvazione richiede la convocazione di un concilio provinciale; ma Mons. De Bruillard risponde che ciò non è necessario in quanto è competente l’ordinario del luogo nella pienezza della sua autorità[59], facoltà peraltro già confermata nel luglio 1851 da Roma stessa in occasione della presentazione del testo dei segreti alla Santa Sede[60].
Un accenno a questa querelle e alla posizione consapevolmente assunta da Mons. De Bruillard è comunque presente nel decreto di approvazione dell’apparizione, dove si legge:
 
«Del resto, noi non abbiamo mai smesso di essere disposti a richiamarci scrupolosamente alle sante regole che la Chiesa ci ha tracciato grazie alla penna dei suoi sapienti dottori, ed anche a riformare il nostro giudizio su questo oggetto [l’apparizione], come su tutti gli altri, se la cattedra di Pietro, madre e maestra di tutte le chiese, avesse ritenuto di dover pronunciare un giudizio contrario al nostro»[61]
 
Vale la pena di notare qui che la stesura primitiva del decreto di approvazione era ancora più chiara in proposito, dal momento che aggiungeva a quanto riportato queste linee che poi non vennero pubblicate nel testo definitivo:
 
«Nello stesso tempo abbiamo domandato a Sua Santità se egli trovasse buono che noi pubblicassimo il nostro giudizio su questo grande avvenimento e che noi lo proponessimo ai fedeli come degno di tutta la loro convinzione, del loro rispetto, della loro riconoscenza. Il Santo Padre ci ha impegnati a seguire il movimento del nostro cuore e la luce del nostro spirito. Il Santo Padre ha fatto udire la sua voce. Cosa resta da fare, se non umiliarci e pubblicare le meraviglie dell’Onnipotente»[62].
 
Questi testi non supportano alcune ricostruzioni storiche, secondo cui Pio IX avrebbe incoraggiato l’approvazione dell’apparizione a causa della lettura dei segreti messi per iscritto dai ragazzi e a lui consegnati il 18 luglio 1851[63]. In realtà, Mons. De Bruillard non afferma che il papa (e/o la Santa Sede) si sia personalmente e ufficialmente impegnato con entusiasmo di fronte all’evento de La Salette, ma semplicemente che non “ha ritenuto di dover pronunciare un giudizio contrario al nostro”: il che vuol dire riconoscere non solo la legittimità ma anche il livello di autorità del pronunciamento operato dal vescovo diocesano. Il testo del decreto di approvazione era stato infatti inviato per un esame definitivo a Roma, che nella persona del Segretario di Stato e Prefetto della Congregazione dei Riti, cardinale Luigi Lambruschini, così risponde:
 
«Ho ricevuto il testo del progetto del decreto che il sapiente e pio vescovo di Grenoble desidera pubblicare in relazione al fatto che ha avuto luogo su una delle montagne della sua diocesi. Non appena i miei impegni e la mia debole salute me lo hanno consentito, ho letto molto attentamente il decreto, e questo è il mio avviso. Il prelato racconta il fatto certamente straordinario de La Salette senza prevenzioni, e con l’esattezza storica tanto raccomandata nella Santa Scrittura e nelle regole della Santa Chiesa. Va tutto molto bene e la lettura non ha lasciato nulla a desiderare, soprattutto per l’esame dell’avvenimento, condotto con un rigore edificante e certamente lodabile [corsivo nostro]»[64].
 
Osserva a questo proposito lo storico Louis Bassette:
 
 «La Santa Sede non si sarebbe pronunciata sul fatto, fedele in questo alla sua secolare prudenza in tali circostanze, ma né il Sovrano Pontefice, né il Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, né le alte personalità romane […]  - e molti non avevano nascosto il loro sentimento favorevole – vedevano alcunché di inconveniente, anzi il contrario, a che il vescovo di Grenoble, l’Ordinario del luogo in cui si era verificato l’avvenimento,usando i poteri e in obbedienza ai doveri a lui conferiti dal concilio di Trento (secondo decreto della XXV sessione) e malgrado l’opposizione del metropolita della provincia, emettesse il giudizio che lui era competente a pronunciare»[65].
 
L’argomento più influente per dirimere la questione lo offre comunque lo stessoMons. De Bruillard, che in un altro passo del decreto di approvazione afferma esplicitamente:
 
«La nostra convinzione [relativa alla verità dell’apparizione] fu già piena e senza indugi alla fine delle sedute della commissione, il 13.12.1847»[66].
 
La prima stesura dei segreti e la loro lettura da parte di Mons. De Bruillard risale invece al 3-6 luglio 1851: stando alla sua esplicita testimonianza, non è dunque possibile asserire che la lettura-conoscenza dei segreti sia stata la causa decisiva del riconoscimento ufficiale concesso all’apparizione, sia per quello che riguarda il vescovo di Grenoble che la Santa Sede.
Quasi poi a ribadire la legittimità della propria posizione davanti all’atteggiamento del suo metropolita, nel decreto del primo maggio 1852, con il quale si annuncia la costruzione del santuario e la fondazione del corpo dei “Missionari di Nostra Signora de La Salette”, Mons. De Bruillard esordisce così:
 
«Dall’origine del cristianesimo è successo molto raramente che un vescovo dovesse proclamare la verità di una apparizione dell’Augusta Madre di Dio. Questa beatitudine il Cielo ce l’ha riservata, senza che l’avessimo personalmente meritata, come una prova sensibile della sua bontà misericordiosa verso i nostri amatissimi fedeli della diocesi. E’ una missione infinitamente onorabile quella che ci è stata data da compiere; è un dovere sacro a cui dobbiamo conformarci; è un diritto che ci viene concesso dai sacri canoni e del quale noi abbiamo dovuto fare uso, sotto pena di una resistenza colpevole nei confronti della voce del cielo»[67].
 
Viene quindi chiaramente espresso e ribadito tutto il livello di autorità (“diritto che ci viene concesso dai sacri canoni”) con cui Mons. De Bruillard si impegna davanti al fatto de La Salette. Egli stesso qualifica poi il suo procedere come “giudizio dottrinale”[68].
Ma il cardinale De Bonald rimase sempre invincibilmente convinto che l’apparizione fosse un falso, ordito e perpetrato dall’entourage di un avventuriero (il sedicente barone di Richemont) che si voleva far passare per il figlio di Luigi XVI e quindi come legittimo erede al trono di Francia[69].
 
1.3 L’originalità del giudizio di Mons. De Bruillard
Mons. De Bruillard ha vissuto a Parigi durante la Rivoluzione e il Terrore, accompagnando i condannati a morte alla ghigliottina e conservando clandestinamente i legami con alcuni grandi personaggi dell’aristocrazia. Ciò ha favorito in lui, secondo lo storico Boudon, il radicarsi di una spiritualità austera, severa, marcatamente penitenziale (con tonalità gianseniste), con una forte impronta mariana e legata alla società dell’Ancien Régime. La sua stessa nomina a vescovo all’età di più di 60 anni può essere letta come la volontà di ricompensare un servitore instancabile della causa monarchica[70].
Ciò si inserisce nel contesto più generale della restaurazione politica e religiosa degli anni successivi al 1814, dove la nota dominante è data dalla riparazione[71]. Bisognava espiare il regicidio (l’esecuzione di Luigi XVI nel 1793), gli oltraggi alla religione e in particolar modo i sacrilegi, passati e presenti, riguardanti l’eucarestia, le bestemmie e la violazione della domenica. Questo panorama ispira la fondazione di numerose associazioni riparatrici, confraternite e nuove congregazioni religiose, in cui la devozione eucaristica assume un ruolo importante. Nell’eucarestia è sottolineata la dimensione sacrificale, cui possono essere associate molte vittime volontarie[72].
Tutto ciò concorre a costituire l’humus umano e spirituale[73] che accompagnò (diresse?) Mons. De Bruillard all’accoglienza positiva dell’apparizione, facendogli superare i dubbi e le contestazioni levatesi contro di essa. Ma, nello stesso tempo, questo humus può rappresentare anche il lato debole dell’approvazione, in quanto Mons. De Bruillard potrebbe essere stato manipolato o ingannato proprio a partire da esso: facendo leva su queste idee, infatti, qualcuno (sia esso un singolo o un gruppo politico-culturale) avrebbe potuto a proprio vantaggio costruire qualcosa (una finta apparizione) che rispondesse o toccasse queste corde, insieme intime di Mons. De Bruillard e condivise a livello sociale dalle comunità cristiane.
È, di fatto, l’argomento utilizzato già dal cardinale De Bonald. Consultato dal nunzio a proposito delle nomine episcopali, egli, dopo aver tentato invano di bloccare Mons. De Bruillard e di farlo recedere dalla volontà di dichiarare veritiera l’apparizione, ne approfitta per ritornare sul fatto de La Salette e, ormai alla vigilia della pubblicazione del decreto di approvazione, scrive:
 
 «Sarebbe auspicabile che Roma non si impegnasse ad esprimere parere favorevole sulla presunta apparizione de La Salette […] Bisogna che Roma si renda conto che il vescovo di questa diocesi ha 86 anni e che oggi un suo pronunciamento ha bisogno di essere pesato con cura […] Bisogna fare attenzione al fatto che i partigiani del barone di Richemont stanno dietro tutto questo e che essi si rifanno al preteso evento de La Salette. Una approvazione, un pronunciamento favorevole dati a questa presunta apparizione che si basa solamente sulla testimonianza di due ragazzi sarebbe una cosa ben incresciosa per la religione. Io non vorrei che la Santa Sede venisse presa di sprovvista»[74].
 
 Lo storico Jacques Olivier Boudon così commenta queste parole:
 
«Il cardinale arcivescovo di Lione presenta il caso su un altro registro, e cioè l’appropriazione del fatto [de La Salette] da parte dei partigiani del barone di Richemont, che pretende di essere, ricordiamolo, Luigi XVII. In occasione del quarto anniversario dell’apparizione, il 19 settembre 1850, un loro gruppo aveva compiuto il pellegrinaggio a La Salette ed era ritornato a Lione in compagnia di Massimino, con l’intento di fargli incontrare il barone di Richemont. E’ a questi contatti che il cardinale fa allusione. A suo parere, l’approvazione del fatto avrebbe rischiato di rafforzare questa setta “sopravviventista”. Mons. Ginoulhiac tenterà più tardi di distinguere i due fenomeni. E’ sorprendente che Mons. De Bruillard non abbia marcato le distanze da questo tentativo di appropriazione. Lui stesso non era sensibile al messaggio di restaurazione monarchica insito nella dottrina “richemontista”? In ogni caso, la feroce opposizione del cardinale De Bonald al fatto non riesce a frenare la decisione di Mons. De Bruillard di pronunciarsi in favore dell’autenticità»[75].
 
Effettivamente, questa ricostruzione dei fatti presenta una sua plausibilità e logicità. Ma ha bisogno di essere verificata all’interno del decreto di approvazione: se esso contenesse delle connessioni sostanziali con i timori espressi dal cardinale De Bonald, la probabilità che questi timori rappresentino una realtà sarebbe considerevole.
Ma proprio il decreto di approvazione non contiene nulla di simile. Anzi, esso presenta un dato sostanziale e rilevabile, che si presenta come elemento in controtendenza proprio rispetto a quell’humus per il quale il giudizio di Mons. De Bruillard avrebbe potuto e potrebbe rivelarsi debole e poco consistente (se non addirittura abilmente manipolato e, quindi, infondato e privo di ogni valore ecclesiale), vale a dire il distacco da un paradigmatico ordine sociale cristiano. E come prova ad ulteriore conferma di questo comportamento in controtendenza adottato da Mons. De Bruillard si pone un secondo elemento, anch’esso in dissonanza rispetto alle aspettative dell’ambiente circostante, ossia il modo di intendere la figura dell’apostolo, modello del missionario di Nostra Signora de La Salette.


 
1.3.1 Il distacco da un paradigmatico ordine sociale cristiano
Il primo elemento in controtendenza è che il messaggio de La Salette non parla di nobili, di Ancien Régime, della città e della politica, dei rapporti tra religione e politica, ma di patate, di uva, di grano, di contadini e carrettieri. È così significativamente assente quanto invece appartiene al nocciolo duro del movimento riparatore, che ritiene essenziale l’esistenza (e la ricostruzione) di una “societas christiana”[76]. Nel decreto di approvazione dell’apparizione, Mons. De Bruillard, parlando dei fini spirituali da essa derivanti, scrive:
 
«Dal momento che il fine principale dell’apparizione è stato il richiamo dei cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica, tenendo presente i vostri interessi celesti e anche terrestri, noi vi scongiuriamo, carissimi fratelli nostri, a rientrare seriamente in voi stessi, a fare penitenza dei vostri peccati, in modo particolare di quelli che avete commesso contro il secondo e il terzo comandamento di Dio. Vi scongiuriamo, fratelli nostri beneamati: rendetevi docili alla voce di Maria che vi chiama alla penitenza e che, in nome di suo Figlio, vi minaccia di mali spirituali e temporali se indurirete i vostri cuori, rimanendo insensibili ai suoi avvertimenti materni»[77].
 
Se è vero che la dimensione penitenziale, essenziale nella visione del mondo e della storia tendenzialmente negativa del movimento riparatore, viene qui assunta come prospettiva centrale del discorso, è pur tuttavia altrettanto vero che la forma specifica con cui viene espressa si discosta dalla sensibilità riparatrice. Mons. De Bruillard evita intenzionalmente sia un formulario giuridico che il susseguirsi di immagini a forte impatto emotivo, preferendo invece un linguaggio molto sobrio e improntato all’allusione scritturistica più o meno diretta, che si esprime nell’atto di scongiurare, nell’indurimento del cuore, nella voce/parola che chiama, nel rientrare in se stessi, nel rimanere insensibili, nell’avvertire.
Questo richiamo alla Scrittura si presenta come una costante dell’atteggiamento con cui Mons. De Bruillard si pone di fronte all’evento de La Salette e, come vedremo in particolare più avanti, manifesta anche il grado di autorità con cui egli si vuole pronunciare di fronte all’apparizione, poiché il decreto di approvazione assume come criteri di verità alcune indicazioni neotestamentarie, paoline e lucane in particolare. Inoltre proprio questo linguaggio sobrio e scritturisticamente allusivo manifesta l’assenza vistosa di quello che ci si sarebbe potuti e dovuti aspettare da un uomo, a detta dello storico Boudon[78], impregnato di giansenismo e riparazione (e pertanto sensibile e “manipolabile” su questo fronte): vale a dire il richiamo ad un ordine sociale cristiano paradigmatico e perennemente valido, unito alla restaurazione della monarchia[79].
Questo linguaggio allusivo della Scrittura permette invece al pensiero di svilupparsi senza legarsi a una figura sociale specifica, e così il cammino penitenziale delineato come tratto essenziale della risposta all’apparizione non diviene funzionale alla realizzazione di un progetto particolare, ma conserva la forza creatrice e innovatrice dei simboli con cui si esprime[80]. Ad ulteriore conferma di questo “modus operandi” Mons. De Bruillard, nel successivo decreto di fondazione del santuario e dei Missionari di Nostra Signora de La Salette (primo maggio 1852), scrive:
 
«A questo punto richiamate alla memoria, carissimi fratelli, l’epoca in cui Maria è apparsa sulla montagna de La Salette. Questa apparizione, il 19 settembre 1846, non è stata forse come una introduzione di ben più grandi avvenimenti? Guardate le agitazioni popolari, i troni rovesciati, l’Europa sconvolta, la società sul ciglio della sua rovina. Chi ci ha preservati e chi ci preserverà ancora da mali più grandi se non Colei che è venuta dall’alto sulle nostre montagne per piantarvi, in qualche modo, un segno di riconoscimento e di salvezza, un faro luminoso, un serpente di bronzo verso cui le anime pie hanno diretto i loro sguardi per allontanare lo sdegno celeste e guarirci da ferite incurabili!»[81].
 
Qui Mons. De Bruillard, pur riconoscendo la eccezionale gravità di alcune situazioni sociali specifiche e ben definite (e la loro conseguente negatività: “le agitazioni popolari, i troni rovesciati, l’Europa sconvolta, la società sul ciglio della sua rovina”), non solo continua a non propugnare una ermeneutica catastrofista capace di impressionare con la sua forza emotiva, ma utilizza anche la rilettura giovannea del serpente di bronzo esodico in modo sorprendentemente aperto, cioè privo di elementi che lo leghino in modo decisivo ad una particolare visione cristiana della società (visione ovviamente superiore ad altre possibili). Inoltre è la stessa allusione scritturistica da lui scelta ad essere altamente significativa: l’apparizione, una volta inquadrata in essa, non costituisce l’annunzio di un castigo inevitabile[82], ma “un faro luminoso […] per guarire ferite incurabili”, ossia la manifestazione di una misericordia assolutamente gratuita che ricostruisce e ricrea l’essere umano, che solo in una condizione di guarigione (assenza di malattia) può effettivamente prendere in mano le redini della propria vita[83]. In altre parole, la forza simbolica della “guarigione da ferite incurabili” di cui l’apparizione è “faro luminoso” risiede precisamente nella sua indeterminatezza e nella sua universalità. L’indeterminatezza fa appello alla responsabilità di colui che ascolta, che è così invitato a compiere quel cammino di “serio rientro in se stessi” già indicato da Mons. De Bruillard nel decreto di approvazione[84] come costitutivo della risposta all’apparizione, non tanto come sottomissione ad un ordine sociale immutabile (perché di diritto divino), ma come esperienza di vera e propria rinascita. Per parte sua, l’universalità insita nell’immagine della “guarigione da ferite incurabili” sta nel suo essere “cross-cultural”, cioè transculturale: tutti vi si possono accostare e tutti vi possono riconoscere una dimensione essenziale dell’esperienza umana in quanto esistenza polarizzata tra salute e malattia (a differenza invece di una polarizzazione socio-politica che come tale non è transculturale, ma “inner-cultural”, vale a dire interna al dinamismo storico di una specifica cultura e perciò non automaticamente universalizzabile).
Pertanto, le scelte linguistiche di Mons. De Bruillard, anziché porre l’apparizione su un binario centripeto prevalentemente (se non esclusivamente) interno alla Francia, così come avrebbe richiesto l’approccio tipico del movimento riparatore, la espongono ad un inaspettato movimento centrifugo: i fini dell’apparizione da lui enumerati si staccano dalla storia particolare della Francia per aprirsi potenzialmente alla chiesa universale, dal momento che essi sono raggiungibili in ogni luogo dove sia presente un cristiano. Di fatto, l’apparizione richiama i cristiani come tali, non i Francesi come nazione:
 
«il fine principale dell’apparizione è stato il richiamo dei cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica».
 
Nel medesimo decreto di fondazione del santuario e dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, Mons. De Bruillard ribadisce quanto già affermato nel documento del 19 settembre 1851 e scrive:
 
«Non è certo invano che la Madre della misericordia si è degnata di visitare i figli degli uomini [espressione scritturistica e perciò universale]. Non è invano che Ella, alla vista dei disordini che provocano la collera del suo figlio, è venuta come a rifugiarsi nelle nostre montagne [allusione scritturistica al testo di Os 10,8?], a piangere, ad avvertirci dei castighi che ci attendono se non ci convertiamo, se non ci ricordiamo del timore di Dio, del rispetto del suo santo nome [entrambi allusioni scritturistiche tipiche della tradizione sapienziale], della santificazione della domenica, dell’osservanza di tutti i comandamenti di Dio e della sua chiesa [ancora una volta si noti l’assenza vistosa del richiamo alla dimensione politico-religiosa della restaurazione]. Parole discese da così in alto devono avere un’immensa risonanza e devono essere intese da tutte le nazioni, così come il luogo dove Ella si è mostrata doveva essere tanto alto da poter essere visto da tutti i popoli [allusione scritturistica a Is 2, 2-5]. Richiamate a voi stessi l’origine di questo grande avvenimento: guardate la sua nascita pressoché sconosciuta, la sua veloce e rapida diffusione attraverso la Francia e l’Europa [allusione scritturistica alle parabole evangeliche incentrate sul contrasto tra la piccolezza iniziale del Regno di Dio e il suo stadio finale], il suo volo nei quattro angoli del mondo, infine il suo arrivo provvidenziale nella capitale del mondo cristiano [allusione al cammino della parola apostolica secondo gli Atti]. A Dio solo l’onore e la gloria! Noi non siamo stati che un debole strumento della sua volontà adorabile [allusione scritturistica a 1 Cor 1, 27-31] […] Per parte nostra, noi dobbiamo mille volte ringraziare [la Vergine] dell’averci gratuitamente scelti per essere gli araldi della sua gloria [allusione scritturistica sia agli evangeli che al corpus paolino] e della misericordiosa protezione con cui Ella vuole avvolgere per sempre la nostra beneamata diocesi, la nostra cara patria e il mondo intero»[85].
 
Questa dimensione centrifuga va tenuta presente anche nella fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette: se i fini dell’apparizione oltrepassano la storia della Francia e si estendono alla chiesa universale, sembra logico pensare che lo stesso cammino debbano compiere i sacerdoti incaricati di essere il “perpetuo ricordo della misericordiosa apparizione di Maria”[86]. Il medesimo decreto prosegue:
 
«La Santa Vergine è apparsa a La Salette per l’universo intero, chi può dubitarne? Ma Ella è apparsa anche in modo particolare per la diocesi di Grenoble, che ne riceve due vantaggi incalcolabili: un nuovo santuario a Maria e un corpo di missionari diocesani. Queste due opere sono state rese possibili dall’apparizione e per sempre esse perpetueranno il ricordo dell’apparizione»[87].
 
Ora, proprio questa dimensione centrifuga intenzionalmente collocata all’interno di un discorso altamente e costantemente allusivo delle Scritture, sorprendentemente presente nel decreto di approvazione dell’apparizione attraverso la definizione dei fini spirituali dell’apparizione stessa ed egualmente presente nel successivo decreto che annunzia la costruzione del santuario e la fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, testimonia ancora una volta e a suo modo il livello massimo di autorità episcopale esercitato da mons. De Bruillard davanti all’evento de La Salette. Ai suoi occhi di pastore, quanto da lui valutato riguardo l’apparizione riguarda non solo la sua chiesa particolare di Grenoble, ma la chiesa universale. Una simile consapevolezza non può essere disgiunta da un corrispondente livello di autorità impegnata: un evento potenzialmente universale richiede necessariamente il più alto livello di assunzione di responsabilità. Da questo punto di vista, La Salette unisce in sé il massimo della marginalità (si può e si deve essere cristiani senza di essa, perché un’apparizione non appartiene al “depositum fidei”) con il massimo della centralità (l’autorità vi si impegna con tutta se stessa e senza alcuna riserva, poiché un’apparizione è comunque parte integrante della vita della Chiesa in cammino nel tempo e della sua missione essenziale di radunare l’umanità attorno a Cristo[88]).
 
1.3.1.1 E i segreti?
A questo punto, si impone una osservazione ulteriore: tutto quanto appartiene all’immaginario del movimento riparatore e non è presente nel messaggio lasciato da Maria a Massimino e Melania, si riverserà sui segreti, in particolare quello di Melania, e su tutta la querelle ad essi legata[89]. Si ha così la fondata impressione che la querelle dei segreti nasca anche (se non soprattutto) come tentativo di reinserire in un alveo culturale condiviso e diffuso una realtà che, proprio per il suo essere in controtendenza, non gli si adatta pienamente. Detto in altre parole, la querelle dei segreti testimonia a suo modo quanto l’originalità e/o eccedenza del fatto de La Salette rispetto alle coordinate culturali condivise sia stata difficoltosamente accolta nella vita della Chiesa e quanti ostacoli abbia incontrato il giudizio di Mons. De Bruillard proprio in quello che ha di più specifico, ossia il riconoscimento esplicito di questi elementi in controtendenza e del loro carattere fondativo rispetto a una corretta ricezione dell’apparizione nella vita della Chiesa universale. Questa medesima osservazione va fatta, comunque, nei confronti di tutto il processo con cui l’apparizione è entrata a far parte della vita della chiesa negli anni successivi alla sua approvazione: gli elementi in controtendenza di cui Mons. De Bruillard si è fatto testimone sono stati praticamente riassorbiti all’interno delle coordinate tipiche del movimento riparatore e pertanto privati della loro carica di novità e di creatività[90].
In questo senso, la querelle dei segreti deve essere accostata con una disposizione ermeneutica differente da quella oramai abituale, che recentemente è stata così sintetizzata:
 
«In verità, La Salette ha due posterità: una saggia, l’altra folle, come le vergini della parabola. Una riconosce ufficialmente l’apparizione della Vergine e suscita il pellegrinaggio, qui controllato da vicino, nel suo epicentro, e in Bretagna o in missione, moltiplicato a dimensioni potenzialmente universali, cattoliche. L’altra ascolta il messaggio ed è soprattutto attenta in modo febbrile al segreto e a colei che lo porta, lo rivive, lo dice e ridice, soprattutto lo scrive e senza sosta lo riscrive, Melania, Suor Maria della Croce. E il mormorio di questo segreto diventa minaccia di uragano ogni volta che la terra di Francia trema o quando si trova priva di legittimità dinastica. La parola apocalittica di Melania si fa senz’altro intendere con difficoltà, dandosi il cambio con degli oscuri preti che vi apportano un’eco mediocre. Poi vengono degli interpreti più scintillanti, che cercano di parlare per suo conto e soprattutto per proprio conto, Huysmans, Bloy in primo luogo, poi Maritain che nessuno si aspettava qui, Claudel ed ancora Massignon. Strano corteo dove nessuno raggiunge il posto dei tre che emergono, Bloy, Maritain e Massignon, che si ritrovano per definire, ciascuno a suo modo, un essenziale che Roma rifiuta di intendere e, in tutti i casi, di prendere sul serio: una aspra critica del clero, un Dio dalle maniere rudi e guerriere che ammonisce il nostro mondo al fine di ricondurlo a lui, un fascino particolare nei confronti della Vergine in pianto del 1846, annunciatrice dei tempi della malvagità, e un fascino ancor di più nei confronti per la vergine errante [Melania] che, benché abbia fatto cento volte fruttare il suo segreto nel corso di una storia caotica, è rimasta inalterabilmente fedele»[91].
 
Nè tale querelle deve essere legata primariamente alla personalità dei veggenti e alle loro reali inconsistenze psicologiche,che hanno offerto e tuttora offrono il fianco a pesanti critiche nei confronti dell’apparizione. In relazione a questo specifico aspetto, si ha comunque l’impressione che in tale questione pesi molto l’assunto che solo la santità dei veggenti, santità riconoscibile, riconosciuta e proclamata ufficialmente dalla Chiesa, possa dare la certezza che quanto accaduto il 19 settembre 1846 è vero[92]. È assai significativo in proposito il pensiero di Maritain. In occasione del centenario dell’apparizione, nel 1946, mentre ricopre l’ufficio di ambasciatore di Francia presso il Vaticano, egli
 
«domanda [alla santa Sede e a mons. Montini in specifico] di “riservare” la questione del Segreto e di portare l’attenzione sulla “vita tutta intera del principale testimone [Melania], sulla sua fedeltà e sulle sue virtù”, che restano per lui la “questione fondamentale” rispetto alla quale tutti “gli altri problemi concernenti l’apparizione de La Salette” sono subordinati»[93].
 
Ma, come si è avuto modo di rilevare precedentemente, questa non è la strada scelta da Mons. De Bruillard per dichiarare autentica l’apparizione, una strada che a ragione va intesa come percorso obbligato proprio per il livello di autorità con il quale egli si è impegnato nel farlo[94]. Infatti, a rigore di termini, proprio questa fragilità intrinseca dei ragazzi dovrebbe da un lato testimoniare la loro incapacità ad inventare quel che poi hanno riferito (né loro né altri a tavolino avrebbero potuto costruire qualcosa di simile all’apparizione proprio perché essa non funziona secondo il modello ispirato alla sensibilità riparatrice). Dall’altro essa non è in grado di rendere ragione della loro costanza e della loro irremovibilità nel raccontare durante tutto il corso della loro vita senza alterazioni e cambiamenti quanto essi hanno vissuto sulla montagna de La Salette, pur davanti a minacce e sofferenze di vario genere. In definitiva, è proprio questa fragilità di Massimino e Melania a corroborare il riconoscimento che quell’evento viene da “altrove”, condensando così l’irruzione effettiva di una presenza “altra” e totalmente gratuita rispetto a quella dei ragazzi e del loro mondo. E’ quanto stabilito da Mons. De Bruillard: i ragazzi sono solo dei testimoni di cui bisogna verificare l’attendibilità nel senso che essi non hanno ingannato né sono stati ingannati, e rimangono perseveranti in ciò che dichiarano.
La storia dell’apparizione de La Salette offre così il triste spettacolo di un gioco perverso in cui si contrappongono due tendenze specularmente contrapposte a seconda degli orientamenti di partenza e che può essere così esemplificata: più i veggenti sono affetti da insufficienze psicologiche per una parte[95], più sono santi per l’altra parte[96]. L’unico effetto di questa contrapposizione è una stabile (se non crescente) marginalizzazione dell’apparizione nel vissuto della Chiesa.
In realtà, la querelle dei segreti, una volta staccata da queste parziali modalità di approccio, deve essere affrontata come la punta di un iceberg, costituito appunto da una progressiva “immobilizzazione” dell’eccedente individuato da Mons. De Bruillard nell’apparizione  e della sua conseguente negazione pratica attraverso il prevalere di motivi ed interpretazioni legate alle coordinate socio-culturali proprie del movimento riparatore, in primo luogo la spiritualità dell’espiazione.
Volendo esemplificare, se per Mons. De Bruillard l’apparizione è, come rilevato, “un faro luminoso […] per guarire ferite incurabili”, emblematico è quanto pronunziato dal suo successore, Mons. Pauliner, appena venti anni dopo, in occasione del pellegrinaggio nazionale a La Salette del 1872:
 
«Pellegrini venuti dalla capitale, da Parigi, voi siete i soli che preservano dalla distruzione completa la moderna Babilonia e il parafulmine [sic!] che allontana la tempesta e le impedisce di ridurre in cenere quelli tra i vostri monumenti che sono stati risparmiati dalla Comune»[97].
 
Lo storico Hilaire Multon così commenta questo passaggio:
 
«Utilizzando un vocabolario ricco di immagini, il prelato sottolinea il ruolo dei pellegrini venuti a pregare la Vergine de La Salette, che consiste nel riscattare le colpe dei non credenti e degli empi. Questo discorso sull’espiazione procede […] da una visione provvidenzialista della storia di Francia. Il padre Picard, assunzionista, evoca questa dimensione nel corso del medesimo pellegrinaggio […] La tradizione della “figlia prediletta della chiesa” appare sullo sfondo del suo discorso che iscrive il riscatto e il perdono in un vasto processo storico. Riscattare le colpe dei razionalisti, dei rivoluzionari, significa fare memoria delle gesta mirabili del popolo cattolico che ha contratto alleanza con Dio»[98].
 
Poi Multon riporta ancora un passaggio del padre Picard:
 
«E’ la fede che aveva reso dura quasi come la pietra la nazione francese. Essa aveva forgiato la sua spada nelle mani di Clodoveo, di Carlo magno, di San Luigi, e l’aveva resa invincibile contro l’iniquità. Ma dal giorno in cui questa spada si è rifiutata di uscire dal fodero per riparare l’ingiustizia, essa non ha avuto più ragion d’essere, ed ecco perché si è spezzata tra le nostre mani»[99].
 
Questa analogia con le crociate non va passata sotto silenzio[100]. Di fatto, Mons. Paulinier, accogliendo la delegazione proveniente dalla Borgogna, dirà ancora:
 
«Voi, generosi figli della Borgogna, voi arrivate nel giorno di San Bernardo, vostro compatriota, che nel passato spingeva verso i luoghi santi le folle incantate e affascinate dalla sua eloquenza. Voi avete ereditato da lui il gusto della crociate. Non è forse di fatto una crociata il vostro pellegrinaggio a La Salette?»[101].
 
La crociata è il luogo dove la Francia ha manifestato la sua fedeltà alla missione che Dio le aveva affidato: equiparare il pellegrinaggio a La Salette alle crociate (o quantomeno iscriverlo nel medesimo orizzonte emotivo e simbolico) significava attribuire alle parole della Vergine un invito pressante e decisivo a ritrovare questa vocazione di nazione cristiana destinata dalla Provvidenza a esercitare un ruolo da protagonista nello scorrere della storia.
Tutto ciò è richiamato anche da queste ulteriori parole del padre Picard:
 
«Sì, La Salette è veramente per noi oggi la montagna della mirra e la collina dell’incenso. Noi vi accorriamo per piangere e per pregare […] Noi vi accorriamo per riconquistare due grandi cose che fecero un giorno la grandezza [letteralmente “grandeur”] della Francia: il sacrificio e l’entusiasmo»[102].
 
La Salette diviene così il luogo in cui implorare il rinnovamento della nazione, perché tramite questo sia possibile anche il rinnovamento del mondo intero. In occasione del 25° anniversario dell’apparizione, il 19 settembre 1871, Mons. Paulinier aveva affermato:
 
«Dio ha voluto dare quest’anno una nuova dimostrazione: sono le calamità predette dalla Vergine delle Alpi, sono i terribili segreti affidati ai ragazzi, segreti conosciuti esclusivamente da Pio IX! “Povera Francia!” ha esclamato il papa, profondamente scosso nel leggere queste misteriose minacce. Si sono realizzati questi oracoli? […] Che cosa bisogna fare per scongiurare nuove calamità? Piangere con la santa Vergine, convertirsi e rinnovarsi»[103].
 
In definitiva, questo tipo di linguaggio è molto vicino a quello del segreto di Melania, che nella quinta e ultima redazione del segreto scrive:
 
«I capi del popolo di Dio hanno trascurato la preghiera e la penitenza e il demonio ha ottenebrato la loro intelligenza: sono diventati stelle erranti, che il diavolo farà perire. Dio permetterà al serpente antico di seminare divisione tra i regnanti, in tutte le società e in tutte le famiglie; si soffriranno pene fisiche e morali. Dio abbandonerà gli uomini a sé stessi e manderà castighi che si succederanno per più di trentacinque anni [...] Che il Vicario di mio Figlio, il Sommo Pontefice Pio IX, non esca da Roma dopo il 1859; ma sia fermo e generoso, e combatta con le armi della fede e dell'amore; io sarò con lui. Non si fidi di Napoleone: il suo cuore è doppio e quando vorrà essere insieme papa e imperatore Dio si ritirerà da lui; egli è quell’aquila che, volendo sempre innalzarsi, cadrà sulla spada della quale voleva servirsi per obbligare i popoli ad innalzarla. L’Italia sarà punita per l'ambizione di voler scuotere il giogo del Signore dei Signori; per cui sarà abbandonata alla guerra; il sangue scorrerà per ogni dove; le chiese saranno chiuse o profanate; i preti e i religiosi saranno cacciati; li faranno morire e morire di una morte crudele»[104].
 
Un tale linguaggio è però molto lontano da quello scelto e utilizzato da Mons. De Bruillard[105].
 


1.3.2 La figura dell’apostolo
Il secondo elemento in controtendenza nel processo globale di ermeneutica dell’apparizione è rilevabile nel modo con cui mons. De Bruillard tratteggia la figura del missionario di Nostra Signora de La Salette[106]. Nel suo pensiero, infatti, l’approvazione dell’apparizione e la fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette sono due tappe di un unico processo, vale a dire il processo di risposta che egli, come vescovo nel pieno esercizio della sua autorità, ritiene di dover dare davanti all’apparizione stessa[107]. Riportiamo nuovamente quanto scritto poco sopra:
 
«La Santa Vergine è apparsa a La Salette per l’universo intero, chi può dubitarne? Ma Ella è apparsa anche in modo particolare per la diocesi di Grenoble, che ne riceve due vantaggi incalcolabili: un nuovo santuario a Maria e un corpo di missionari diocesani. Queste due opere sono state rese possibili dall’apparizione e per sempre esse perpetueranno il ricordo dell’apparizione»[108].
 
Nel tratteggiare la figura del missionario si ritrovano elementi che appartengono a quella figura sacerdotale originale che si è affermata a partire dal 1700, che non è né devota né giansenista.
 
«Iniziata con i chierici riformati della Controriforma, approfondita con i rappresentanti della scuola francese, questa nuova maniera ha la meglio alla vigilia della rivoluzione francese […] Questa nuova figura, tuttavia, ha le sue radici in una teologia che, mentre insiste sulla dimensione sacrificale e gerarchica di tutta la vita sacerdotale, definisce la chiesa come società clericale in opposizione alla società civile. Come stupirsi allora che il modello di santità proposto ai fedeli sia il buon vescovo o il buon sacerdote? Non è forse questo il segno che le virtù che portano alla salvezza trovano i loro esempi nel cuore stesso della funzione gerarchica?»[109].
 
All’interno di questa scia, nel decreto che istituisce i Missionari di Nostra Signora de La Salette, mons. De Bruillard li definisce come
 
«sacerdoti, scelti tra molti altri, per essere i modelli e gli ausiliari del clero delle città e delle campagne […] Questo corpo di missionari è come il sigillo che noi vogliamo imprimere alle altre opere che, per la grazia di Dio, ci è stato dato di creare. È, per così dire, l’ultima pagina del nostro testamento: è l’ultimo lascito che vogliamo fare ai nostri amatissimi diocesani»[110].
 
L’esemplarità sia nei confronti del clero diocesano che di tutti i fedeli cui Mons. De Bruillard fa riferimento, esprime precisamente questo modello di santità principalmente incentrato sul sacerdozio gerarchico (ben altra sarà invece la posizione ecclesiologica e spirituale del Concilio Vaticano II).
Ma non si trova quanto, vista tale premessa, ci si sarebbe potuto e dovuto aspettare a partire dalla centralità dell’eucarestia nel movimento riparatore.
 
 
«Nella seconda parte del XIX secolo si assiste alla moltiplicazione delle devozioni e delle opere eucaristiche. Se la rivoluzione francese aveva influenzato la pietà eucaristica della prima metà del secolo, i moti del 1848 e del 1870-71, così come lo sviluppo dell’indifferenza religiosa, la stimolano, a quanto pare, ancora di più. La rivoluzione del 1848 in Francia, nonostante alcune eccezioni locali, non fu anticlericale. Tuttavia, durante la rivolta operaia delle giornate di giugno a Parigi, Mons. Affre, arcivescovo di Parigi, morì sulle barricate nel tentativo di fermare i combattimenti. La rivoluzione a Roma comportò la fuga del papa e l’instaurazione della Repubblica romana (novembre 1848). Il papa fece ritorno a Roma soltanto nell’aprile del 1850. Da questi fatti si può immaginare l’inquietudine dei cattolici e il desiderio di trovare rimedi, che non potevano essere altro che la riparazione e il ritorno alla pratica domenicale […] E’ nella messa domenicale che si trova il vero senso delle nozioni di libertà, uguaglianza e fraternità della Repubblica del 1848: “Che lezione di uguaglianza e di fraternità in questa riunione di ricchi e di poveri, di padroni e servitori, sotto gli occhi del Padre comune, venuti per sentirsi ricordare i loro doveri e riprendere per le loro colpe! Questo è un principio di vera libertà, d’emancipazione dalle cattive inclinazioni, nell’assistenza religiosa – e periodicamente obbligatoria – all’immolazione di un Dio per le creature”»[111].
 
Eppure, nonostante questo contesto, Mons. De Bruillard non sceglie l’adorazione dell’eucarestia come distintivo di questi uomini, ma la predicazione della parola di Dio: essi sono uomini della Parola di Dio e la loro esistenza si gioca tutta sulla capacità di annunziare questa parola. La scelta dell’adorazione dell’eucarestia sarebbe stata consona anche all’esperienza personale di Mons. De Bruillard. La “Congregation”, da lui diretta, sia nella sua sede centrale di Parigi che in quelle diffuse sul territorio francese, avrebbe infatti giocato un ruolo non di secondo piano nella formazione di personalità significative del movimento riparatore, quale Pauline Jaricot che «ossessionata dai peccati del mondo, con alcuni giovani operai e domestici fonda le Riparatrici del Cuore di Gesù misconosciuto e disprezzato, un’associazione la cui missione è “un’onorevole ammenda in azione”. Oltre a un’attività caritativa e ad un impulso al rinnovamento missionario, ella pone al centro della sua vita e della sua associazione la devozione eucaristica»[112].
Invece, il progetto di regola da lui approntato per questi sacerdoti si muove su un altro piano ed è molto esplicito:
 
«Il loro fine primario e principale è di venire in aiuto, attraverso le missioni, i ritiri, ecc, ecc, al ministero pastorale. E’ per questo che porteranno il titolo di Missionari diocesani. Essi saranno egualmente incaricati di servire il santuario de La Salette. Potranno essere incaricati della direzione dei seminari minori e dell’insegnamento alla gioventù»[113].
 
Per parte sua, nel decreto di fondazione Mons. De Bruillard afferma:
 
«Per quanto importante sia la costruzione di un santuario, c’è qualcosa di ancora più importante: sono i ministri della Religione incaricati di servirlo, di raccogliere i pii pellegrini, di far loro intendere la parola di Dio, di esercitare a loro favore il ministero della riconciliazione, di amministrare loro l’augusto sacramento dei nostri altari, e ad essere per tutti i fedeli dispensatori dei misteri di Dio (1 Cor 4,1) […] E’ un ricordo vivente che noi vogliamo lasciare alle nostre parrocchie, tutte e ciascuna; noi vogliamo rivivere in mezzo a voi, cari fratelli, attraverso questi uomini rispettabili che, parlandovi di Dio, vi faranno ricordare di pregare per noi»[114].
 
Se si tiene presente l’ordine cronologico di produzione di questi testi, che vede prima il progetto di regola (datato 5 marzo 1852) e poi il decreto che istituisce i Missionari di Nostra Signora de La Salette e la fondazione del Santuario (datato primo maggio 1852), si può ragionevolmente supporre che la sequenza adottata da Mons. De Bruillard per descrivere “i ministri della religione” rifletta una certa gerarchia ancorché implicita, che evidenzia la principalità del ministero della parola. In questa direzione punta anche la citazione della prima lettera ai Corinzi, imperniata sulla figura dell’apostolo: nei primi quattro capitoli della lettera, Paolo presenta infatti l’apostolo come l’uomo della parola e, più in specifico, l’uomo della parola della croce. Questi primi quattro capitoli della prima lettera ai Corinzi costituiscono in effetti il “testo guida” di cui Mons. De Bruillard si è servito per dare corpo ai Missionari di Nostra Signora de La Salette (e contengono anche elementi fondamentali utilizzati per approvare l’apparizione, come si vedrà in seguito).
Nel già menzionato progetto di regola si legge:
 
«Questa società di preti, destinati a divenire i vostri efficaci ausiliari e che, per diventarlo, fanno il sacrificio della loro persona, della loro posizione vantaggiosa, e abbracciano la vita povera, dura, laboriosa dell’uomo apostolico, richiede il vostro generoso concorso»[115].
 
 
La vita povera, dura e laboriosa dell’uomo apostolico sono così descritte da Paolo:
 
«Ritengo che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti fino ad oggi» (1 Cor 4, 9-13).
 
Sempre l’apostolo scrive alla comunità di Corinto:
 
«Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2 Cor 6, 3-10).
 
E’ innegabile la vicinanza di queste parole con il vissuto di Mons. De Bruillard, cappellano clandestino dei condannati a morte durante il Terrore. Così come è altrettanto innegabile la duplice tensione tra il mondo e il credente/apostolo e tra l’apostolo e la sua comunità che queste parole descrivono (si veda 1 Cor 1, 17.26-29.2,1-8.12-13). Proprio questa duplice tensione si presenta in controtendenza con il nocciolo duro del movimento riparatore, che annovera tra i suoi obiettivi una nuova cristianizzazione dell’ordine sociale e la riproposta di un indiscutibile modello di chiesa, che è la chiesa dell’Ancien Régime, saldamente radicata nella spiritualità dell’espiazione e centrata sul ruolo del clero, che deve suscitare e guidare il sentimento della colpa[116].
 
«La dimensione riparatrice, inseparabile ormai dall’adorazione eucaristica, si accordava senza problemi con la prospettiva sacrificale che Trento aveva evidenziato, integrando così la violenza nel mistero, per sublimarvela. La fondazione, nel 1652 ad opera di Catherine de Bar, delle Benedettine del Santissimo Sacramento, avrebbe conferito un singolare sviluppo a questa devozione, dato che il loro obiettivo era di onorarne la gloria attraverso “pratiche virtuose di pietà”, ma soprattutto di “offrirsi a Dio come vittime di espiazione, per soddisfare le orribili profanazioni commesse contro questo mistero assolutamente divino” […] La logica sacrificale che vede in Gesù, abbassatosi nel sacramento come già prima nell’incarnazione, la vittima e il sacrificatore – termini preferiti dalla sensibilità oratoriana, da Berulle a Condren – chiede l’offerta delle vittime, offerta che si annulla in una reciprocità d’amore per “gli interessi più puri della gloria di questo mistero”: superamento della violenza, da rivolgere volontariamente su di sé: “soffrendo nel vedere il Figlio di Dio così maltrattato, le anime sante intendevano vendicare su di sé un tale scempio”»[117].
 
L’immagine dell’apostolo, declinata a partire dai primi quattro capitoli della prima lettera ai Corinzi, si pone perciò come elemento inaspettato e divergente rispetto a quanto le coordinate riparatrici avrebbero suggerito.
 
1.3.2.1 Ancora una volta, e i segreti?
Questa divergenza dal mondo riparatore evocata dal modo con cui Mons. De Bruillard si lascia ispirare e guidare dalla figura dell’apostolo permette una ulteriore osservazione sulla querelle dei segreti e in particolare sul segreto di Melania. La tensione-scontro aperto tra il mondo con i suoi potentati e la comunità dei veri credenti, così come la tensione interna alla comunità tra veri e falsi cristiani, si presenta come messaggio centrale e decisivo nelle cinque successive redazioni del segreto, esprimendosi con un progressivo crescendo di immagini e notazioni[118]. La stessa figura dell’apostolo viene recuperata all’interno di questo segreto: la veggente de La Salette dovrebbe infatti fondare, per diretta volontà della Vergine, l’ordine religioso degli “apostoli degli ultimi tempi”. Melania infatti scrive:
 
«Io [Maria Vergine] indirizzo un pressante appello alla terra: io chiamo i veri discepoli del Cristo vivente e regnante nei cieli; io chiamo i veri imitatori del Cristo fatto uomo, l’unico e vero Salvatore degli uomini; io riconosco come miei figli, miei veri devoti, quelli che si sono donati a me perché io li conduca al mio divin Figlio, quelli che io porto, per così dire, tra le mie braccia, quelli che hanno vissuto con il mio spirito; infine io chiamo gli Apostoli degli ultimi tempi, i fedeli discepoli di Gesù Cristo che hanno vissuto nel disprezzo del mondo e di sé stessi, nella povertà e nell’umiltà, nel disprezzo e nel silenzio, nella preghiera e nella mortificazione, nella castità e nell’unione con Dio, nella sofferenza e sconosciuti al mondo. E’ tempo che essi escano e vengano ad illuminare la terra. Andate e mostratevi come i miei cari figli; io sono con voi ed in voi, purchè la vostra fede sia la luce che vi rischiara in questi giorni di sventura. Il vostro zelo vi renda come degli affamati per la gloria e l’onore di Gesù Cristo. Combattete, figli della luce, voi, piccolo numero; perché giunge il tempo dei temi, la fine delle fini»[119].
 
Si ha così l’impressione di trovarsi di fronte al medesimo solco inaugurato da Mons. De Bruillard. Ma in realtà, si tratta di due scenari profondamente differenti.
Nel segreto di Melania, la tensione-scontro aperto tra il mondo con i suoi potentati e la comunità dei veri credenti rimane essenzialmente debitore verso lo zoccolo duro del movimento riparatore: esso è infatti funzionale all’affermazione di quella “societas christiana” che costituisce il suo obiettivo di fondo.
 
«Negli ambienti cattolici, la sconfitta della Francia nel 1871 fu vista come una punizione per il disordine della vita pubblica durante i dieci anni del secondo impero. La Comune di Parigi (marzo-maggio 1871), in cui l’arcivescovo Mons. Darboy e molte decine di sacerdoti furono fucilati, rafforzò questa opinione. Ora più che mai bisognava riparare. La riparazione fu allora associata alla devozione al Sacro Cuore, radicata nelle dichiarazioni del Cristo a Margherita Maria Alacoque, a Paray-le-Monial nel XVII secolo. La stessa devozione al Sacro Cuore aveva una forte connotazione eucaristica, dato che ella ebbe alcune delle rivelazioni mentre si trovava davanti al tabernacolo. La devozione al Sacro Cuore, in Francia, alla fine del XIX secolo, ebbe due poli: Montmartre, a Parigi, e Paray-le-Monial […] E’ il periodo dell’Ordine morale, quando si spera di restaurare la monarchia in Francia. In questo clima, la devozione al Sacro Cuore e le sue connotazioni eucaristiche, che si riferivano già alle guerre della Vandea, hanno valenze politiche assai marcate che pesano su di esse ancora oggi […] Padre Drevon fondò a Paray-le-Monial, nel 1876, con il barone Alexis di Sarachaga, la Società del Regno sociale di Cristo attraverso l’Eucarestia, che creò lo “Hiéron”, un museo eucaristico e la rivista Le Règnede Jésus-Christ.Questo ambiente, animato poi da Georges e Marthe de Noaillat, organizzò alcune campagne per l’istituzione della festa del Cristo Re, che arrivarono alla conclusione nel 1924. Troviamo tra questi devoti del Sacro Cuore e dell’eucarestia numerosi creatori di opere sociali, come Léon Harmel, che sognano di ricostruire una società guidata dai principi cristiani»[120].
 
Nel pensiero di Mons. De Bruillard, questa tensione marca una separazione dalla priorità di ricostruire un ordine sociale cristiano, a beneficio di un ministero della parola come “memoria crucis” da annunciare pubblicamente in un contesto culturale sempre più segnato dalla pluralità dei linguaggi “secolari”, rispetto al quale la medesima “memoria crucis” si presenta, nel solco paolino, come contestazione e come speranza.
Nel segreto di Melania, la ricostruzione della “cristianità” passa attraverso la sottolineatura apocalittico-escatologica[121] di una catarsi-conversione di massa. Ella scrive:
 
«Guai agli abitanti della terra! Ci saranno guerre sanguinose e carestie; la peste e malattie contagiose; spaventose piogge di animali come grandine; tuoni che distruggeranno le città; terremoti che inghiottiranno le nazioni […] il sangue colerà da ogni parte […] Ecco il tempo; si apre l’abisso. Ecco i re delle tenebre, ecco la bestia e suoi adepti, sedicente salvatore del mondo. Si innalzerà con orgoglio nell’aria per arrivare fino al cielo; sarà respinto dal soffio di san Michele Arcangelo. Cadrà e la terra, che da tre giorni era in continua evoluzione, aprirà il suo seno pieno di fuoco […] Allora l’acqua e il fuoco purificheranno la terra e consumeranno tutte le opere dell’orgoglio degli uomini: Dio sarà servito e glorificato»[122].
 
Una simile conversione di massa non viene però guidata dalla istituzione clericale, centrale nel movimento riparatore e nella spiritualità dell’espiazione, in quanto depositaria del sacrificio espiatorio supremo: l’eucarestia. Al contrario, il clero viene violentemente attaccato:
 
«I preti, ministri del mio Figlio, i preti, per la loro vita malvagia, per la loro irriverenza e la loro empietà nel celebrare i santi misteri, per amore del denaro, per amore dell’onore e dei piaceri, i preti sono diventati cloache di impurità. Sì, i preti richiedono vendetta, e la vendetta è sospesa sulle loro teste. Guai ai preti e alle persone consacrate a Dio che, per la loro infedeltà e la loro vita malvagia, crocifiggono di nuovo il mio Figlio! I peccati delle persone consacrate a Dio gridano al Cielo e domandano vendetta, ed ecco che la vendetta è alla loro porta perché non si trova più una persona che implori misericordia e perdono per il popolo; non ci sono più anime generose, non ci sono più persone degne di offrire la Vittima senza difetti all’Eterno, in favore del mondo»[123].
 
Essa è piuttosto il frutto dell’opera di ordini religiosi purificati dalle nefandezze materialiste del passato, profondamente e radicalmente rinnovati rispetto a quelli tradizionali, a totale servizio di questa salvezza imminente, collettiva e terrena. Così, per Melania,
 
«l’età dello Spirito evocata sulla montagna de La Salette non è così lontana dalla “terza età” tale e quale la descrive la spiritualità gioachimita […] La veggente [Melania] si afferma come la depositaria degli ultimi preparativi della fine del mondo, incontrando il favore del rivolgimento politico e spirituale degli anni che seguono alla sconfitta del 1870 e alla Comune. Ella si inscrive, in certa misura, nella posterità di Gioacchino da Fiore, il quale fa poggiare il rinnovamento della fede sulla fondazione di ordini religiosi depurati dalle scorie materialiste del passato»[124].
 
Solamente questa escatologica conversione di massa risponde alle esigenze riparatrici, penitenziali ed espiatorie del messaggio de La Salette:
 
«I giorni seguenti alla sconfitta del 1870 davanti alla Prussia, segnati dall’umiliazione di Sedan, sono caratterizzati dalla moltiplicazione di opere esoteriche evocanti delle profezie più o meno antiche e più o meno conosciute. I loro autori, sacerdoti radicati nel mondo rurale, spesso molto eruditi, ricercano nella Bibbia i testi e le scritture che permettono loro di sondare l’avvenire, al fine di rassicurare i loro contemporanei […] In effetti, il testo dell’Apocalisse di San Giovanni è recuperato da alcune frange del cattolicesimo. Esso viene così sottomesso a un’interpretazione che si appoggia sui tragici avvenimenti del tempo presente, i quali incarnano e realizzano le predizioni annunciate da “Colei che piange” a La Salette nel 1846. Questo annunzio della fine dei tempi, fondato sul testo giovanneo, si articola con l’appello in favore del rinnovamento e della rigenerazione della fede cattolica, che si è fuorviata negli “errori del secolo” individuati e specificati dal papa Pio IX nel testo del Syllabus […] Bisogna così mostrare […] l’imminenza di un rivolgimento profondo dell’ordine politico, sociale e religioso. Nel senso stretto del termine, questi scritti […] immettono tra i fedeli un millenarismo diffuso, essendo questi ultimi portati a considerare le sciagure del tempo presente come i segni dell’Apocalisse»[125].
 
Nello stesso tempo, una simile conversione di massa possiede il potere di restituire ad una Francia “poenitens et devota” quel ruolo guida provvidenziale che le compete, ma che il mondo nato dalla Rivoluzione del 1789 le nega con sempre maggiore violenza. In questo solco si inserisce anche l’opera di Émilie Tamisier con i congressi eucaristici internazionali. Il comitato del congresso di Lilla (1881) così ne definì le finalità:
 
«L’Opera dei congressi eucaristici ha l’obiettivo di fare conoscere sempre di più, amare e servire nostro Signore Gesù Cristo nel santissimo sacramento dell’altare, attraverso solenni riunioni sociali e periodiche, e di fare in modo di estendere il suo regno sociale nel mondo intero. In ogni congresso, questo fine è perseguito in due modi: 1) con le preghiere, le comunioni, le adorazioni, gli omaggi solenni resi al Re dei re, e soprattutto con la manifestazione finale, che è un atto pubblico, splendido e, se possibile, nazionale di riparazione e d’amore nei confronti del santissimo sacramento; 2) con sessioni in cui si studiano i processi migliori da utilizzare per ravvivare e allargare la devozione alla santa eucaristia in ogni forma autorizzata dalla Chiesa […] La situazione attuale della società cristiana è tale da ispirare vivo allarme. Già fortemente scossa, da molti anni, dalla rivoluzione, essa oggi è minacciata da misure sataniche, che hanno l’obiettivo di scristianizzare il popolo, non solo in Francia, ma anche in altri paesi. Non c’è più istruzione religiosa a scuola, non ci sono più sacerdoti e non ci sono più chiese […] C’è necessariamente bisogno di un intervento divino straordinario […] Il modo migliore è diffondere il più possibile le opere eucaristiche, ossia ciò che è più adatto a portare l’uomo a recuperare la vita e a soddisfare, allo stesso tempo, la giustizia di Dio»[126].
 
Di fatto,
 
«in reazione alla laicizzazione, all’anticlericalismo e all’indifferenza, alcuni ferventi cristiani, uomini e donne, vollero non solo la conversione dei cuori, ma anche la proclamazione sociale, pubblica, della fede, in modo parallelo a quello delle ideologie avverse […] Questi primi congressi risentono dei problemi politici del tempo, soprattutto quelli francesi, così come della teologia eucaristica di allora. I cattolici avrebbero voluto arrestare la secolarizzazione della società e restituire il suo ruolo alla regalità sociale di Gesù Cristo […] Dato che i nemici della religione vogliono ridurre la fede a una questione privata, i congressi si affermano come una grande manifestazione popolare in cui Gesù-ostia è mostrato alla folla, possibilmente in una pubblica via»[127].
 
Nel pensiero di Mons. De Bruillard, invece, il riconoscimento dell’apparizione come evento provvidenziale non conduce dentro il “mondo” ancorato ai presupposti agostiniani della società medievale (che trovava il suo ideale nell’unità tra lo stato e la chiesa[128]), mondo in cui il ritorno alle sorgenti provvidenziali della storia di Francia e l’esaltazione della “gesta Dei per Francos” costituisce il tema principale[129]. Né conduce dentro un modello organizzativo specifico della comunità cristiana, o tantomeno ipotizza una conversione escatologica dell’umanità, ma apre piuttosto ad una dimensione universale caratterizzata, come abbiamo visto, dal dinamismo della parola di Dio che è sempre in movimento per raggiungere tutti i popoli ed offrire loro l’esperienza della rinascita senza legarsi ad un ordine sociale specifico.
In altre parole, ciò che Mons. De Bruillard rileva nell’apparizione de La Salette non è modellabile sull’assunto riparatore di una cristianità in stato d’assedio:
 
«Quando, dopo il 1815, trionfa la controrivoluzione, negli ambienti cattolici viene a crearsi una particolare mentalità, il cui peso si farà sentire in tutta la storia religiosa del secolo XIX, in forza della quale si condanna la società moderna originata da una rivoluzione, definita come satanica. Ancora sotto l’incubo del Terrore, clero e fedeli temono un ritorno di fiamma provocato dall’azione dei liberali, volteriani e borghesi, fedeli alla Rivoluzione e ostili alla Chiesa. Si sviluppa così una mentalità da assediati e una frattura dai propri contemporanei»[130].
 
Piuttosto, la sua insistenza sul dinamismo missionario non si appoggia sull’eucarestia quale sacrificio supremo di espiazione, ma sulla parola che scongiura, chiama, avverte, muove a rientrare in se stessi[131].
Volendo finalmente trarre una conclusione di ordine generale, è perciò non solo possibile ma doveroso riconoscere che non sono stati i veggenti (e Melania in particolare) a rendere ambigua la mariofania de La Salette, ma essi sono stati le prime vittime del ruolo che la progressiva ricezione-inculturazione nella vita della Francia ha fatto assumere all’evento del 19 settembre 1846: un ruolo diverso da quello che Mons. De Bruillard aveva individuato con il decreto di approvazione e la fondazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette.
 


 
2. Il decreto di approvazione approntato da Mons. De Bruillard
            Abbiamo già riportato nel corso di questo studio diversi brani del decreto di approvazione dell’apparizione, voluto e preparato da Mons. De Bruillard al termine di cinque lunghi anni di studio e di indagine sul fatto de La Salette. In queste citazioni si è già avuto modo di apprezzare l’originalità dell’approccio di Mons. De Bruillard, ma manca ancora uno sguardo sistematico su questo documento, che permetta di valutare in pienezza il fondamento teologico posto al livello di autorità (e quindi di ecclesialità) che questo stesso decreto intende esprimere come risposta ufficiale ed essenzialmente adeguata a quanto accaduto il 19 settembre 1846.
 
2.1 L’elaborazione del criterio di verità dell’apparizione
            Il punto di partenza (e insieme di arrivo) di Mons. De Bruillard è la ricerca di un livello di credibilità adeguato all’evento:
 
«Noi abbiamo dovuto per lungo tempo mostrarci scettici nell’ammettere come incontestabile [corsivo nostro] un evento che sembrava così meraviglioso. La nostra precipitazione non sarebbe stata solamente contraria alla prudenza che il grande Apostolo raccomanda ad un vescovo, ma avrebbe naturalmente fortificato le prevenzioni dei nemici della nostra fede e di tanti cattolici che lo sono, per così dire, solo di nome. Così, mentre una grande folla di anime pie accoglieva questo fatto con un grande coinvolgimento, noi ricercavamo con cura tutti i motivi che sarebbero stati capaci di farcelo rigettare [corsivo nostro], nel caso non dovesse essere approvato»[132].
 
Questo livello di credibilità viene raggiunto nel momento in cui viene individuato un criterio ermeneutico capace di far cadere tutti i motivi che sarebbero stati capaci di giustificare la non approvazione del fatto. Primo passo di Mons. De Bruillard è perciò il collocarsi all’interno di una tradizione specifica riguardante il suo ruolo e compito di vescovo, tanto che più in là egli ribadisce: «noi avevamo il dovere della più severa circospezione, principalmente a causa della nostra qualità di primo Pastore»[133].
Questa collocazione consente di delineare il punto di vista da cui guardare l’evento de La Salette; e nello stesso tempo ne indica la qualità e la natura che dovrà essere esaminata ed eventualmente dichiarata vera: vale a dire la sua specificità di fatto religioso, e la sua conformità alla vita di fede. Un approccio esclusivamente scientifico non è in grado di dare ragione dell’accaduto, dal momento che un’apparizione è per definizione qualcosa che va “oltre” le leggi naturali (esattamente come la resurrezione, che eccede infinitamente ogni dato fisico e naturale). Proprio per questo, Mons. De Bruillard evita in tutto il decreto di definire cosa vada inteso per apparizione. Lo storico Louis Bassette osserva:
 
«Quanto alle apparizioni, se le autorità ecclesiastiche sono abilitate a decidere se vi sia stata o meno un’apparizione, nessuno però ha mai percepito il mistero che le avvolge. E’ quanto Mons. D’Hulst esprimeva con una rara bonomia: “Le apparizioni sono senz’altro ed essenzialmente un fenomeno soggettivo. Là dove un’apparizione è dichiarata reale e di provenienza divina, vale a dire quando viene scartato il caso di un’allucinazione, la causa del fenomeno soggettivo è, in ultima analisi, la potenza di Dio. Ma se questa potenza di Dio si eserciti direttamente sull’immaginazione del soggetto per produrvi una rappresentazione sensibile, o si eserciti indirettamente attraverso la mediazione di una forma creata, questo è impossibile deciderlo”»[134].
 
Per Mons. De Bruillard, l’assenso alla verità dell’apparizione de La Salette (“ammettere come incontestabile”)[135] non deriva quindi da argomenti di natura esclusivamente scientifico-razionale, ma dalla sua conformità al paradigma inaugurato dall’evento Cristo. Detto in altre parole, la verità dell’apparizione de La Salette non dipende dalla capacità scientifica di esplicare, passo dopo passo, quanto è avvenuto. Sussiste sempre l’illusione che un discorso scientifico possa dare la certezza che quel che hanno visto Massimino e Melania era un corpo risorto; o possa dirci cosa sia un corpo risorto e quali siano le sue proprietà, o possa assicurarci che le parole riferite dai ragazzi sono le medesime parole pronunciate dalla Bella Signora. È, nel fondo, la medesima illusione (questa volta consegnata alla scienza) già rilevata nella tendenza a santificare sempre più i veggenti proprio per essere tranquilli e sicuri che la loro testimonianza è autentica e può essere pertanto accolta e vissuta nella Chiesa. Al contrario, tale verità dipende dalla sua capacità intrinseca di evocare il mistero del Cristo vivente in mezzo ai suoi. Le uniche motivazioni in grado di impedire l’assenso all’apparizione (“tutti i motivi che sarebbero stati capaci di farcelo rigettare”) devono perciò essere di ordine teologico.
 
2.1.1 Il ruolo del vescovo: testimone di Cristo
Mons. De Bruillard sceglie allora di confrontarsi e di ispirarsi alla figura del responsabile primo di una comunità cristiana così come emerge dalle pastorali paoline, in particolare la seconda lettera a Timoteo, che viene direttamente riportata nel decreto di approvazione sia con il metodo della citazione diretta che dell’allusione[136]. La scelta non è casuale, ma altamente significativa, per diversi aspetti, tenendo presente che la compresenza della citazione e dell’allusione indica un approccio olistico: è l’insieme della lettera che viene preso in considerazione per affrontare l’evento de La Salette. Sarebbe perciò un errore metodologico quello di fermarsi alla pura citazione della lettera, senza considerare né il micro né il macro contesto in cui essa si inserisce e da cui prende il suo senso: la Scrittura non viene utilizzata da Mons. De Bruillard come insieme di citazioni potenzialmente staccabili e su cui poggiarsi per poter costruire una “prova teologica”, ma in modo diverso, vale a dire come lo snodarsi di un pensiero e di un’esperienza capace di illuminare le diverse situazioni della vita[137].
Il primo aspetto che deriva da questa modalità di approccio e di utilizzo della Scrittura è che la figura del responsabile della comunità cristiana che emerge dal testo paolino è quella di un uomo segnato dalla sofferenza che deriva dall’annuncio fedele del vangelo: «Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla grazia di Dio» (2 Tim. 1, 8). Come già rilevato precedentemente, queste parole (come quelle delle lettere ai Corinzi)[138] sono molto vicine al vissuto personale del cappellano dei condannati a morte durante il Terrore.
Inoltre, le lettere pastorali evocano una situazione di crisi su un duplice versante, sia interno alla comunità cristiana che esterno ad essa, rispetto a cui il responsabile deve confrontarsi ed agire. Mons. De Bruillard intende inserirsi anche all’interno di questa situazione, dal momento che egli descrive analogamente il contesto dell’apparizione e del suo agire personale (“la nostra precipitazione non sarebbe stata solamente contraria alla prudenza che il grande Apostolo raccomanda al vescovo, ma avrebbe naturalmente fortificato le prevenzioni dei nemici della nostra fede e di tanti cattolici che lo sono, per così dire, solo di nome”).
Non va poi dimenticato il forte orientamento cristologico di questi scritti: il responsabile della comunità cristiana è colui che, in una situazione di crisi interna ed esterna, annunzia la grazia della «apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo, del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e maestro» (2 Tim, 1, 10-11)[139].
Questo è il quadro d’insieme che spiega la citazione esplicita della seconda lettera a Timoteo che  Mons. De Bruillard inserisce nel decreto:
 
«Noi abbiamo anche meditato spesso, ai piedi dell’altare, queste parole che il grande Apostolo indirizzava ad un santo Vescovo cui aveva imposto le mani: Se noi manchiamo di fede, la nostra incredulità non impedisce che Dio non rinneghi affatto sé stesso in quello che annuncia: “Se noi manchiamo di fede, egli però non può rinnegare sé stesso (2 Tim. 2, 13). Ripeti queste raccomandazioni ai fedeli, e rendi testimonianza alla verità davanti al Signore. Non perdere tempo per questo in dispute, che non giovano a nulla se non alla perdizione di chi ascolta (2 Tim. 2, 14-15)”»[140].
 
Si noti come anche come il contesto di questa esplicita citazione fa riferimento alla vita dura e laboriosa dell’apostolo il cui distintivo è l’annunzio della Parola: «Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola di verità» (2 Tim. 2, 15). Questo fatto rafforza la convinzione di trovarsi di fronte a dei veri e propri testi guida che Mons. De Bruillard ha ritenuto di utilizzare per dare una risposta adeguata all’evento de La Salette. La citazione in sé, poi, è decisiva ad un duplice livello, perchè l’affermazione della fedeltà di Dio che non rinnega se stesso pone il quadro nel quale inserire l’apparizione e perché il richiamo al gesto dell’imposizione delle mani dilata l’orizzonte sull’azione dello Spirito Santo.
 
2.1.2 Le apparizioni nella storia della salvezza realizzata in Cristo
 L’apparizione de La Salette è, secondo Mons. De Bruillard, parte di una storia: la storia della salvezza che Dio intesse con il suo popolo e che raggiunge il suo vertice decisivo in Cristo Gesù. La Scrittura testimonia diverse apparizioni[141], e sullo sfondo si intravede 2 Tim. 3,15-16, che parla esplicitamente del ruolo della Scrittura stessa nell’agire del credente (e a ben più forte ragione del responsabile di una comunità): «Fin dall’infanzia conosci le Sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona».
La Scritturatestimonia ed offre al credente le modalità con cui Dio interviene nella storia (il “codice proprio” del suo agire) e la prospettiva in cui deve essere collocato e colto questo agire di Dio testimoniato ed offerto dalla Scrittura non è quella dell’archeologia, ma dell’attualità: la Scrittura dice non come Dio agiva nel passato, ma come Egli agisca qui e adesso senza rinnegare ciò che ha già compiuto, dal momento che l’opera di Dio è una sola. Tra le differenti modalità che costituiscono il codice proprio dell’agire di Dio le apparizioni non sono da escludere, perché è la Scrittura stessa a ricordarle. Pertanto Mons. De Bruillard può affermare:
 
«Noi sappiamo, del resto, che  la religione di Gesù Cristo non ha minimamente bisogno di questo fatto [l’apparizione de La Salette] per stabilire la verità di mille altre apparizioni celesti che uno non potrebbe rigettare senza una disposizione di empietà e di bestemmia nei confronti dell’Antico e del Nuovo Testamento [corsivo nostro] […] D’altra parte noi eravamo strettamente tenuti a non ritenere impossibile un evento che il Signore (chi potrebbe negarlo?) avrebbe ben potuto permettere per farvi risplendere la sua gloria; poiché il suo braccio non si è raccorciato [allusione al motivo profetico del braccio del Signore] e la sua potenza è la medesima oggi che nei secoli passati»[142].
 
Affrontare l’apparizione de La Salette significa esaminare se essa sia il frutto della fedeltà di Dio, e quindi se essa corrisponda al “codice proprio” di tale fedeltà così come esso si delinea nella Scrittura. Proprio per questo e nello stesso tempo, affrontare l’apparizione de La Salette significa inserirla nel mistero di Cristo di cui essa va considerata parte (“la religione di Gesù Cristo”), mistero che esprime in pienezza la potenza di Dio (“il suo braccio non si è raccorciato e la sua potenza è la medesima oggi che nei secoli passati”). Il procedimento qui delineato garantisce il fatto che le apparizioni in genere e l’apparizione de La Salette in specie siano una realtà subordinata e non principale nella vita della Chiesa. Invertire questo ordine vorrebbe dire tradire la testimonianza della Scrittura. Ma, nello stesso tempo, rimanere in una attitudine esclusivamente negativa davanti a questi fenomeni equivarrebbe ad un medesimo tradimento della testimonianza scritturistica. I due estremi del marcionismo (eliminazione dell’Antico Testamento a beneficio di un Nuovo Testamento rivisto e corretto “ad hoc”) e del kantismo (la religione nei limiti della pura ragione) sono sempre da evitare per apprezzare la vitalità dell’esperienza di fede.
E’ al livello dell’inserimento dell’apparizione nel mistero di Cristo che si situa la saldatura tra l’orizzonte aperto dalla seconda lettera a Timoteo e quello in particolare dei primi quattro capitoli della prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi. Entrambi i testi, infatti, suggeriscono che la pienezza del mistero di Cristo e della potenza di Dio si attua nel dono e nelle opere dello Spirito Santo, cui Mons. De Bruillard aveva alluso ricordando il gesto dell’imposizione delle mani (“queste parole [relative alla fedeltà di Dio in Cristo] che il grande Apostolo indirizzava ad un santo Vescovo cui aveva imposto le mani”) e la prudenza richiesta al vescovo (“la nostra precipitazione […] sarebbe stata solamente contraria alla prudenza che il grande Apostolo raccomanda ad un vescovo”), prudenza che è eco della saggezza richiamata in 2 Tim 1, 7: «Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza».


 
2.1.3 Le opere dello Spirito Santo
            Poco prima di citare il testo di 2 Tim 13-15 e dopo aver alluso alla saggezza-prudenza dono dello Spirito alla luce di 2 Tim 1, 7, Mons. De Bruillard aveva continuato a descrivere l’azione di quest’ultimo come capacità di silenzio attento e interpretativo, attualizzando così il pensiero paolino:
 
«È vero, il nostro silenzio non era effetto di un vano timore che avrebbero potuto ispirarci le dichiarazioni di alcuni spiriti che irretiscono la Francia davanti a questo fatto come davanti a tanti altri fatti che interessano la religione. Questo silenzio deriva dall’avvertimento dello Spirito Santo, che insegna che colui che crede con troppa precipitazione è uno spirito inconsistente: “Chi si fida con troppa facilità è di animo leggero” (Sir 19, 4)»[143].
                                                                                             
            E’ in questo quadro che si pone il richiamo all’imposizione delle mani operato da Mons. De Bruillard. In sé esso è un’allusione a 2 Tim 1, 6; ma ciò che il vescovo di Grenoble aggiunge immediatamente dopo fa ragionevolmente supporre che esso ecceda la realtà specifica cui allude[144]. Infatti si legge:
 
«Durante il tempo in cui il nostro dovere e ufficio episcopale ci faceva obbligo di temporeggiare, di riflettere, di implorare con fervore la luce dello Spirito Santo, il numero dei fatti prodigiosi che venivano resi pubblici dovunque andava sempre crescendo. Si annunciavano guarigioni straordinarie [corsivo nostro],operate in diverse parti della Francia e all’estero, in paesi anche molto lontani. Si trattava di malati senza speranza e condannati dai medici a una morte vicina o a delle infermità perpetue, che si diceva restituiti ad una salute perfetta a seguito dell’invocazione di Nostra Signora de La Salette e dell’uso che essi avevano fatto dell’acqua di una fontana sulla quale la Regina del Cielo era apparsa ai due giovanissimi pastori [corsivo nostro]»[145].
 
            L’accostamento del gesto simbolico dell’imposizione delle mani con la realtà delle guarigioni evoca un contesto molto più ampio, che riprende insieme le tradizioni evangeliche e le tradizioni confluite nell’opera lucana. Esse fanno riferimento all’azione del Gesù terreno e all’operato degli apostoli nella chiesa nascente: lì l’imposizione delle mani diventa il segno dell’effusione e dell’azione dello Spirito Santo. Lo Spirito di Gesù guarisce, libera, salva. La presenza e l’azione dello Spirito sono un dato costante dell’esperienza apostolica e della nascente esperienza cristiana. Richiamando i primi quattro capitoli della prima lettera ai Corinzi[146], vi si può leggere la testimonianza di Paolo:
 
«la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio […] Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato» (1 Cor 2, 4-5.12).
 
 
L’attenzione di Mons. De Bruillard si ferma quindi sulla realtà dello Spirito quale potenza di Dio in atto: è infatti nell’azione dello Spirito che si manifesta la salvezza operata da Cristo. Affrontare l’apparizione de La Salette significa allora esaminare la sua conformità all’azione potente dello Spirito[147]. E quale paradigma dell’azione potente dello Spirito, Mons. De Bruillard, oltre al dato ribadito dalle lettere paoline, si ispira ai racconti dell’opera lucana[148], dove il segno della guarigione[149] assume un ruolo centrale tanto nel vangelo che negli Atti degli Apostoli. Come esplicitazione di questo orientamento, il vescovo di Grenoble richiama un’immagine esplicitamente lucana: il dito di Dio (Lc 11, 14-23). Egli scrive: «tutte le circostanze e le conseguenze [dell’apparizione] si riuniscono per mostrarci il dito di Dio»[150].
In questo suo modo di procedere, Mons. De Bruillard è ben lontano da una teologia “naif”, o da una spiritualità esacerbatamene rigorista e venata di provvidenzialismo[151], dal momento che il suo ragionamento raggiunge e ritrova i fondamenti stessi della Chiesa. La Chiesa esiste in virtù dell’azione potente dello Spirito, un’azione che si manifesta in parole e segni, sulla scia della stessa condotta di Gesù. Mons. De Bruillard sembra qui debitore di una cristologia e di una ecclesiologia capace di combinare sinteticamente gli orientamenti paolini con quelli risultanti dall’insieme dei vangeli e dall’opera lucana: la Chiesa esiste lì dove lo Spirito rende attuali i gesti terreni del crocifisso risorto, anche se nella sofferenza e nel contraddittorio con i falsi discepoli da un lato e con il mondo ostile dall’altro, in un continuo movimento centrifugo di espansione missionaria[152].
In altre parole, ciò che Mons. De Bruillard rileva è il medesimo movimento descritto in modo particolare negli evangeli e negli Atti: essi uniscono infatti la predicazione della Parola con i segni di guarigione e di liberazione (che ne costituiscono la certificazione di autenticità). Allo stesso tempo, questi racconti evidenziano il movimento della folla, che si dirige verso Gesù e verso gli apostoli, come parte integrante di questo dinamismo di liberazione e di salvezza.
Mons. De Bruillard rileva nell’apparizione de La Salette questo medesimo movimento:
 
«Un altro fatto che ci è sembrato appartenere al prodigioso è l’affluenza, difficilmente credibile e tuttavia al di sopra di ogni contestazione, che ha luogo su questa montagna nei diversi periodi dell’anno, ma specialmente nel giorno anniversario dell’apparizione, affluenza che diviene sempre più sbalorditiva sia per la lontananza del luogo che per le altre difficoltà che presenta un tale pellegrinaggio [corsivo nostro]»[153].
 
La rilevazione congiunta delle guarigioni e dell’affluenza della folla rappresentano così, per Mons. De Bruillard, l’espressione concreta dell’azione potente dello Spirito che fa nascere la Chiesa: sono il dito di Dio attraverso il quale Gesù continua a far giungere in mezzo agli uomini il regno di Dio, dal momento che la Chiesa esiste per annunciare nelle parole e nelle opere questo regno.
 
2.2 Il criterio di verità dell’apparizione: una sintesi
            Volendo riassumere il cammino fin qui compiuto, il criterio teologico della verità dell’evento de La Salette così come emerge dal decreto di approvazione elaborato da Mons. De Bruillard è il seguente: l’apparizione è vera e credibile in quanto riproduce il mistero stesso di Cristo e della Chiesa. La Chiesa, infatti, è il luogo dell’annuncio della Parola di Dio, testimoniata dalla Scrittura; è la comunità animata dallo Spirito di Gesù che guarisce, libera e salva; è il luogo dove si manifesta la potenza del regno di Dio, aperto a tutti coloro che desiderano farvi parte. Se l’apparizione non fosse in grado di riprodurre i dinamismi attraverso cui nasce e si forma la Chiesa, essa sarebbe decisamente falsa. Ovviamente il dinamismo di nascita della Chiesa cui Mons. De Bruillard fa riferimento non è e non può essere di natura sociologica: si tratta di un dinamismo soteriologico, dipendente dalla libertà divina fedele a sé stessa nella sua storia di salvezza in mezzo all’umanità[154]. È in questo senso allora che egli scrive:
 
«Noi sappiamo che non sono mancati degli oppositori. Quale verità morale, quale fatto umano o anche divino non ne ha avuti? Ma per modificare la nostra convinzione su un avvenimento così straordinario, così inspiegabile senza il riferimento all’intervento divino, di cui tutte le circostanze e le conseguenze si riuniscono per mostrarci il dito di Dio, ci sarebbe stata necessità di un fatto contrario, anch’esso straordinario, anch’esso inesplicabile come quello de La Salette, o che almeno esplicasse quest’ultimo in modo naturale; ora è proprio questo che non abbiamo trovato, e noi pubblichiamo apertamente la nostra convinzione»[155].
 
            Ciò che non può essere spiegato con cause essenzialmente naturali è proprio la nascita della Chiesa, dal momento che questa nascita è un atto divino che non può essere manipolato ma soltanto riconosciuto ed accolto con gioia e speranza. Pertanto Mons. De Bruillard afferma:
 
«Considerando, in primo luogo, l’impossibilità in cui ci troviamo di spiegare il fatto de La Salette in maniera altra rispetto all’intervento divino, qualunque modalità trovassimo, sia nelle sue circostanze, sia nella sua finalità essenzialmente religiosa; considerando, in secondo luogo, che ciò che di meraviglioso è seguito al fatto de La Salette è la testimonianza di Dio stesso, che si manifesta attraverso i miracoli, e che questa testimonianza è superiore a quella degli uomini e alle loro obiezioni; considerando che questi due motivi, presi separatamente e a più forte ragione riuniti insieme, devono dominare tutta la questione e togliere ogni specie di valore alle pretese e alle supposizioni contrarie di cui noi dichiariamo di avere una perfetta conoscenza; considerando infine che la docilità e la sottomissione agli avvertimenti del cielo possono preservarci da nuovi castighi dei quali siamo minacciati, mentre una resistenza troppo prolungata può esporci a dei mali senza rimedio […] Noi enunciamo quel che segue:
1.       Dichiariamo che l’apparizione della Santa Vergine a due pastori, il 19 settembre 1846, su una montagna della catena delle Alpi, situata nella parrocchia de La Salette, soggetta alla giurisdizione dell’arciprete di Corps, porta in sé stessa tutti i caratteri della verità, e che i fedeli hanno fondate ragioni per crederla indubitabile e certa.
2.       Riteniamo che questo Fatto acquisisca un nuovo livello di certezza per il concorso immenso e spontaneo dei fedeli sul luogo dell’apparizione, oltre che per la moltitudine di prodigi che hanno seguito questo avvenimento e della cui maggioranza è impossibile dubitare senza violare le regole della testimonianza umana.
3.       Per questo, volendo testimoniare a Dio e alla gloriosa Vergine Maria la nostra viva riconoscenza, noi autorizziamo il culto di Nostra Signora de La Salette. Noi autorizziamo la predicazione su questo grande avvenimento e di enunciarne le conseguenze pratiche e morali che ne risultano. […]
7.  Dal momento che il fine principale dell’apparizione è stato di richiamare i cristiani al compimento dei loro doveri religiosi, al culto divino, all’osservanza dei comandamenti di Dio e della Chiesa, all’orrore della bestemmia e alla santificazione della domenica, noi vi scongiuriamo, carissimi fratelli, in vista dei vostri interessi celesti e egualmente terreni, di rientrare seriamente in voi stessi, di fare penitenza dei vostri peccati e particolarmente di quelli che avete commesso contro il secondo e il terzo comandamento di Dio. Vi scongiuriamo, fratelli nostri beneamati: rendetevi docili alla voce di Maria che vi chiama alla penitenza e che, in nome di suo Figlio, vi minaccia di mali spirituali e temporali se indurirete i vostri cuori, rimanendo insensibili ai suoi avvertimenti materni»[156].
 
            Se il criterio teologico enunciato da Mons. De Bruillard per elaborare un simile giudizio è la conformità al mistero della Chiesa nelle sue dimensioni genetiche ed essenziali, si comprende come anche il grado di autorità impegnato sia il massimo possibile al medesimo livello teologico, dal momento che esso si rivolge a tutte le comunità non in quello che hanno di accessorio e di periferico nella loro vita, ma piuttosto in quelle che sono le loro stesse radici e la loro stessa missione: annunciare con la potenza dello Spirito il regno di Dio a tutte le genti. Si accoglie La Salette, allora, nella misura in cui si ritorna alla sorgente vitale da cui la Chiesa nasce e in cui la Chiesa rimane per poter vivere: di questa sorgente vitale l’apparizione è insieme memoria e profezia; e proprio per questa sua caratteristica, l’evento de La Salette è potenzialmente universale (verrebbe da dire, con Mons. De Bruillard, “cattolico”[157]) nella sua ricettibilità (“il fine principale dell’apparizione è stato di richiamare i cristiani al  compimento dei loro doveri religiosi”)[158].
 
2.2.1Il rapporto tra il criterio di verità dell’apparizione e i segreti
Una ricettibilità potenzialmente universale così modulata nel decreto di approvazione marca una triplice distanza dal segreto di Melania. La prima è di ordine teologico: il dinamismo ecclesiogenetico individuato da Mons. De Bruillard non è vi è riscontrabile. La seconda è di ordine storico: il dinamismo ecclesiogenetico descritto da Mons. De Bruillard non contiene alcuna preoccupazione di ordine politico. La terza è di ordine antropologico: la ricettibilità modulata dal decreto indica un dinamismo diverso da quello dei segreti così come viene inteso all’interno dell’ermeneutica propria della “suite mariofanica”, dal momento che tale ricettibilità si basa sull’annuncio di una parola pubblica udibile e ripetibile (appropriabile) da chiunque, proprio in quanto pubblica[159], in opposizione ai segreti che devono rimanere tali e non comunicati. Il decreto afferma:
 
«Ella [la Vergine] avrebbe conversato con loro sulle maledizioni che minacciavano il suo popolo, soprattutto a causa della bestemmia e della profanazione della domenica, e avrebbe confidato a ciascuno dei ragazzi un segreto particolare, con il divieto di comunicarlo a chiunque»[160].
 
Il decreto non descrive quali siano le eventuali caratteristiche dei segreti, ma, vista la sua formulazione, sembra supporre che si tratti di realtà linguistiche; esso lascia così intravvedere una differenza nella continuità: una parola pubblicamente annunciata e una parola taciuta. La parola pubblicamente annunciata, proprio in quanto realtà pubblica, assume necessariamente una forma comunicativa e una struttura il cui senso non riposa più esclusivamente in chi ne è depositario. La pubblicità di un annuncio e di un discorso porta con sé la sua ripetibilità; ed è proprio la ripetibilità che impone all’annuncio di assumere una forma compiuta, definitiva, la cui decodificabilità vada al di là dell’individualità del soggetto parlante per assumere una forma universalizzabile e perciò comprensibile (appropriabile e riutilizzabile autonomamente) da soggetti diversi da quello parlante.
Il fatto che i segreti debbano rimanere tali e non comunicati sta ad indicare invece la loro natura “non pubblica”. Ora, una realtà linguistica “non pubblica” si riferisce necessariamente all’esperienza individuale: è una parola “per” l’individuo e la sua storia ed è una parola che cresce con lui. Si tratta di una parola “aperta”, cioè non compiuta e non definitiva, perchè così legata a doppio filo con il divenire del soggetto parlante che ne è depositario da non poter assumere una forma compiuta e perciò universalizzabile e quindi ripetibile in maniera tale da garantirne la decodificabilità da parte di soggetti diversi da quello parlante. L’incomunicabilità dei segreti non è perciò il frutto di una autorità impositiva che così ha sovranamente (arbitrariamente?) deciso (e che teoricamente può in ogni momento ribaltare la propria decisione), ma è la manifestazione di una peculiare struttura comunicativa, vale a dire il silenzio che permette all’individuo di essere sé stesso e di porsi in relazione con sé stesso ed il mondo.


 
3. Problemi aperti
L’approccio decisamente creativo e innovativo di Mons. De Bruillard nei confronti del fatto de La Salette[161] che il presente studio ha cercato fin qui di evidenziare non ha però sortito, storicamente, l’effetto sperato. Anche il tentativo di Mons. Ginoulhiac, suo immediato successore, di arginare un vortice sempre più inarrestabile nel quale l’apparizione stessa stava cadendo, ha incontrato una medesima sorte. Nel suo cammino di ricezione ecclesiale, l’apparizione ha finito per identificarsi con i segreti e da elemento in controtendenza quale Mons. De Bruillard l’aveva compresa e accolta come segno nella e per la Chiesa, essa è divenuta strumento funzionale alle punte più estreme del movimento riparatore e nel momento in cui esso è andato incontro alla profonda mutazione seguita al Concilio[162], non è sembrato più esserci spazio per questo evento nella vita dei cristiani[163], se non quello segnato da elementi eterodossi quali il millenarismo e l’apocalittica e pertanto ai limiti stessi della comunità cristiana[164].
È storicamente fuori di dubbio che tornante decisivo di questo processo sia stato l’obbligo imposto ai ragazzi di mettere per iscritto i segreti. Lo stesso Mons. De Bruillard, nel decreto di approvazione, afferma il paradosso di questo atto:
 
«Un avvenimento tra i più straordinari, e che sembrava senz’altro incredibile, ci venne annunciato cinque anni orsono e si diceva accaduto su una delle montagne della nostra diocesi. Si trattava nientemeno che di una apparizione della Santa Vergine che si diceva essere apparsa a due pastori  (tutti e due nativi di Corps, Massimino Giraud e Melania Mathieu) il 19 settembre 1846. Ella avrebbe conversato con loro sulle maledizioni che minacciavano il suo popolo, soprattutto a causa della bestemmia e della profanazione della domenica, e avrebbe confidato a ciascuno dei ragazzi un segreto particolare, con il divieto di comunicarlo a chiunque […] Al nome del Vicario di Gesù Cristo, i pastori hanno capito che dovevano obbedire. Si sono dunque decisi a rivelare al Sommo Pontefice un segreto che fino ad allora avevano conservato con una costanza invincibile e da cui niente li aveva fatti recedere. Lo hanno dunque scritto essi stessi, ciascuno separatamente […] Così [con la scrittura dei segreti e il loro invio al Papa a Roma] è caduta l’ultima obiezione che veniva fatta contro l’apparizione e cioè che non esisteva alcun segreto o che questo segreto fosse senza importanza, se non addirittura puerile, e che i fanciulli non volevano farlo conoscere alla Chiesa»[165].
 
Ci si trova così di fronte ad un vero e proprio paradosso, dal momento che Mons. De Bruillard descrive una proibizione assoluta, valida per chiunque[166], e poi l’infrazione di questa stessa proibizione. Esso si inserisce nel già descritto quadro dello scontro tra il vescovo di Grenoble e il cardinale De Bonald, suo metropolita, mai convinto della verità dell’apparizione[167]. Nel marzo del 1851, il De Bonald, con la pretesa di agire in qualità di consigliere di Pio IX, scrisse alla curia di Grenoble chiedendo informazioni sui segreti. In realtà, egli non aveva ricevuto alcuno specifico incarico dalla Sede Apostolica[168]. Di fronte alle sue insistenze, però, la curia di Grenoble finisce per “capitolare” e richiede ai ragazzi di mettere per iscritto il segreto che avevano ricevuto. Non corrisponde al vero, come già rilevato precedentemente, il ritenere che Pio IX avesse richiesto la stesura dei segreti in vista dell’approvazione dell’evento: questo era quanto si voleva e si volle far credere ai ragazzi per vincere la loro riluttanza. Questo paradosso non cercato ma impotentemente subito, di fatto, distruggerà le loro vite e metterà la loro credibilità in dubbio presso molti, unitamente alla credibilità di tutto l’evento di cui furono testimoni.
 
3.1 La stesura dei segreti
Fino ad ora nessuno aveva avuto modo di leggere le due redazioni  dei “segreti” scritte dai ragazzi nel 1851 e nel 1854 su richiesta dei vescovi di Grenoble, De Bruillard e Ginouhliac. Esse erano state consegnate a Roma e se ne erano perse le tracce negli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questa lacuna è stata finalmente superata grazie allo studio portato avanti da Michel Corteville, sotto la guida dell’Angelicum di Roma e del mariologo René Laurentin: i testi delle due suddette redazioni sono stati ritrovati e sono stati pubblicati nel 2002 dalle edizioni Fayard di Parigi nel volume “Découverte du secret de La Salette”, a firma degli stessi Corteville e Laurentin[169].
Gli autori hanno indubbiamente il merito di aver ritrovato dei documenti necessari a una corretta ricostruzione storica della ricezione della mariofania de La Salette nella vita della Chiesa. Ma il quadro metodologico all’interno del quale essi li inseriscono è tale da suscitare delle riserve molto serie. In realtà, più che aprire degli interrogativi e delle possibilità, il libro sembra essere una perorazione “ex eventu” di alcuni postulati di ordine generale relativi alle apparizioni mariane, tipici dell’ermeneutica propria alla “suite mariofanica”. La conseguenza è una non dovuta sovrapposizione di quel che questo modello ritiene debba essere necessariamente una apparizione mariana alla mariofania de La Salette, per cui, se esso pone come centro comunicativo di questa apocalisse mariana in fieri la pretesa escatologica, ecco che i segreti diventano inevitabilmente il cuore pulsante dell’apparizione[170].
Questa non dovuta sovrapposizione si riflette anche sulla modalità con cui si accostano i veggenti, la loro persona e la loro storia. Il modello della “suite mariofanica”, infatti, prevede l’assimilazione (o, se si preferisce, l’identificazione, come già precedentemente rilevato) del veggente o dei veggenti ai ricettori/produttori di oracoli visionari. Ecco allora che gli autori imboccano decisamente la strada di rendere visibile la santità “straordinaria” dei veggenti, che se non ha potuto brillare fino ad oggi, non lo ha fatto a causa di un complotto esplicitamente e volontariamente ordito contro di loro da parte di chi era oggetto dell’aspro e definitivo giudizio di condanna espresso nell’oracolo. È questo che spiega i ripetuti concordismi e paragoni con alcuni santi (pienamente coerenti all’interno del modello della “suite mariofanica”[171]), che vengono sempre colti e ricordati nell’esercizio di doti/doni straordinari[172].
 
3.1.1 I segreti riscritti in quanto “visione”?
Presentandone i testi, gli autori fanno notare come i segreti siano modulati sul registro della “visione”:
 
«I veggenti non trascrivono solamente il ricordo delle parole, ma delle visioni che accompagnarono la rivelazione dei segreti […] La visione era immaginifica, simbolica, al di là delle “parole” […] C’è dunque di più nella visione che nelle parole. E tutto questo insieme parole-visioni, i veggenti lo comprendevano nella luce di Dio. Essi si riferiscono a questa luce, a questa illuminazione trascendente di cui i veggenti di Fatima, Francesco, Giacinta e Lucia, dicono in parallelo: “La luce, è Dio”. Melania lo esprime a suo modo»[173]. Gli autori, poi, inquadrano il registro della “visione” nella struttura della rivelazione delineata dal Concilio con la “Dei Verbum”: «[L’apparizione] riflette la struttura della rivelazione, che si dispiega davanti ai ragazzi su due piani distinti: messaggio e immagini»[174].
 
Queste affermazioni contengono due problemi. Il primo è che la struttura della rivelazione intesa dalla “Dei Verbum” parla di “gesti e parole” intimamente (sacramentalmente) connessi tra loro: non parla di “visione”[175]. Il “gesto” inteso come fatto storico sperimentabile linguisticamente non può essere assimilato alla “visione”, come affermano gli autori: essi stessi intendono la “visione” come una realtà al di là della storia, in quanto partecipazione alla stessa realtà divina nella quale la storia è stata già interamente riassunta. Proprio perché partecipazione intuitiva, diretta, della realtà divina, questa “visione” richiede necessariamente, secondo gli autori, delle riscritture successive, in quanto nessuna di esse è veramente in grado di esprimere tutto quello che la “visione” come tale porta con sé, dal momento che il suo potenziale comunicativo è eccessivo (nel senso etimologico del termine: eccede, va al di là, travalica) rispetto a quello posseduto dalle parole. Tali successive riscritture possono però essere fatte esclusivamente da chi è stato beneficiato dalla “visione”: non essendo questa un fatto storico sperimentabile linguisticamente (cioè attraverso la mediazione linguistica), essa si pone così al di fuori di qualunque processo di tradizione[176].
La tradizione è invece il processo entro il quale “Dei Verbum” situa la trasmissione della rivelazione, perché la tradizione indica un dinamismo comunicativo inclusivo: tutti possono (e debbono) prendervi parte grazie alla mediazione linguistica che permette di fare esperienza del fatto ormai accaduto una volta per tutte. Si può perciò affermare che le riscritture successive causate da una “visione” seguono percorsi differenti rispetto alle riscritture successive elaborate all’interno del processo comunicativo della tradizione: esclusività ed inclusività rimandano a realtà non sovrapponibili tra loro[177].
Il secondo problema è il seguente: sebbene gli autori parlino di “visione”, i diversi resoconti del racconto dell’apparizione riportano che nel momento di ricevere i segreti, i ragazzi hanno visto le labbra della Vergine muoversi senza però poter ascoltare nulla di quanto Ella diceva all’altro (e avendo potuto ascoltare solo quanto detto a sè stessi). Se le labbra si muovono… vuol dire che si sta parlando ancora! I segreti sembrano quindi appartenere all’ambito della comunicazione linguistica, come peraltro supposto dal decreto di approvazione, piuttosto che all’ambito della visione iconica[178]. La stessa prima redazione dei segreti, ritrovata dagli autori, li qualifica non come “visione”, ma come parola scambiata e detta[179]. Le successive redazioni dei segreti non alterano questo dato: è la Vergine che ha detto delle parole[180].
Di fatto, nell’ambito delle rivelazioni private, in cui si collocano le apparizioni,
 
 
«bisogna anche distinguere tra “rivelazioni mistiche” e “rivelazioni profetiche”. Le prime si rivolgono direttamente alla persona coinvolta, svelandole cose attinenti alla sua vita e sfera “privata”, mentre le seconde sono sempre destinate alla comunità umana e/o ecclesiale»[181].
 
La percezione della distinzione che intercorre tra le due dimensioni porta con sé anche il riconoscimento di una diversa pragmatica comunicativa propria a ciascuna: la struttura comunicativa dell’annuncio profetico segue, cioè, delle regole differenti rispetto alla comunicazione dell’esperienza mistica[182].
Nel modello della “suite mariofanica”, invece, questa differenza viene annullata e il segreto o i segreti divengono il luogo di confluenza e sovrapposizione della dimensione profetica (intesa principalmente come annunzio del futuro) con la dimensione mistica. In altre parole, il segreto assume in sé le strutture comunicative di entrambe, divenendo così “visione profetica”, ossia visione mistica che annuncia il futuro[183]. Ed infatti gli autori, coerentemente con questa posizione, assimilano lo stile dei segreti a quello dei profeti, per far poi coincidere tout court il linguaggio profetico con quello dell’apocalittica e dell’escatologia[184]. E per provare ulteriormente la correttezza di questa assimilazione, ricercano continuamente degli eventi che possono presentare delle somiglianze con quanto espresso dai segreti[185].
Queste due operazioni non sembrano però essere legittime: la prima, perché il linguaggio profetico è assai complesso nelle sue forme e strutture e ha tratti che lo distinguono apertamente dal linguaggio apocalittico e da quello escatologico, rendendo impossibile una sovrapposizione dei tre; la seconda, perché non rispetta le peculiarità tipiche dell’apocalittica e dell’escatologia, che non possono essere ridotte al tentativo di cronologizzare (cioè di dare scadenze temporali) all’azione divina.
Nel momento in cui il segreto diviene una visione-intuizione mistica che annuncia il futuro[186], l’apparizione assume una fisionomia ben definita e propria. Stefano De Fiores osserva:
 
 «Mentre assistiamo ad un profetismo che scopre Dio e la sua azione decifrando i segni della terra, le apparizioni appartengono ad un profetismo di tipo mistico che legge i segni del cielo. Le mariofanie rientrano in questo profetismo come forma soprannaturale che si rivolge alla fede e più ancora alla speranza»[187].
 
Ma, come più volte ricordato, sono soprattutto i veggenti ad essere elevati allo statuto di mistici. Lo stesso De Fiores scrive:
 
«Il concilio Vaticano II, con la dottrina dei carismi da “accogliere con gratitudine e consolazione (LG 12)”, invita a superare quell’atteggiamento severo e repressivo circa i veggenti prevalso nella Chiesa nel periodo post-tridentino […] Il veggente gode di un “profetismo” di tipo mistico, problematico per la nostra epoca secolarizzata, in quanto esso legge i segni del cielo piuttosto che i segni della terra. L’apparizione è un evento importante nella sua vita spirituale e segna profondamente l’itinerario religioso come una svolta decisiva e determinante»[188].  
 
Di fatto, però, un possibile esito di simile impostazione è che l’apparizione si trova ad essere al servizio del veggente e della sua esperienza spirituale, e non viceversa. Si tratta di una significativa “inversione”. Ed infatti, la querelle sui segreti de La Salette ha visto il progredire di una serie di non dissimili “inversioni”: dal discorso pubblico ai segreti; dalla “Bella Signora” che compie un atto profetico ai veggenti che divengono profeti; dalla memoria di Nostra Signora de La Salette alla memoria dei veggenti e di Melania in particolare[189].
Queste “inversioni” sono la conseguenza diretta del porre come normativa per tutti l’individualità propria dei contenuti del segreto, nonostante la sua difficoltà (o impossibilità) ad assumere una forma linguistica compiuta e universalizzabile[190]. Nella mariofania de La Salette l’opposizione, sancita dal decreto di approvazione, tra quel che può e deve essere comunicato e quello che non può e non deve esserlo segna il confine invalicabile tra la comunità e l’individuo: la comunità non può fagocitare l’individuo impadronendosi del sacrario della sua coscienza e rendendolo pubblico. Di fatto, il riconoscimento e l’accettazione della differenza esistente tra rivelazione mistica e rivelazione profetica[191] garantisce la salvaguardia del giusto confine e della giusta relazione tra individuo e comunità[192]. La sovrapposizione delle due elimina il confine tra individuo e comunità, innescando così una non-relazione che trova paradossalmente nelle successive riscritture del segreto il segno più evidente di una anomalia insieme comunicativa ed esistenziale.
 


3.1.2 I segreti riscritti per diretto intervento della Vergine?
La seconda ragione addotta dagli autori per motivare le successive riscritture è che esse sono ascrivibili ad un intervento diretto della Vergine[193], intervento posteriore all’apparizione del 19 settembre 1846. In occasione della prima stesura, essi affermano di Melania:
 
«Ella ha cambiato posizione all’ultimo momento “dalla sera alla mattina”, senza dubbio a causa di un nuovo intervento della Santa Vergine»[194].
 
Questa affermazione pone un serio problema, vale a dire il rapporto di questo presunto nuovo intervento con l’apparizione. Fondamentalmente, esistono due possibilità di intendere tale rapporto: o anch’esso è parte integrante dell’apparizione, oppure si tratta di qualcosa di qualitativamente diverso rispetto ad essa. Nel primo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento come parte integrante dell’apparizione, allora ciò vuol dire che l’evento non si è concluso il 19 settembre 1846: non siamo di fronte a una mariofania unica[195], definitiva in se stessa, ma un evento composto di più tasselli distesi lungo l’arco temporale della vita dei due veggenti e di Melania in particolare.
Ora, se l’evento non è definitivamente terminato il 19 settembre 1846, non si può parlare di una sua approvazione da parte della Chiesa. Il presupposto del decreto di approvazione firmato da Mons. De Bruillard, infatti, è che l’apparizione sia definitivamente terminata il 19 settembre: «Dichiariamo che l’apparizione della Santa Vergine a due pastori, il 19 settembre 1846, su una montagna della catena delle Alpi, situata nella parrocchia de La Salette, soggetta alla giurisdizione dell’arciprete di Corps, porta in sé stessa tutti i caratteri della verità, e che i fedeli hanno fondate ragioni per crederla indubitabile e certa»[196].
Le coordinate spazio temporali che vengono enunciate non sono espressioni linguistiche di circostanza, ma vanno prese in tutta la loro pregnanza: individuano un evento, gli danno forma; e dare forma a un evento significa dargli un confine (una identità) che lo separi da altri eventi. In questo senso è solo la conclusione di un evento che permette la sua valutazione[197]: se nel 1851 l’evento de La Salette fosse stato ancora in corso (“in fieri”), e così nel 1858, nel 1860 e nel 1878-1879 (vale a dire le date della riscrittura del segreto da parte di Melania), allora il decreto di approvazione del vescovo di Grenoble è semplicemente invalido e inutile, in quanto privo di un oggetto reale[198].
Nel secondo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento della Vergine come qualcosa di qualitativamente diverso rispetto all’apparizione, si danno tre possibilità: la Chiesa lo ha accolto; o lo ha rifiutato, negandogli i caratteri della verità; oppure non si è ancora pronunciata in merito.
Per dare una risposta sensata, bisogna partire dalla descrizione che gli autori fanno di questo nuovo intervento: di fatto esso ha costituito i veggenti e Melania in posizione assolutamente preminente come gli unici e veri esegeti dell’apparizione, autentici profeti-apostoli incaricati della missione di svelare completamente i segreti e di dare vita alla fondazione religiosa richiesta dalla Vergine a Melania nella sua apparizione[199]. Ora, il successore di Mons. De Bruillard alla guida della chiesa di Grenoble, Mons. Ginoulhiac, con il suo decreto del 4 novembre 1854[200] ha esplicitamente rifiutato i caratteri della verità alla missione dei due veggenti: questa «missione segreta dei veggenti»[201] è il frutto delle fortissime pressioni ambientali esercitate sui due ragazzi.
 
«Le predizioni che sono attribuite a Melania con il relativo senso che gli si riconosce, non hanno fondamento e sono anche senza importanza in rapporto al Fatto de La Salette dal momento che, come quelle di Massimino, esse sono certamente posteriori ad esso e non vi intrattengono alcun legame»[202].
 
La costatazione di questo pronunciamento porta a concludere che l’approccio adottato dagli autori non conduce ad alcun risultato e anziché aprire degli orizzonti ottiene l’effetto contrario di sigillarli completamente. Riguardo il primo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento della Vergine volto a permettere e incoraggiare la stesura-riscrittura dei segreti come parte integrante dell’apparizione, il che postula necessariamente che l’apparizione stessa non si è conclusa il 19 settembre 1846, non esiste alcuna via di uscita: il decreto di approvazione non possiede alcun valore perché è privo del suo oggetto. Gli autori non si pongono semplicemente il problema perché tendono a sovrapporre e a far coincidere i contenuti di questo nuovo intervento con la “visione” che costituisce i segreti, in modo da “retrodatare” tutto al 19 settembre 1846. Ma allora non si capisce in che cosa consista questa reiterata novità di intervento diretto della Vergine: novità rispetto a cosa? O a chi? La domanda cade nel vuoto e lascia il dubbio fondato che quello dell’intervento diretto della Vergine (sebbene testimoniato da Melania) sia un modo per attribuire una qualità sacra e divina all’imbarazzante fenomeno della riscrittura dei segreti de La Salette e superare così le difficoltà che un simile fatto pone.
Riguardo il secondo caso, ossia se si considera questo nuovo presunto intervento della Vergine come qualcosa di qualitativamente diverso rispetto all’apparizione, di fronte al giudizio negativo espresso in maniera esplicita da parte della Chiesa nella persona di Mons. Ginoulhiac[203], gli autori trovano e indicano una via di uscita nella costruzione di un argomento double-face: dimostrare da un lato la santità dei veggenti[204] e dall’altro l’errore volutamente menzognero costruito e perpetrato da Mons. Ginoulhiac ai loro danni[205]. Il fine consequenziale di questa argomentazione è mostrare l’invalidità e l’inapplicabilità di tale pronunciamento negativo sia nei confronti delle loro persone che della loro costante e paziente testimonianza dei segreti contro tutto e contro tutti[206].
Si è già ricordato che gli autori presentano Mons. Ginoulhiac come persona non totalmente convinta dell’autenticità dell’apparizione[207], pienamente devota all’Impero francese di Napoleone III[208] fino al punto da avere rapporti sempre più tesi con i veggenti[209], che per parte loro non amavano l’imperatore, e giungere alla decisione finale di separare definitivamente i ragazzi dall’apparizione. Decisione questa che gli autori qualificano come scelta di carattere sostanzialmente politico e non teologico. Essi scrivono:
 
«Mons. Ginoulhiac doveva sostenere il movimento di pellegrinaggio a La Salette, secondo le intenzioni di Mons. De Bruillard e Pio IX, ma non poteva sostenerlo contro l’impero (anche dal punto di vista della lealtà all’impero secondo l’insegnamento di San Paolo). L’unica soluzione politica era desolidarizzare il più possibile il pellegrinaggio dai veggenti[210], ossia ciò che Mons. Ginoulhiac espresse in una formula mirabilmente efficace durante la sua omelia del 19 settembre 1855 a La Salette, di fronte a 9.000 pellegrini: “La missione dei pastorelli è finita, inizia quella della Chiesa”. Questa massima determinerà la sua azione costante per scartare e marginalizzare i veggenti, impedire i voti di Melania e l’accesso al sacerdozio per Massimino»[211].
 
Ma gli autori non si fermano qui e si spingono più avanti: oltre che dal fattore politico (che quindi non impegna la teologia e la spiritualità), Mons. Ginoulhiac sarebbe mosso, in questo suo procedere, dai suggerimenti della contessa Pauline de Nicolay, pseudomistica tenuta però in grande considerazione dal padre Burnoud, superiore della comunità dei sacerdoti incaricati del servizio del Santuario, i Missionari di Nostra Signora de La Salette. A loro parere, questa donna
 
«“ispirata” a denunciare Melania per prendere il suo posto a La Salette […] ha letteralmente fornito [a Mons. Ginoulhiac] la formula che risolve l’antagonismo tra il religioso e il politico, salva il pellegrinaggio e abbandona i veggenti»[212].
 
Questa posizione degli autori non è storicamente sostenibile. È stato già rilevato come la candidatura di Ginoulhiac alla successione di Mons. De Bruillard sia stata proposta da quest’ultimo, dal momento che egli desiderava ardentemente un successore che portasse avanti l’opera da lui iniziata con l’approvazione dell’apparizione e la fondazione del santuario come dei Missionari di Nostra Signora de La Salette[213]. Così come è stata già mostrata la natura specificamente ecclesiale (e non politica) del decreto del novembre 1854. In relazione poi alla supposta influenza della pseudomistica contessa de Nicolay su Mons. Ginoulhiac, i documenti attestano che il giudizio di quest’ultimo nei confronti dei primi Missionari di Nostra Signora de La Salette è sempre stato molto duro e severo proprio a causa dei loro legami con questi circoli di donne pseudo-mistiche (la contessa, infatti, non era la sola)[214]. Nell’estate del 1857, Mons. Ginoulhiac apostrofava questi sacerdoti come «pazzi, imbecilli, bambinoni che non sanno quell che fanno»[215]. Ai suoi occhi, tali legami con questi circoli di pseudo-mistiche impedivano, di fatto, alla prima comunità dei Missionari di stabilizzarsi attorno a un progetto di vita che accogliesse in pieno quanto voluto da Mons. De Bruillard nella loro fondazione[216]. Ne consegue che una benevola e diretta influenza della contessa su Mons. Ginoulhiac quale quella supposta dagli autori attraverso l’opera del padre Burnoud[217], risulta assai problematica, improbabile e inverosimile.
Piuttosto, l’aver affermato che la missione dei pastorelli è finita, essendo iniziata quella della Chiesa, è un ancora una volta un ritorno di Mons. Ginoulhiac al decreto di approvazione emanato da Mons. De Bruillard.
 
«L’approvazione dell’apparizione e la sua consegna alla Chiesa universale perché vi trovi una rinnovata spinta a cercare, trovare e testimoniare il mistero di Cristo nel mondo segna il momento del “distacco”: Massimino e Melania passano in secondo piano. Anche se testimoni privilegiati di una grazia particolare, essi non ne sono gli interpreti né i “garanti”: nulla, nel decreto di approvazione, è loro “riservato”. L’approvazione dell’apparizione consegna alla Chiesa universale il messaggio pronunciato dalla “Bella Signora” e non la vita dei due ragazzi: essi rientrano nel nascondimento, come i “servi inutili” del Vangelo. Rimangono invece le parole di Maria e il loro sconvolgente richiamo al “suo Figlio”. Molti non accettarono questo passaggio, e ritennero che Massimino e Melania fossero gli autentici interpreti del significato dell’apparizione soprattutto a causa del segreto che era stato loro affidato, segreto che si caricava così delle attese più disparate diventando, nello stesso tempo, un cuneo profondo per entrare nell’animo dei due giovanetti e un mezzo da essere usato contro il nemico di turno, sia dentro che fuori la Chiesa. Il segreto ricevuto inizia così ad essere la fonte di una vera e propria “identità pubblica”, soprattutto per Melania, e conquisterà un ruolo centrale nella storia della diffusione e della ricezione dell’apparizione, il più delle volte a scapito di quel messaggio che l’approvazione della Chiesa aveva invece riconosciuto e offerto a tutti i cristiani come fonte di rinnovamento e di testimonianza»[218].
 
 
3.2 I segreti estorti con la violenza
            La cruda realtà storica mostra impietosamente come la stesura dei segreti nasca da un atto di violenza perpetrato nei confronti dei due pastorelli, i quali hanno tentato fino all’ultimo di opporsi a tale richiesta, dato inconfutabile che tutti sono obbligati ad ammettere[219]. Una violenza nata come conseguenza dello scontro tra il cardinale De Bonald e Mons. De Bruillard sulla veridicità dell’apparizione. Perciò anziché ipotizzare un nuovo e diretto intervento della Vergine per sbloccare la situazione o cercare di dimostrare la santità mistica dei veggenti volutamente marginalizzata (ipotesi che creano molti più problemi di quelli che dovrebbero risolvere, anche se perfettamente coerenti e necessarie all’interno del modello ermeneutico della “suite mariofanica”[220]), occorre piuttosto accettare questo dato in tutta la sua portata, perché non può essere ritenuto estraneo alla stessa elaborazione degli scritti.
Oltre che essere stato un atto di violenza psicologica e morale su ragazzi completamente indifesi, un marchio indelebile le cui conseguenze essi hanno dovuto scontare per tutta la vita schiacciati da un vortice più grande di loro[221], la costrizione alla rivelazione e scrittura dei segreti ha di fatto privato Massimino e Melania dell’unico orizzonte interpretativo degli stessi (il che non può essere considerato una violenza minore o secondaria rispetto alle altre). Di fatto, il segreto confidato in quanto segreto, ossia in quanto forma comunicativa non ripetibile, istituisce questa parola come parola “per” il soggetto ricevente: non è una parola “per” altri. Ciò vuol dire che l’orizzonte di tale parola “per” il soggetto non è costituito dalle attese, dalle idee, dalle propensioni, dalle aspettative di chi circonda il soggetto e intrattiene legami (di varia natura e livello) con lui.
In altre parole, l’orizzonte del segreto in quanto tale non è la vita di chi circonda il soggetto che lo riceve[222]: se il suo orizzonte fosse la vita di quelli che sono intorno al soggetto, esso assumerebbe necessariamente una forma linguistica diversa, vale a dire una forma linguistica ripetibile e perciò condivisibile, proprio per venire incontro a quelle attese, aspettative, idee e favorirne la circolazione[223].
La violenza imposta ai ragazzi e da loro subita è stata questa sostituzione arbitraria, autoritaria, ingannevole e senza alcun fondamento dell’orizzonte ermeneutico della parola che avevano ricevuto. Essi sono stati costretti a trasformare una parola detta “per” loro in una parola detta “per” altri. Questo implica necessariamente (e in modo causalmente dipendente da quella stessa violenza) una “riformulazione” della parola precedentemente intesa. In questo contesto, il termine “riformulazione” indica il mutamento di due livelli: il livello della relazione con il soggetto che aveva confidato il segreto; e il livello della relazione con gli altri soggetti.
 
3.2.1 La riformulazione delle relazioni
Viene riformulato il livello della relazione con il soggetto che aveva confidato il segreto. Infatti è necessario superare la percezione oggettiva del tradimento: rendere pubblico quel che pubblico non è significa, di fatto, tradire la relazione (non solo appartenente al passato ma tuttora in atto) che si sviluppa a partire dalla consegna del segreto. Ovviamente, una percezione del genere non può essere sopportata dai ragazzi, che sono vittime innocenti, e da Melania in particolare, che dei due è la più sensibile. Ecco allora che la rottura del segreto violentemente imposta ai ragazzi viene “riformulata” come evento già previsto e, in definitiva, esplicitamente giustificato e voluto da Colei che aveva dato e imposto il segreto. A questo livello, “riformulare” la parola dei segreti precedentemente intesa ha significato, per i ragazzi, liberare se stessi dal peso insopportabile del tradimento e garantire la continuità di relazione con Colei che li aveva loro confidati (e garantire, di conseguenza, la continuità di relazione con Dio e il suo Figlio).
Viene poi riformulato il livello della relazione con gli altri soggetti, ancora grazie al superamento della percezione del tradimento. L’attribuzione dello svelamento dei segreti alla stessa Vergine fornisce, infatti, la base per questo ulteriore passaggio, in quanto sta a significare, al di là di ogni possibile tradimento, che quelle parole sono effettivamente “per” gli altri e non “per” i ragazzi nella loro individualità. Se questa parola segreta è “per” gli altri, allora ecco che si apre la sua relazionalità genetica con le “loro” vite, le “loro” attese, le “loro” paure, le “loro” speranze. Il significato di quelle parole che costituiscono i segreti è “dentro” di loro, è “dentro” la “loro” vita. Da un rapporto di differenziazione essenziale tra individuo e comunità, quale era quello mantenuto dal segreto non comunicato, non rivelato, si passa ora a un rapporto di fusione tra individuo e comunità. Questo rapporto non è imputabile ai ragazzi in virtù di una loro anormale fragilità psicologica, ma è un rapporto generato dalla comunità stessa poiché essa (nella persona della gerarchia ecclesiastica) non ha rispettato il limite invalicabile del sacrario della coscienza dei due ragazzi e lo ha violentemente abbattuto richiedendo e ottenendo di conoscere i segreti.
Volendo essere ancora più precisi, questa è la “riformulazione” che si opera: i ragazzi non sono più separati (differenziati) dagli altri in una loro individualità propria e intangibile, ma si trovano “dentro” gli altri, in un rapporto di fusione dove i confini come tali tra individuo e comunità non esistono più e rimangono indifferenziati. Il segreto rivelato li trasporta “dentro” la vita di coloro cui esso viene annunciato e questo essere “dentro” la vita di coloro cui il segreto viene annunciato diventa la base per comprendere quella stessa parola. È dunque dalle attese, dalle paure, dalle speranze, di coloro “dentro” ai quali si trovano che i ragazzi debbono ora partire per raggiungere l’intelligibilità di quella parola che invece era stata loro rivolta come parola esclusiva “per” loro stessi in modo da rafforzare la loro differenza (individualità) rispetto alla comunità (il loro confine, necessario ad una giusta relazione con gli altri). L’ermeneutica della “suite mariofanica”, pur nascendo dal bisogno reale di articolare la relazione tra individuo e comunità, non è però in grado di rilevare e valutare adeguatamente questo fenomeno di riformulazione. Esso viene pertanto approcciato in termini di “missione” dei veggenti rispetto ad una comunità tendenzialmente negativa e contraria nei loro confronti e da ricondurre perciò all’accettazione-obbedienza. Solo che tale “missione” non è di autorità divina; non deriva cioè da un effettivo invio imputabile alla Vergine (prima “riformulazione”: è la Vergine che ordina l’abolizione del segreto), ma è la conseguenza del rendere pubblica, secondo le regole e i presupposti della comunicazione pubblica, una parola che nella sua origine è esclusivamente individuale e personale: è l’abbattimento del confine tra individuo e comunità, il cui esito è una continua prova di forza reciproca, distesa lungo l’intero arco temporale, tipica di una (non) relazione fusionale.
Molto probabilmente è qui la radice, insieme psicologica e spirituale, della tumultuosità della vita vissuta da Massimino e soprattutto da Melania la cui esperienza, in rapporto a quella di Massimino, è molto più ricca e sfaccettata. Una volta violentati nel sacrario della loro coscienza, tutto nella loro esistenza è stato di conseguenza alterato[224]. Ma si tratta di una alterazione successiva all’evento dell’apparizione, che si può connotare addirittura come tentativo di distruzione della credibilità dell’apparizione stessa. Questo era infatti rimasto l’intento del cardinale De Bonald, intento cui la pretesa di conoscere i segreti era drammaticamente funzionale. Il 28 novembre 1852, dopo poco più di un anno dalla pubblicazione del decreto di approvazione che egli aveva inutilmente cercato di bloccare, il cardinale scrive a Mons. De Bruillard:
 
«Io mi domando, monsignore, come la minaccia di disastri di cui dovrebbero essere afflitte certe province se non si convertono possa essere materia di un segreto. Giona non riteneva segreta la rovina da cui Ninive era minacciata. Al contrario, questi flagelli debbono essere gridati sui tetti. Se Massimino avesse deciso di non rivelare il suo segreto; se non fosse stato costretto ad inviarlo a Roma, a cosa sarebbe servito questo mistero? Quale fine avrebbe avuto la missione della Santa Vergine?»[225].
 


 
3.3 Massimino e Melania
Alla luce del percorso fin qui compiuto, emerge l’urgenza di restituire a Massimino e in particolare a Melania quella giustizia e quella gratitudine ecclesiale che non è ancora loro riconosciuta come si dovrebbe.
 
«Proprio in base all’evangelico “dai frutti giudicherete l’albero”, possiamo affermare che nella tortuosa vicenda de La Salette davvero “tutto è grazia”! Certo, la vita di Melania fu avventurosa, tribolata e contrastata, eppure ovunque è stata ha lasciato tracce profonde. Non solo per il grande impegno nella preghiera e la mortificazione, nella cura degli orfani e la riforma della vita consacrata, ma soprattutto per la tenacia — fino all’ostinazione, secondo i detrattori — che manifestò nel difendere quanto lei ha progressivamente ritenuto essere la volontà espressa da Maria sulla montagna de La Salette. Fu la fedeltà a quella volontà che la spinse a muoversi, a far valere le proprie ragioni, a scegliere un’esistenza nomade pur di far conoscere quello che ai suoi occhi appariva sempre più come un messaggio doloroso, eppur necessario alla salvezza della Chiesa. Nella sua vita e nel suo segreto, Melania ha scritto la “sua” interpretazione del messaggio de La Salette, da lei mai alterato o cambiato, ma sempre ripetuto con fedeltà ed eroismo [corsivo nostro]. La verità storica […] ci dice che in Melania stessa è possibile distinguere quel che passa e quel che resta del messaggio de La Salette: passano le modalità con cui gli individui e le comunità rispondono alla grazia, ciascuno nel suo contesto e nella sua storia. Resta invece la grazia, che attraverso le parole della “Bella Signora” arriva fino a noi perché diveniamo icona del Crocifisso Risorto, cuore sempre attuale della storia e della vocazione dell’intera umanità»[226].
 
Per costruire questo itinerario di giustizia e gratitudine verso Massimino e Melania sembra preferibile avvicinare la loro storia privi dell’equazione santità/capacità-fenomeni-doni straordinari, consapevoli che essa non è richiesta dall’apparizione in maniera logicamente causale[227] e che si tratta di una precomprensione di metodo piuttosto che di una realtà storica. Il rischio insito in tale opzione è quello di ottenere l’effetto contrario rispetto a quanto desiderato: il modello oracolare utilizzato per comprendere i ragazzi e la loro testimonianza si muove paradossalmente sulla medesima lunghezza d’onda della violenza subita dai veggenti quando sono stati costretti a rivelare e mettere per iscritto quanto loro confidato dalla Vergine. È una violenza perché, al fine di dare credibilità alla loro testimonianza, pretende dai ragazzi che essi corrispondano a un’idea già stabilita: per vedere la Vergine e adempiere alla missione che questa visione porta con sé, essi debbono essere santi, di una santità adeguata alla qualità della suddetta missione. Dal momento poi che, nel caso di Melania, questa missione si presenta come decisiva (“escatologica”) in relazione ai destini della Francia e del mondo, una santità adeguata ad essa non può che essere straordinaria[228]. Questo itinerario può comprendere tre momenti: le indicazioni di Mons. Ginoulhiac, un contributo alla comprensione dei criteri di obbedienza e di salute psichica dei veggenti e la loro specifica testimonianza carismatica.
 
3.3.1 Le indicazioni di Mons. Ginoulhiac
Può sembrare paradossale il riferimento a quanto scritto da Mons. Ginoulhiac nel decreto del 4 novembre 1854, dal momento che la valutazione ivi presentata e il suo tagliente ed energico comportamento nei confronti di entrambi i ragazzi e soprattutto di Melania non sono stati interpretati come una forma di sostegno o di riconoscimento loro offerto. Eppure, una lettura liberata dai pregiudizi che la storia ha funzionalmente costruito può aprire esattamente questa via inaspettata[229]. Il decreto del 1854 recita:
 
«Poveri, leggeri e bizzarri, dall’indomani [del fatto] essi hanno resistito alle seduzioni e alle minacce le più capaci di impressionare due ragazzi della loro età ed estrazione sociale. Né l’uno né l’altro si sono mai smentiti durante tre anni […] Del resto, nell’attestazione del fatto in se stesso e nella conservazione di quello che essi chiamano il loro segreto, essi si sono mostrati di una fermezza che ha sconcertato gli uomini più risoluti ad abbatterla, e di una abilità che ha smontato costantemente le questioni meglio preparate […] Divenuta dopo il 19 settembre 1846, da parte di un gran numero di persone, comprese le più considerabili e distinte, l’oggetto di attenzioni delicate, di prevenzioni tenere e rispettose che rassomigliavano a una specie di culto, sarebbe poi così sorprendente se [Melania] non si fosse lasciata vincere dall’attaccamento al suo proprio sentire, che è uno dei grandi pericoli che corrono le anime favorite da doni straordinari? Questo attaccamento al suo sentire e le singolarità che ne costituiscono il naturale seguito hanno attirato [letteralmente “fissato”]  la nostra attenzione, sin da quando ne siamo stati informati; e nonostante la Comunità rendesse omaggio alla sua pietà e al suo zelo nell’istruzione dei bambini, noi abbiamo creduto nostro dovere di rifiutare di ammetterla ai voti annuali, al fine di formarla efficacemente alla pratica dell’umiltà e della semplicità cristiana, che sono i mezzi necessari e più sicuri per preservare dalle illusioni della vita interiore […] Del resto, la condotta da noi tenuta verso questi ragazzi permette una rimarcabile osservazione. Cioè che malgrado le misure che noi abbiamo preso nei loro confronti, e che sono sembrate severe, benché noi avessimo affermato più in alto che ogni diniego da parte loro non avrebbe avuto alcuna importanza; malgrado il malcontento e lo smarrimento che essi hanno provato, sebbene noi avessimo loro accordato la più grande libertà sia nelle loro relazioni abituali sia nei loro viaggi; di fronte a questa sorta di provocazioni, e con tutta la facilità di smentirsi, essi non sono cambiati nel loro linguaggio sulla verità del Fatto de La Salette, e non è loro mai scappata alcuna parola, una minaccia, da cui si possa inferire che non sono convinti»[230].
 
Non sembra assolutamente deprezzante e deprezzatorio parlare dei ragazzi come di persone capaci di fermezza nella sofferenza loro imposta dalla testimonianza, considerata la loro età, estrazione sociale ed anche la loro bizzarria (ossia il non aver ricevuto una educazione sistematica e mirata, volta cioè a suscitare e mantenere stabili determinati atteggiamenti personali). Ciò che viene apertamente riconosciuto è lo spessore teologale di queste due persone, dal momento che si afferma positivamente il vincolo da esse percepito nei confronti dell’esperienza di grazia che avevano ricevuto. Un vincolo reso manifesto precisamente dalla sofferenza patita: è una oblatività crocifissa quella che viene descritta come un dato di fatto, una esperienza concreta che Massimino e Melania scelgono non per compiacere l’uditorio, ma per un’altra causa, ossia il fatto de La Salette. Questa oblatività crocifissa non è separabile dallo spessore teologale della persona, ma al contrario lo costituisce e lo esprime. Ciò che il decreto esclude è che tale spessore teologale sia stata la causa dell’apparizione; ciò che il decreto afferma è che esso costituisce una conseguenza osservabile dopo l’evento del 19 settembre 1846 in relazione ad esso[231].
Il decreto contiene però la “famigerata” espressione “oggetto di culto” in relazione a Melania[232]: come spiegarla e armonizzarla con lo spessore teologale che le viene comunque riconosciuto? In primo luogo, riconducendola alla prospettiva del documento che è parziale e non totale: Mons. Ginoulhiac non sta descrivendo la globalità della persona di Melania, ma l’accertato atteggiamento delle folle dei primi pellegrinaggi, che esaltava i due ragazzi ai limiti della venerazione[233]. In secondo luogo rilevando che quella di Mons. Ginoulhiac è una prospettiva “aperta”:  se attualmente, nel momento in cui si scrive, Melania si trova di fronte a delle illusioni, che sono il frutto delle enormi pressioni ambientali (e quindi di qualcosa che non si è cercato, ma che si è piuttosto subito), per il futuro non c’è alcuna previsione. Non si dice, cioè, che cosa necessariamente avverrà; per Melania è ancora aperta la porta per essere fedele alla propria realtà di persona “favorita da doni straordinari”, realtà che non è messa assolutamente in dubbio e che si radica nella grazia dell’apparizione. Questa porta aperta coincide, come nella molteplice attestazione della tradizione, con la sottomissione al giudizio della Chiesa. E il giudizio della Chiesa, nella circostanza precisa, è costituito dal legittimo giudizio del vescovo, in primo luogo quello di Mons. De Bruillard che ha accertato la soprannaturalità dell’esperienza vissuta dai due ragazzi e ha indicato le modalità attraverso cui riceverla nella Chiesa stessa; giudizio strutturalmente ribadito ora dal suo successore in una situazione di crisi di credibilità dell’apparizione e dei suoi testimoni. Di fatto, a Melania (e a Massimino) nulla impedisce di essere parte viva di quel giudizio che loro stessi, con la loro testimonianza perseverante e sofferente, hanno contribuito a costruire. Ora, nonostante tutte le contraddittorietà della loro vita, sia Melania che Massimino sono rimasti fedeli alla loro realtà di persone favorite da doni straordinari, perché nonostante il disprezzo che li ha sempre circondati[234] e le diverse manovre di cui sono stati vittime (dai monarchici lealisti agli apocalittici e occultisti[235], passando per significativi strati del clero), essi hanno continuato a ripetere senza cambiamenti o alterazioni il messaggio pubblico (non i segreti) che udirono quel 19 settembre 1846 dalle labbra di colei che essi hanno sempre chiamato “la Bella Signora”[236].
In terzo luogo, l’affermazione va compresa tenendo conto anche del suo lato debole, ossia dell’incapacità di Mons. Ginoulhiac (e di Mons. De Bruillard prima di lui) di valutare appieno le conseguenze del comando estortore dei segreti. In questo, entrambi sono rimasti figli del loro tempo e di una Chiesa clericocentrica dove la dignità dei fedeli laici non veniva percepita appieno. Pur riconoscendo un sorprendente spessore teologale ai veggenti, Mons. Ginoulhiac (e Mons. De Bruillard prima di lui) non hanno percepito i limiti della loro autorità: i ragazzi sono comunque rimasti ai loro occhi persone su cui si riteneva lecito esercitare una potestà assoluta, non sufficientemente illuminata e guidata dalla responsabilità del servizio (che pur hanno dimostrato nei confronti del discernimento sull’evento de La Salette in sé). Nei fatti, richiedendo di conoscere i segreti, essi sono stati coloro che hanno “ufficialmente” infranto il limite invalicabile della coscienza individuale, scatenando una serie di reazioni a catena che ha indelebilmente segnato le vite di Massimino e Melania senza che essi avessero una qualche possibilità di reazione e di difesa. Nessuno dei due vescovi è stato infatti sfiorato dal dubbio relativo al proprio operato e ha pensato alla successiva storia della vita dei veggenti come conseguenza delle proprie decisioni, se non in termini di pura obbedienza gerarchica alle diretteve emanate (anche se fondate). In questo senso, essi possono essere considerati come i testimoni “involontari” di una attesa e di un desiderio di purificazione che troverà il suo sbocco nel Concilio Vaticano II[237].
 
3.3.2 I criteri di obbedienza e di sanità psichica dei veggenti
            Nella querelle sui segreti e sul segreto di Melania in particolare, molti hanno ravvisato nella veggente (e anche in Massimino) un comportamento segnato da una mancanza di equilibrio sia psicologico che spirituale, accentuando ora l’uno ora l’altro aspetto. Oltre a Melania, a venir messa in questione è stata di conseguenza anche l’apparizione di cui era stata testimone: le affermazioni del decreto di approvazione e del decreto di Mons. Ginoulhiac sembravano improvvisamente non veritiere in un passaggio essenziale, quello della attendibilità dei testimoni. Infatti, «per la valutazione di una presunta rivelazione è indispensabile l’esame attento della persona del veggente, le cui principali qualità devono essere l’equilibrio psicologico e psichico e la fede viva, perché non si scambino allucinazioni o fantasie esuberanti per apparizioni»[238]. Come potevano essere attendibili dei ragazzi  che venivano percepiti e presentati come sofferenti di problemi psichici e/o non docili alle direttive della Chiesa? Il teologo Augustinus Suh scrive:
 
«Dal punto di vista psichico, morale e spirituale, occorre determinare se i veggenti siano persone equilibrate o abbiano tendenze patologiche. Questo esame è utile per appurare se una rivelazione presunta sia autentica o sia un’allucinazione. Dal punto di vista morale e spirituale si può pensare a due criteri. Il criterio negativo è l’individuazione di difetti nel soggetto: mancanza di sincerità, abitudine all’esagerazione o all’invenzione dei dati oggettivi o tendenza all’indiscrezione. Il criterio positivo consiste nell’esame delle virtù delle persone coinvolte: l’umiltà, l’obbedienza e la santità»[239].
           
Il criterio negativo, proposto dal Suh, è rilevabile in quanto accertato dai decreti dei vescovi De Bruillard e Ginoulhiac: per il primo, «la costanza e la fermezza della loro testimonianza […] non ha mai subito variazioni né davanti alla giustizia umana né di fronte alle migliaia di persone che hanno esercitato tutti i mezzi di seduzione per farli cadere in contraddizione o per ottenere la rivelazione del loro segreto»[240]; per il secondo «essi non sono cambiati nel loro linguaggio sulla verità del Fatto de La Salette»[241]. I resoconti dell’apparizione dettati più volte dai veggenti manifestano infatti una sorprendente costanza e sobrietà: essi cioè non contengono elementi ascrivibili all’indiscrezione o all’esagerazione, né si soffermano su elementi secondari che di volta in volta vengono sottolineati o aggiunti ed elevati al rango di dati primari. Il racconto è asciutto e le parole del messaggio sono indipendenti dall’uditorio e dalle sue aspettative, cioè non cambiano in base ad esso. Tutto questo si ripete lungo l’intero arco temporale della vita di Massimino e di Melania, senza variazioni sostanziali e apprezzabili. I vescovi De Bruillard e Ginoulhiac sono consapevoli che questo dipende essenzialmente dal fatto che la parola che i veggenti ripetono è “per” la comunità e, come tale, per validare sé stessa, questa parola deve rimanere inalterata affinchè la comunità che si evolve e non è mai staticamente uguale a sé stessa possa ascoltarla, comprenderla e farla propria.
            A differenza del messaggio pubblico, i segreti seguono un dinamismo diverso, quello della riscrittura e dell’accrescimento progressivo, completamente assente nel primo. Fermarsi alla schizofrenia di questo fenomeno ed ipotizzare delle cause psicologiche corrispondenti nelle persone non sembra metodologicamente fondato e corretto. I segreti non sono il frutto di personalità disturbate, che in essi trovano una modalità di espressione aperta e non arginata o repressa dalle strutture sociali di controllo. Un simile ragionamento parte dal presupposto che tra parola da pronunciare e parola da tacere non esista alcuna differenza, sia dal lato semantico che da quello pragmatico. È  invece proprio questa differenza semantica e pragmatica il punto di partenza di una metodologia capace di esprimere non i suoi presupposti di partenza (impliciti o espliciti che siano), ma la complessità del fenomeno. La parola da annunciare e la parola da tacere indicano la non sovrapponibilità tra comunità ed individuo e l’impossibilità di risolvere l’una nell’altro, ponendo regole uguali e indistinte per lo sviluppo di entrambi[242].
Posto perciò il riconoscimento della differenza esistente tra la parola da annunciare e la parola da tacere, bisogna anche rilevare che con la scrittura e riscrittura dei segreti ci si trova di fronte ad una situazione anomala: la trasformazione di una parola taciuta in parola annunciata a causa della violazione dell’intimità dell’individuo da parte della comunità che, nel corso del processo valutativo e a motivo di esso, non ha saputo e voluto rispettare il confine insieme di separazione e di relazione con l’individuo stesso, impossibilitato per parte sua a difendersi. Ora, nella sua formulazione il criterio negativo proposto dal Suh suppone una giusta e corretta relazione tra individuo e comunità, e quindi una metodologia di indagine rispettosa dei confini di entrambi. Egli non tiene in conto la situazione di un individuo che, nel corso del processo valutativo condotto dall’autorità legittima, possa essere violentato dalla comunità (rappresentata dall’autorità) e da essa costretto ad aprire il sacrario inviolabile della sua intimità, alterando la relazione e la capacità relazionale, attraverso una metodologia di indagine irrispettosa dei confini di entrambi.
Detto in altre parole, l’equilibrio del veggente non può essere compreso a prescindere dalla relazione tra individuo e comunità, che si esprime in una conseguente metodologia di indagine dell’autorità ecclesiastica. Una metodologia irrispettosa dei confini tra comunità ed individuo non è in grado di offrire risultati corretti, anche se adottata dalla legittima autorità ecclesiastica: la scrittura e riscrittura dei segreti, nel caso dell’apparizione de La Salette, trattandosi dell’effetto di una anomalia metodologica, non può quindi essere presa in considerazione per determinare, nel senso inteso dal Suh, l’equilibrio dei veggenti. È un atto squilibrante imposto ai veggenti. Chi si appoggiasse ai segreti per dimostrare eventuali patologie psicologiche e spirituali di Massimino e soprattutto di Melania, invalidando così la loro testimonianza su quanto avvenne il 19 settembre sulla montagna de La Salette, fa un passo metodologicamente infondato[243].
Non è dunque un caso che il criterio negativo proposto dal Suh sia pienamente riscontrabile solo in relazione al messaggio pubblico: infatti, la metodologia utilizzata dai vescovi De Bruillard e Ginoulhiac, in questo caso, non è stata anomala e irrispettosa ma ha verificato l’integrità dei veggenti a partire da una corretta relazione tra comunità e individuo sottesa all’ascolto e all’interpretazione di una parola pubblica.
 Un discorso analogo può essere fatto anche nei confronti della riscontrabilità del criterio positivo elaborato dal Suh. Entrambi i vescovi e soprattutto in modo sorprendente Mons. Ginoulhiac rilevano una oblatività crocifissa nella paziente e costante fermezza dei veggenti nel riferire quanto hanno sperimentato sulla montagna de La Salette e nel tacere i segreti, davanti a minacce e lusinghe di ogni genere. Una oblatività teologale tanto più significativa se si considera che Massimino e Melania erano ragazzi (e poi uomo e donna) profondamente segnati dalla vita e dalle sue ambigue durezze.
Se però il tacere i segreti viene ritenuto dai vescovi di Grenoble un elemento essenziale e non modificabile del cammino di santità crocifissa dei veggenti, il loro svelamento non rischia allora di metterlo necessariamente in crisi? La risposta sarebbe stata affermativa nel caso in cui non vi fosse stata la loro estorsione ingannevole da parte dell’autorità ecclesiastica e la loro scrittura e riscrittura fosse stata dovuta all’iniziativa individuale dei veggenti. Ancora una volta, infatti, il criterio positivo proposto dal Suh suppone una giusta e corretta relazione tra individuo e comunità, e quindi una metodologia di indagine rispettosa dei confini di entrambi, che nell’esperienza drammatica di Massimino e Melania non si verifica. Il teologo coreano, infatti, afferma:
 
«L’obbedienza, in quanto atto di fede, è richiesta non solo all’autorità di Dio ma anche all’autorità della Chiesa. Chi è obbediente si affida all’esame dell’autorità della Chiesa, che ha il diritto di esaminare la presunta rivelazione, poiché Cristo ha consegnato il deposito della fede alla Chiesa per custodirlo e trasmetterlo. Dio non offre i doni ai superbi che negano il magistero della Chiesa. È da notare che, anche quando erano incompresi e soffrivano, i santi carismatici hanno obbedito fedelmente all’autorità della Chiesa. I doni carismatici infatti non escludono il valore della gerarchia della Chiesa, anzi hanno bisogno della sua mediazione a favore del popolo di Dio. Bisogna ribadire che la veridicità di una rivelazione fatta a un soggetto che, in seguito, mostra disobbedienza all’autorità della Chiesa, è sospetta, benché si possa essere certi che Dio in precedenza gliel’abbia data. È ammissibile che Dio conceda i doni straordinari ai santi e ai peccatori, ma non alle persone ribelli all’autorità della Chiesa, poiché lo Spirito del carisma non agisce contro i ministri del Figlio»[244].
 
L’autorità della Chiesa in merito alle rivelazioni private è relativa all’accertamento della loro conformità al deposito della fede e questo accertamento non può concretizzarsi in una metodologia contraria allo stesso depositum fidei. Ciò vuol dire che l’obbedienza dovuta all’autorità della Chiesa si fonda nell’obbedienza al deposito della fede esercitata dalla medesima autorità: si tratta di una duplice obbedienza che si costruisce e si richiama-rafforza in modo complementare e reciproco. Essa però non esclude quell’ambito di incertezza e di penombra che avvolgono la comunicazione e le relazioni umane, e di fatto il testimone autentico può essere incompreso senza che questo comporti e indichi necessariamente un dolo o una colpa perpetrati nei suoi confronti.
Nel caso di Massimino e Melania, invece, l’estorsione dei segreti non appartiene a questo margine di incertezza e penombra insito nel mistero della finitudine (che non viene mai soppressa da quel che è autenticamente divino), ma è il frutto di un inganno volontario in cui degli innocenti hanno pagato, come vittime sacrificali, il prezzo di una contesa che essi nemmeno conoscevano. Quindi non è possibile dedurre che la scrittura e la riscrittura dei segreti costituiscano un elemento capace di contraddire sostanzialmente l’oblatività crocifissa dei veggenti, poiché esse derivano non dai veggenti stessi ma da un atto che l’autorità della Chiesa, in fedeltà all’obbedienza al deposito della fede, non aveva il diritto di esigere. Scrittura e riscrittura dei segreti, anziché essere il segno di una mancanza di obbedienza e di santità, sono piuttosto una ulteriore croce posta sulle spalle di questi due ragazzi e della loro crescita come uomo e donna: la croce del rifiuto della loro individualità e la croce della loro consegna nelle mani di tutti coloro che cercheranno di fare dell’apparizione un mezzo per raggiungere i propri fini politici, sociali e culturali, dentro e fuori la Chiesa. Una croce pesantissima, da cui Massimino e Melania avrebbero potuto liberarsi rinnegando quanto avevano sperimentato il 19 settembre 1846. Ma questo non è avvenuto: essi non hanno rinnegato l’esperienza di cui erano stati testimoni e continueranno a rimanervi fedeli senza la minima riserva o rimpianto.
 
«Melania Calvat da tutti è stata riconosciuta come persona sempre vestita di nero, la cui vita nomade da una località all’altra della Francia e dell’Italia fu segnata da modestia nel comportamento, serietà e a volte lacrime, intensa preghiera, forte amore a Gesù Crocifisso, vita di austera mortificazione e penitenza per sé e per gli altri (lo confermano gli strumenti di cui si serviva per macerare il proprio corpo), vita e spirito di povertà portati all’estremo, amore per i poveri, preghiera per le vocazioni e per la fedeltà dei sacerdoti (argomento sul quale tornava sovente nelle centinaia di sue lettere), amore alla “bella Signora” contemplata sulla montagna de La Salette, di cui è stata testimone come Massimino […] Uno sguardo sintetico porta a concludere che anche in Massimino i limiti, la semplicità, il suo “cuore da bambino” o eterno “fanciullone”, l’umiltà, la povertà e l’essere stato oggetto di malevole accuse, il carattere irrequieto ma anche simpatico, la sua costante coerenza di comportamento circa la diffusione del messaggio della Madonna evidenziano le parole del Vangelo: essere piccoli e semplici come i bambini, consapevoli dei propri limiti. In tutto questo si staglia la figura di Massimino Giraud, che verso la fine della sua vita confida: “La Santa Vergine mi ha lasciato con tutti i miei difetti” […] I pellegrini e quanti vengono a conoscenza della vita umile, povera e provata di Melania e Massimino e magari si avvicinano a quanto resta delle loro misere abitazioni nel borgo natio di Corps, rimangono profondamente stupiti. I limiti umani e le prove subite dai veggenti di Maria a La Salette evidenziano ancor di più l’intervento del soprannaturale nella debolezza umana»[245].
 


 
3.3.3 La specifica testimonianza carismatica dei veggenti
            L’approvazione data dalla Chiesa all’evento de La Salette ha apertamente e motivatamente esplicitato come esso non potesse essere relegato all’esperienza dei veggenti. In altre parole, l’approvazione ha segnato il momento del “distacco” dell’apparizione dalla loro vita e la sua “consegna” alla vita della Chiesa universale senza il bisogno di inastaurare una necessaria relazione causale tra le due esperienze di vita, quella dei veggenti e quella della Chiesa universale[246]. Ciò però non vuol dire che per Massimino e Melania si debba aprire l’oblio della memoria. La querelle sui segreti, nel suo duplice aspetto di dialettica tra permanenza e innovazione da un lato, e di relazione tra comunità ed individuo dall’altro, intercetta una domanda reale relativa alla natura del ruolo specifico di coloro che sono beneficiati di esperienze straordinarie in seno alla comunità ecclesiale, un ruolo pubblico in quanto relativo alla comunità e alla sua crescita. Non sembra adeguato pensare che questo ruolo coincida solo ed esclusivamente con il nascondimento e il silenzio. Riprendendo le controverse ma fondate parole di Mons. Ginoulhiac (diretta eco di quanto già stabilito da Mons. De Bruillard), ora che la missione dei pastorelli è finita ed è cominciata quella della Chiesa[247], cosa possono e debbono fare Massimino e Melania?
            Trattandosi di un ruolo pubblico, in quanto ordinato alla crescita visibile e storica della comunità, esso non può essere delineato a partire dai segreti, in quanto essi non sono una parola pubblica. Sempre per lo stesso motivo, esso va cercato a partire dall’attendibilità verificata dei veggenti, ossia dal contenuto della loro testimonianza: il messaggio che essi non hanno potuto inventare e nel quale non è riscontrabile qualsivoglia forma di inganno. Questo messaggio, struttura linguistica pubblica fatta per essere ripetuta da altri, costituisce un gioco linguistico specifico: il rîb o controversia bilaterale[248]. Trattandosi di un procedimento giudiziario volto non a condannare ma a perdonare, il rîb è una “nuova creazione” dove la gratuità divina richiede la cooperazione dell’uomo e della donna. Ciò vuol dire che Massimino e Melania non fungono da semplici spettatori o da ripetitori vuoti, ma sono coinvolti “dentro” il messaggio stesso: esso stesso attesta il bisogno della loro cooperazione, che diventa a sua volta “segno” e “testimonianza” per coloro che li ascolteranno o faranno memoria di loro.
 
 
«Per essere autentico ed efficace, il perdono divino ha dunque bisogno di incontrarsi con il desiderio dell’uomo; un desiderio suscitato nel cuore dallo stesso Spirito, e che si concretizza in una duplice ed umile confessione: quella del proprio peccato e quella della misericordia divina[249]. Questa confessione sacrale della propria infedeltà e, pertanto, della superiorità del partner sempre fedele all’alleanza, viene chiamata, in ebraico tôdah: essa fa parte di un gioco linguistico particolare, la “struttura d’alleanza”, che intesse molteplici rapporti con il rîb […] Questo dinamismo, dove si intrecciano il libero desiderio di Dio e il libero desiderio dell’uomo, è linguisticamente descritto nel rîb come risposta affermativa dell’imputato alle domande dell’accusa. Il porre domande appartiene rigorosamente alla logica della controversia bilaterale: chi domanda, infatti, vuole suscitare l’attenzione di chi ascolta, vuole che quest’ultimo presti orecchio alle accuse; e che, rispondendo, dia ragione a chi lo sta rimproverando […] A La Salette Maria pone due domande decisive: “Fate la vostra preghiera, figli miei?” e “Avete mai visto del grano guasto, figli miei?”. Sono domande decisive perché si ricollegano alla denuncia del peccato del popolo precedentemente compiuta. La preghiera fa riferimento all’accoglienza del Cristo e della sua vita di filiale sottomissione a Dio Padre (1Cor 15, 20-28), mentre la Vergine aveva accusato il popolo di ben altro comportamento: “Se il mio popolo non vuole sottomettersi… […] Voi non ci fate caso […] Bestemmiavate il nome di mio Figlio”. Vedere il grano guasto significa riconoscere umilmente il disordine presente nella coscienza: “Se il raccolto si guasta, la colpa è vostra. Ve l’ho mostrato l’anno scorso con le patate; voi non ci avete fatto caso. La risposta dei due ragazzi riconosce la verità dell’accusa: “Fate la vostra preghiera, figli miei? Non molto, Signora, rispondono entrambi […] Avete mai visto del grano guasto, figli miei? Oh sì, Signora, risponde Massimino, ora ricordo. Prima non me lo ricordavo[250] […] Il rîb mediato da Maria ha raggiunto il suo obiettivo: ora la riconciliazione non è solo possibile, ma è già in atto»[251].
 
Massimino e Melania conoscono perciò una trasformazione, un prima e un dopo, rispetto all’apparizione: è l’apparizione stessa che li trasforma, grazie alla loro libera collaborazione. In primo luogo, l’apparizione dona loro una dimensione vicaria: essi sono lì in tutta la loro individualità a nome di una comunità che in quel momento non solo non è fisicamente presente, ma mai avrebbe pensato di considerare questi due ragazzi incolti, poveri ed ignoranti, quali suoi rappresentanti e portavoce. Si tratta di una dimensione nuova di esistenza, insospettabile prima di quella specifica esperienza e che non viene conquistata in virtù di qualche merito antecedente, ma che viene semplicemente ricevuta come dono gratuito. In secondo luogo, questa dimensione nuova di esistenza vicaria comporta una ristrutturazione profonda delle loro persone: essi sono generati, infatti, ad un mondo differente rispetto a quello che conoscevano. Essi non sono trasportati in un mondo divino, ma sono invece condotti a vivere responsabilmente lo spazio e il tempo che essi abitano.
 
«Restituire all’uomo il suo spazio, i suoi luoghi, il suo tempo, significa fargli ritrovare un corpo e un volto. Ed è su quel corpo e quel volto che la bellezza piena e autentica può brillare in tutta la sua ampiezza.  [Le risposte in prima persona alle domande che vengono loro poste e la narrazione connessa ed esplicativa dell’episodio della terra di Coin[252] possono essere considerate] una vera e propria esperienza di ricostruzione spazio-temporale che, assumendo la contraddittorietà e la complessità della storia, permette la scoperta della bellezza che salva all’interno del gioco simbolico delle interpretazioni operative. L’episodio non può essere ridotto alla stimolazione mnemonica di un fatto. Massimino [e Melania con lui] si trova di fronte a qualcosa di nuovo. Il nuovo è precisamente la ristrutturazione cognitiva, affettiva e operativa del mondo e di sé che Maria ha offerto al ragazzo [e alla ragazza] con il suo discorso [e le sue domande]. Ora Massimino [e Melania con lui] sa che il grano guasto è simbolo della coscienza umana insterilita dal suo allontanamento dal Figlio della “bella Signora”; ora Massimino [e Melania con lui] sa che il grano buono è la coscienza umana vivificata dalla vicinanza al Figlio della “bella Signora”; ora Massimino [e Melania con lui] sa che, rimanendo vicini al Figlio della “bella Signora”, si può lavorare con frutto e costruire un mondo dove i padri possono dare da mangiare ai loro figli. Di fatto, quindi, Maria conduce i due ragazzi e la Chiesa a non temere, anzi a gustare la multidimensionalità dell’esistenza. Proprio questo processo di ristrutturazione spazio-temporale costituisce un atto generativo: Massimino (e anche Melania) viene restituito al suo corpo, cioè alla sua capacità di situarsi effettivamente nella storia, al di là di ogni virtualità[253]. Una vera umanizzazione non può passare per l’abbandono della corporeità, ma, semmai, per la sua assunzione totale da parte del soggetto sia individuale che sociale. È questa una esigenza necessaria alla dinamica della riconciliazione, non solamente antropologica, ma anche teologica. In altre parole, assumere totalmente il proprio corpo non è un compito riconducibile alla psicologia, ma un atto intrinseco al dinamismo della fede e da esso inscindibile. Si tratta di entrare in quel dinamismo di conformazione al reale che costituisce, secondo Bonhoeffer, il nucleo centrale dell’evento cristico […] assumere la propria corporeità, nello spazio ontologico che è Cristo, costituisce l’atto sacerdotale per eccellenza del cammino di fede»[254].
 
In terzo luogo, ristrutturati e restituiti al loro volto e al loro corpo, in questo mondo nuovo cui sono stati gratuitamente generati e di cui hanno liberamente scelto con le loro risposte di far parte, Massimino e Melania sono ora in grado di comprendere che il male non è una necessità insormontabile.
 
«Una coscienza riemersa alla sua vocazionalità costitutiva attraverso l’alleanza sarà in grado di cogliere, nella compassione, la sfida dell’intollerabile […] La “bella Signora” conduce Massimino e Melania a prendere coscienza dell’intollerabile: la morte dei bambini e la carestia sono realtà intollerabili e come tali la Vergine vuole che siano percepiti. Una intollerabilità che la “bella Signora” conosce per esperienza diretta: il peso e la fatica della sofferenza mortale non sono “intorno” a lei, ma “sopra” e “dentro” il suo corpo, perché sono “sopra” e “dentro” il corpo del suo Figlio. Lo attestano inequivocabilmente le parole: “Da quanto tempo soffro per voi! Il braccio di mio Figlio è così forte e così pesante che non posso più sostenerlo. Mai potrete compensare la pena che mi sono presa per voi”. Lo manifestano, in modo inquietante, le sue lacrime. Ancora una volta, perché ci sia esperienza dell’intollerabile, la corporeità non può e non deve essere rimossa […] Di fatto, il rîb è manifestazione di una esistenza profondamente e intollerabilmente ferita dal male: il male non è un’astrazione, ma la mimesi della morte che, elevata a principio ermeneutico della realtà, distrugge e violenta i viventi. Per essere feriti dal male, bisogna in qualche modo subirlo: il “luogo” di questa ferita è e rimane la corporeità. La virtualità, accantonando la dimensione corporale, immunizza sì da questa lacerazione, ma ha un prezzo da pagare molto alto: l’oblio dei sofferenti […] Lì dove c’è necessità non può però esistere l’intollerabile: il necessario, per definizione, non offre alternative alla sua accettazione. L’intollerabile, invece, è appello alla libertà perché trovi altre strade rispetto alla mimesi dell’esistente. In altre parole, l’intollerabile destruttura la necessità di una situazione, ridefinendo quest’ultima come esito di una libertà storicamente situata e, pertanto, suscettibile di cambiamento e trasformazione nella resa di fronte alla verità»[255].
 
Questa triplice trasformazione, che si attua attraverso il coinvolgimento della coscienza e della libertà di Massimino e Melania e si esprime nella loro tôdah, costituisce il “segno” e la “testimonianza” specifica dei veggenti in quanto tali, il loro “carisma”, accertato e valorizzato nel momento in cui la Chiesa ha accolto il racconto della loro esperienza sulla montagna de La Salette e ne ha intuito l’origine soprannaturale e divina. Tale carisma non consiste dunque in una missione occultata e marginalizzata (da riconoscere e riabilitare in ogni modo possibile) ma piuttosto nell’essere stati “primizia” di quella realtà nuova che la mariofania de La Salette si prefiggeva (e si prefigge) di introdurre nella storia a partire dall’eterna novità che è il Cristo crocifisso e risorto, figlio della Vergine, Maria. In altre parole, il carisma proprio di Massimino e Melania consiste nell’essere stati, sulla montagna de La Salette, la “primizia” della Chiesa: un uomo e una donna gratuitamente vocati e riconciliati per essere corpo di Cristo e sua parola in mezzo alle parole che costituiscono la storia dell’umanità. E non poteva essere diversamente, dal momento che grazie a Mons. De Bruillard, l’apparizione de La Salette è stata accolta nella vita della comunità proprio per il suo dinamismo ecclesiogenetico.


 
4. Conclusioni
            L’interrogativo iniziale con cui si è aperto questo studio riguardava la validità e il livello di autorità con cui il vescovo di Grenoble, Philibert De Bruillard, si è pronunciato di fronte all’evento de La Salette, dal momento che molti, in possesso di informazioni parziali o addirittura deformate, tendono a squalificare il suo operato e a ritenerlo non vincolante e applicabile al giorno d’oggi.
            Il cammino fin qui percorso ha invece evidenziato non solo la consapevolezza di Mons. De Bruillard di fronte alle proprie responsabilità di primo pastore della diocesi, ma anche la sua profonda intenzione di pronunciarsi su una base teologicamente ineccepibile, l’unica capace di dare all’apparizione de La Salette un suo posto significativo e qualificato nel vissuto del popolo di Dio. Che questa consapevolezza e questa intenzione si siano concretizzate è confermato anche dal fatto che il suo successore, Mons. Ginoulhiac, davanti a una crisi di credibilità dell’apparizione e dei suoi testimoni, si richiama a quanto affermato ed esposto da Mons. De Bruillard senza cercare altre possibili soluzioni che, pur legittime, avrebbero evidenziato delle mancanze essenziali nella procedura di approccio e valutazione dell’evento del 19 settembre 1846.
            Contrariamente all’opinione diffusa anche tra gli studiosi, è così emersa una metodologia teologica di analisi e ricezione di un’apparizione che non solo non dimostra la sua “anzianità” (essendo stata elaborata nel XIX secolo), ma che può essere legittimamente, validamente e fruttuosamente utilizzata ancora oggi, proprio per abbordare quei fenomeni della vita di fede che da sempre, per la loro caratteristica, richiedono un supplemento di sforzo ermeneutico, soprattutto in una comunità ecclesiale che voglia superare la dicotomia tra istituzione e carisma[256].
Questa metodologia teologica ha al suo centro la genesi stessa della Chiesa, genesi originata dallo Spirito del Risorto e dalla testimonianza delle Scritture, in vista della missione di annunciare il regno di Dio. L’apparizione può essere dichiarata autentica solo quando in essa si ritrovano all’opera i fattori genetici della Chiesa, così come essi vengono testimoniati dalla Parola (Scrittura e Tradizione). Se l’apparizione fa nascere la Chiesa, essa non può non essere ordinata alla credibilità della Chiesa stessa, dal momento che la credibilità profonda della Chiesa deriva proprio dal suo esserci: un esserci nella fede, nella speranza e nella carità[257], causato non da ragioni e operazioni umane, ma dalla fedeltà divina all’economia della salvezza e dell’alleanza.
Il legame tra la genesi della Chiesa e la sua credibilità viene esplicitato dalla tradizione tomista e tridentina[258], al cui interno Mons. De Bruillard si muove, mediante il concetto di “carisma”[259]: per Tommaso, infatti, il carisma è precisamente un segno di credibilità della Chiesa, facente parte perciò di quell’insieme di segni che possono accompagnare la comunità cristiana nella storia[260]. Per essere autentica dunque, l’apparizione deve rivestire i caratteri del carisma e per poterlo fare non esiste altra via che quella della presenza dei dinamismi fondamentali della genesi della Chiesa, presenza che costituisce precisamente l’oggetto dell’accertamento da parte di Mons. De Bruillard[261].
Se l’apparizione trova la sua autenticità nel generare il mistero della Chiesa e nell’essere perciò un suo carisma, ne consegue che il ruolo dei suoi testimoni non può essere primario, proprio perchè il mistero della Chiesa è più grande dei suoi testimoni e non può assolutamente coincidere con essi. Se è logico e doveroso sondarne la credibilità, con una metodologia rispettosa del giusto rapporto tra individuo e comunità, in ultima analisi non sono i testimoni il criterio decisivo della verità di un’apparizione, dal momento che se fosse così, l’apparizione sarebbe una realtà fatta a misura del testimone, ma non a misura dell’intera comunità. La credibilità del testimone, fenomeno complesso perché capace di veicolare intorno a sé interessi coscienti e non, è solo un passaggio all’interno di una metodologia di approccio ed analisi di un carisma quale un’apparizione, e non porta come sua necessaria conseguenza l’esigenza di riservare al testimone stesso un posto particolare di onore e di missione nella vita della comunità[262], fatta salva la gioiosa e fraterna gratitudine nei suoi confronti per la perseveranza e la pazienza della sua testimonianza. Gratitudine che deve essere ancora più forte, sentita e sincera quanto più il testimone ha dovuto esporre sé stesso al pericolo dell’incomprensione, del rifiuto, della negazione di sé come della sua testimonianza. Eppure, nel caso di Massimino e di Melania, questa gioiosa e fraterna gratitudine loro dovuta non solo è ingiustamente assente, ma è stata anche sostituita dalla prevenzione e dal sospetto.
Una ulteriore osservazione va fatta anche per la prassi della consultazione messa in atto da Mons. De Bruillard sia negli anni di inchiesta precedenti il decreto di approvazione che nell’elaborazione dello stesso[263]. Si tratta di un elemento sorprendente, soprattutto perché non aderente alla visione dominante della Chiesa dell’epoca, preoccupata dell’asserzione della verticalità piuttosto che della collegialità[264]. La percezione dichiarata delle proprie responsabilità di primo pastore e il conflitto durevole con il cardinale De Bonald non hanno distolto Mons. De Bruillard dal confronto aperto con gli altri vescovi di Francia e anche di altri paesi, e si può a ragione affermare che dietro (o per meglio dire, dentro) l’approvazione dell’apparizione non c’è solamente una specie di “monarca assoluto” (per quanto illuminato possa essere)[265], ma c’è un uomo, un vescovo, che ritiene di doversi confrontare, in un clima di costante riferimento alle Scritture e alla Tradizione, con altri uomini, altri vescovi, in modo da poter raggiungere un giudizio che sia il più possibilmente ecclesiale, dato che proprio la genesi della Chiesa è l’orizzonte nel quale egli voleva porre l’evento del 19 settembre 1846.
In definitiva, pur rimanendo vero che le apparizioni non appartengono al deposito della fede, esse appartengono nondimeno alla vita della Chiesa e vengono trasmesse nel corso del tempo alle generazioni future proprio perché la Chiesa non trasmette solo un insieme astratto di verità o solamente la sua struttura sacramentale, ma sé stessa. Il contributo dato da Mons. De Bruillard il 19 settembre 1851 si iscrive in questa dinamica; ed è grazie alla profondità teologica del suo procedimento che non solo l’apparizione de La Salette, riportata alla sua originalità e alla sua essenza, può essere ancora carisma vitale per l’intero popolo di Dio, ma anche altri eventi possono beneficiare della griglia ermeneutica da lui elaborata e rivelare così la loro conformità al mistero di Cristo e della Chiesa, per sviluppare la carica profetica di cui, in quanto carismi, sono portatori per la comunità credente e per la società umana[266]. Come accogliere i carismi?
 
«I carismi devono essere accolti con riconoscenza non soltanto da chi li riceve, ma anche da tutti i membri della Chiesa. Infatti sono una meravigliosa ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità di tutto il Corpo di Cristo, purchè si tratti di doni che provengono veramente dallo Spirito Santo e siano esercitati in modo pienamente conforme agli autentici impulsi dello stesso Spirito, cioè secondo la carità, vera misura dei carismi»[267].
 
L’aver considerato un’apparizione quale carisma, in virtù della sua vocazione al “servizio” dell’ecclesiogenesi, autorizza ad applicare ad essa quanto scritto nel Catechismo: tutti la debbono accogliere con riconoscenza. Se da un lato, però, la riconoscenza non può essere equiparata alla fede teologale, dovuta esclusivamente alla Rivelazione pubblica[268], dall’altro non sembra congruo ridurla alla fede umana presente nel “De servorum” del cardinale Lambertini[269], che scrive:
 
«Portiamo a conoscenza che l’autorizzazione data dalla Chiesa a una rivelazione privata non è altro che il consenso accordato dopo un attento esame, affinchè questa rivelazione sia conosciuta per l’edificazione e il bene dei fedeli. A queste rivelazioni, anche se approvate dalla Chiesa, non si deve accordare un assenso di fede cattolica. Occorre, secondo le regole della prudenza, dare loro l’assenso della fede umana, in quanto siffatte rivelazioni sono probabili e pienamente credibili. Si può dunque rifiutare il proprio assenso a dette rivelazioni e non prenderle in considerazione, purchè lo si faccia con l’opportuno riservo, per delle buone ragioni e senza sentimenti di disprezzo»[270].
 
La teologia dei carismi, «che non può essere relegata al passato della Chiesa delle origini, giustamente declina nella Chiesa e per la Chiesa di tutti i tempi la perennità e attualità dei doni pentecostali che lo Spirito del Padre e del Figlio concede per il bene comune»[271]. La posizione di Rahner, che inquadra le apparizioni nel quadro del carisma specificamente profetico, lo porta necessariamente a concludere che ad esse vada tributato «un diritto e un dovere di fede (fides divina)», non solo da parte dei veggenti ma anche da quanti siano raggiunti dalla notizia:
 
«se Dio ha parlato e la cosa è certa, mi è cioè dimostrata con sufficiente chiarezza, allora sorge senz’altro per me il dovere di ascoltare, di obbedire e di credere, per quel tanto che il contenuto di ciò che è stato udito riguarda anche me […] Il senso vero delle profezie è quello di essere un imperativo che ci prescrive l’atteggiamento giusto nei confronti di quel futuro che rimane oscuro, minaccioso e in generale – almeno dal punto di vista mondano – destinato alla morte, un futuro tuttavia salvifico, per colui che crede e ama»[272].
 
Se però si inquadra il carisma nell’orizzonte più ampio di una vocazione al “servizio” ecclesiogenetico, si è probabilmente in grado di accogliere ed apprezzare ancora meglio il valore della riconoscenza cui tutti sono tenuti secondo il Catechismo, superando quella che sembra essere una inevitabile aporia cui giungere qualora si rimanga in un quadro più specificamente profetico: è intrinseca alla profezia, infatti, l’esigenza dell’obbedienza. È la molteplice riconoscenza che si prova davanti al dono della Chiesa: è perché esiste la Chiesa che posso essere credente; è perché esiste la Chiesa che posso conoscere il Cristo e il suo Vangelo; è perché esiste la Chiesa che posso celebrare nella speranza la fede che opera nella carità; è perché esiste la Chiesa che posso affermare l’irrevocabilità dell’alleanza divina con l’umanità[273].
Tutto questo non fa che riproporre con ancora maggiore urgenza l’esigenza di una criteriologia teologica adeguata soprattutto oggi, in cui fenomeni quali apparizioni (della Vergine o dei santi) o messaggi a loro ascritti, così come altri eventi simili (movimenti di statue, lacrimazioni di sangue,) sembrano essere molto frequenti e aperti a continue deformazioni, anche tenendo conto dell’influenza organica e invasiva dei media (i cui interessi non possono certo essere definiti come cristiani) e di una sempre maggiore frattura tra i pronunciamenti della gerarchia e l’esperienza religiosa dei singoli come dei gruppi. Forse proprio l’aver finalmente ritrovato la metodologia che permise all’apparizione de La Salette di iniziare il suo cammino nella comunità cristiana può essere la porta che apre un futuro di equilibrio, di rinnovamento, di santità.
  Gian Matteo Roggio ms
 
 



[1]Il termine è stato divulgato specialmente da S. De Fiores, Maria Madre di Gesù. Sintesi storico-salvifica, Edizioni Dehoniane, Bologna 1992, 347-360.
[2]Un ruolo preponderante nella formazione di questo alone di sospetto è senz’altro ricoperto dalla querelle relativa ai “segreti” che la Vergine confidò ai due ragazzi nel corso dell’apparizione, ma non può ragionevolmente essere questo l’unico fattore che ha determinato la situazione esistente.
[3]Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, 67.
[4]Ibidem, 65-66; posto il fondamento della conoscibilità di Dio da parte dell’uomo (50), l’articolo primo si snoda attraverso la disamina della rivelazione trinitaria (51-52) come storia di salvezza (53-58) realizzata nel cammino di alleanza con il popolo di Israele (59-63); alleanza che, grazie ai profeti, agli umili e alle donne sante di cui la figura più luminosa è Maria (64), culmina nell’incarnazione del Figlio (65), la cui storia compie la rivelazione trinitaria (66-67) che in Lui è perciò donata a tutti i popoli (74) per mezzo della predicazione apostolica (75-95). Sull’importanza delle donne nella preparazione profetica dell’incarnazione del Figlio e della sua storia pasquale si vedano Ph. Lefebvre, Livres de Samuel et récits de la résurrection, Cerf, Paris 2004; A. Serra, Myriam Figlia di Sion. La Donna di Nazaret e il femminile a partire dal giudaismo antico, Paoline, Milano 1997.
[5]Alcuni autori preferiscono una differente terminologia: Karl Rahner parla sia di “rivelazione particolare” che di “visioni profetiche” (K. Rahner, Visioni e profezie. Mistica ed esperienza della trascendenza, Vita e Pensiero, Milano 19952; l’originale tedesco è del 1952); “rivelazione particolare” è la formulazione adottata da Renè Laurentin (R. Laurentin, Apparizioni, in S. De Fiores – S. M. Meo [dir], Nuovo Dizionario di Mariologia, Paoline, Cinisello Balsamo 19883, 125-137); Augustinus Suh parla di “rivelazione speciale” (A. Suh, Le rivelazioni private nella vita della Chiesa, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2000); Salvatore Maria Perrella, sulla scia dell’ispirazione rahneriana di Gianni Colzani, propone “carisma profetico” (S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 75.175-176); si veda anche S. De Fiores, Apparizioni, in Id., Maria. Nuovissimo Dizionario, I, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006, 21-69.
[6]Di fatto, il Catechismo non dà una definizione di che cosa sia una rivelazione privata, ma si limita a registrarne la presenza e si domanda di conseguenza il “ruolo” di tale presenza nella vita della Chiesa.
[7]Il “servizio” richiama e indica una realtà non autosufficiente (od autarchica), ma dinamicamente relativa ad altro cui è connaturalmente (e non estrinsecamente) aperta.
[8]Catechismo della Chiesa Cattolica, cit.,66.
[9]Si tratta dell’espressione utilizzata dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, e che viene da esso esplicitata come “stretto orientamento a Cristo”: Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, Libreria Editrice Vaticana – San Paolo, Città del Vaticano – Milano 2005, 10.
[10]Si può dire che la finalità di una mariofania consiste nel fare memoria del Figlio incarnato, morto, risorto e glorificato, e nel chiamare chi ascolta a decidersi per lui: si vedano S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 186-194; A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette.Significatoe attualità, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 12-15. Lì dove ci si decide per Cristo si dà inevitabilmente la presenza e l’azione della Chiesa: decidersi per Cristo vuol dire essere Chiesa. In questo senso, la Chiesa conosce una duplice manifestazione: quella che proviene dallo Spirito il giorno della Pentecoste (Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 767) e quella che proviene dalla fede dei credenti: «La fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela. La fede non è però un atto isolato. Nessuno può credere da solo, come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è dato l’esistenza. Il credente ha ricevuto la fede da altri e ad altri la deve trasmettere. Il nostro amore per Gesù e per gli uomini ci spinge a parlare ad altri della nostra fede. In tal modo ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri […] È innanzi tutto la Chiesa che crede, e che così regge, nutre e sostiene la mia fede. È innanzi tutto la Chiesa che, ovunque, confessa il Signore, e con essa e in essa, anche noi siamo trascinati e condotti a confessare: “io credo”, “noi crediamo”», Ibidem, 166.168.
[11]«Si chiama “rivelazione”, perché in essa Dio si è dato a conoscere progressivamente agli uomini, fino al punto di diventare egli stesso uomo, per attirare a sé e a sé riunire tutto quanto il mondo per mezzo del Figlio incarnato Gesù Cristo. Non si tratta quindi di comunicazioni intellettuali, ma di un processo vitale, nel quale Dio si avvicina all’uomo; in questo processo poi naturalmente si manifestano anche contenuti che interessano l’intelletto e la comprensione del mistero di Dio. Il processo riguarda l’uomo tutto intero e così anche la ragione, ma non solo essa», J. Ratzinger, Commento teologico, in Congregazione per la Dottrina della Fede, Il Messaggio di Fatima, Paoline, Milano 2000, 45.
[12]K. Rahner, Visioni e profezie. Mistica ed esperienza della trascendenza, cit., 50-52. Similmente si esprime L. Volken, Le rivelazioni nella Chiesa, Edizioni Paoline, Roma 1963, 236.242. Si veda Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 751-753.758-769.772-796.                                  
[13]A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 14; S. De Fiores, Maria Madre di Gesù, cit., 347-360.
[14]J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, in F. Angelier – C. Langlois[dir], La Salette. Apocalypse, pèlerinage et littérature (1856-1996), J. Millon, Grenoble 2000, 39-48.
[15]Quella del “dono” è una simbolica reale ricca di conseguenze e possibilità. Si vedano S. M. Perrella, Ecco tua madre. La Madre di Gesù nel magistero di Giovanni Paolo II e nell’oggi della Chiesa e del mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 45-57; A. Avitabile – G. M. Roggio – I. A. Perin, Bellezza e solidarietà. La spiritualità dell’apparizione di Maria a La Salette, Edizioni Dehoniane, Bologna 2002, 45-90.135-155.
[16]«Non c’è continuità tra i messaggi delle grandi apparizioni mariane del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo, non c’è una specie di “rivelazione” progressiva. C’è piuttosto un identico messaggio diversamente formulato [corsivo nostro], secondo i bisogni dell’epoca e del luogo», Y. Chiron, Enquête sur les apparitions de la Vierge, Perrin - Mame, Paris 1995, 174. In realtà, l’elemento comune alle differenti manifestazioni non è tanto il messaggio quanto piuttosto la persona mostrata: «Le apparizioni di Maria illuminano la persona di Maria e la sua funzione in continuità con i dati biblici, che costituiscono la vera e fondamentale mariofania», S. De Fiores, Maria Madre di Gesù, cit., 355. «Se la finalità delle apparizioni che la vedono coinvolta consiste nel fare memoria del suo Figlio e nel chiamare chi ascolta a decidersi per lui, è altrettanto vero che questo dinamismo non è un qualcosa di esterno rispetto alla sua persona. Non è un incarico ricevuto da di fuori o un’attività puramente funzionale. Al contrario, esso si radica nell’esperienza storica di Maria di Nazaret, nel suo pellegrinaggio umano e di fede (LG 58), che l’ha portata ad essere “congiunta indissolubilmente con l’opera salvifica del Figlio suo” (SC 103; cfr. anche LG 60.62) per sempre», A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 14-15. Per un ulteriore e più compiuto approfondimento si veda S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 136-174.
[17]C. Savart, Cent ans après. Les apparitions mariales en France au XIXe siècle, in Revue d’Histoire et Spiritualité 48 (1972), 205-220.
[18]J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., 40. Di parere differente è Stefano De Fiores, che ultimamente scrive: «Francamente non vediamo nessun pericolo in una strategia della Vergine Maria nelle sue apparizioni; al contrario, il rispetto per la Madre di Gesù glorificata nel corpo e nell’anima esige che i suoi interventi nella storia non siano dettati da interventi frammentari e senza significato globale», S. De Fiores, Apparizioni, cit., 54. Nella stessa direzione si muove P. Séveau, Correspondance évangélique du message de Marie dans les grandes apparitions, Facoltà Teologica Marianum, Roma 1970.Lo stesso De Fiores poi così riassume la posizione di René Laurentin: egli «respinge l’idea di una “strategia d’insieme” secondo cui Maria porrebbe progressivamente “i tasselli di un puzzle o le note di una sinfonia. Questa prospettiva mi è sempre sembrata fittizia, anzi pericolosa. Le apparizioni si presentano piuttosto come gridi del cielo, che risuonano, senza piano d’insieme, in ognuno dei luoghi e dei tempi scelti. La familiarità della Madonna viene a personalizzarvi e particolarizzarvi il messaggio cristiano secondo i bisogni” […] Tuttavia dobbiamo registrare che mentre Chiron rischia di omologare le apparizioni nell’identico messaggio non cogliendo le diversità e le divergenze, e tanto meno l’evoluzione, Laurentin non rinuncia a trovare in esse “armonie e convergenze”, certamente molto importanti anche se espresse in forma generica: “- l’annuncio profetico del futuro, i suoi pericoli, le sue urgenze più attuali; - il ricordo del messaggio evangelico”», Ibidem, 54; le citazioni sono tratte da R. Laurentin, Multiplication des apparitions de la Vierge aujourd’hui. Est-ce elle? Que veut-elle dire?, Fayard, Paris 19882, 115.118.
[19]Il legame che questo modello interpretativo instaura tra il “segreto” e l’esperienza mistica intesa come “visione” testimonia la volontà di superare una situazione di squilibrio ormai sedimentata nella storia della Chiesa e che Stefano De Fiores così riassume: «Melchior Cano ritiene che le rivelazioni private non costituiscano un luogo teologico. La loro massima svalutazione è operata, sempre nel Cinquecento, da Lutero e da s. Giovanni della Croce. Il riformatore in base al principio della sola Scriptura rigetta ogni rivelazione particolare postbiblica […] S. Giovanni della Croce si mostra ancora più severo. Richiamandosi a Cristo pienezza della rivelazione, egli conclude che le rivelazioni particolari sono da considerarsi epifenomeni marginali, anzi il loro desiderio rappresenta una tentazione e addirittura un peccato […] Ormai, nonostante la posizione favorevole di s. Teresa d’Avila, predominerà un atteggiamento di distacco se non di disprezzo verso visioni e rivelazioni, sia in campo spirituale che in quell teologico o pastorale», S. De Fiores, Apparizioni, cit., 22-23. Questa situazione di squilibrio è tale che «la storia della teologia mistica è la storia della svalutazione, almeno speculativa, del profetismo e la valorizzazione della contemplazione infusa, pura, non profetica, […] senza immagine e ineffabile», K. Rahner, Les révélations privées. Quelques remarques théologiques, in Revue d’Ascétique et Mistique 25 (1949), 507. Legando insieme il “segreto” (letto in prevalenza come annuncio profetico del futuro) con l’esperienza mistica intesa come “visione”, la “suite mariofanica” intercetta il bisogno reale di riconciliare e di riportare all’unità la dimensione profetica e la dimensione contemplativa nella vita della Chiesa. La questione è vedere se la risposta da essa elaborata è effettivamente adeguata a tale bisogno, e cioè se la sovrapposizione dell’una sull’altra in modo da costituire (come per sintesi) una realtà una e organica sia rispettosa dell’identità profonda di entrambe. Non sarebbe preferibile mantenere la specificità della dimensione profetica e della dimensione contemplativa, per cercare una relazione che sia non solo rispettosa di entrambe ma anche capace di esprimere il legame di reciproca solidarietà, appartenenza e unità nella differenza?
[20]Una volta applicata al fatto de La Salette, questa particolare ermeneutica «conduce inevitabilmente a una banalizzazione dell’apparizione e del suo messaggio, legati a una galassia di mariofanie ritenute solidali tra loro ed equivalenti, banalizzazione accentuata dal fatto che si viene a mettere sullo stesso piano il segreto e i “tre segreti” di Fatima (in realtà un solo segreto in tre parti) e, da una quindicina d’anni, i molteplici segreti di Medjugorie. Ora, tra La Salette da una parte e Fatima dall’altra, è perfettamente sbagliato stabilire il seppur minimo parallelo sia per quello che riguarda l’inserzione del segreto nella struttura del messaggio, sia per quello che riguarda la sua funzione», J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., 42. Si veda ulteriormente P. Boutry – J. Bouflet, Un signe sans le ciel, Grasset, Paris 1997.
[21]S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 99-115; S. De Fiores, Apparizioni, cit., 37-49; J. Stern, La Salettedepuis VaticanII, in Marianum 59 (1997), 203-255.
[22]In relazione a Maria si può felicemente ed impegnativamente costatare che, nell’incontro con le Chiese appartenenti al mondo della Riforma, i nostri giorni «sono testimoni del passaggio dall’occultamento al risveglio, dal  risveglio all’accoglienza», S. M. Perrella, La Madredi Gesù nella coscienza ecclesiale contemporanea. Saggi di teologia, Pontificia Accademia Mariana Internazionale – Interstampa, Città del Vaticano – Roma 2005, 556; G. Bruni, Mariologia ecumenica? Indicazioni dal dialogo ecumenico ufficiale internazionale tra la Chiesa Cattolica e le Chiese nate dalla Riforma, in Marianum 59 (1997), 601-650; S. C. Napiórkowski, Mariologie et oecuménisme après le concile Vatican II, in Pontificia Academia Mariana Internationalis, De cultu mariano saeculo XX. A concilio Vaticano II usque ad nostros dies, Città del Vaticano 1999, 209-231.
[23]È fatto degno di nota che i recenti documenti che testimoniano, a vario titolo e livello, il dialogo ecumenico, parlino delle apparizioni mariane, anche se in modo incoativo e parzialmente riduttivo: H. G. Anderson – J. F. Stafford – J. A. Burgess [dir], The One Mediator, the Saints, and Mary. Lutherans and Catholics in Dialogue, Fortress, Augsburg 1992, n.187, 103; nn.11-15, 120-124;Groupe Interconfessionnel des Dombes, Marie dans le dessein de Dieu et la communion des saints, Bayard – Centurion, Paris 1999, nn. 308-312; Arcic, Mary: Grace and Hope in Christ, Continuum, London – New York 2006, nn. 73.79 (il documento anglicano-cattolico è del 2004). Per una riflessione su questi documenti si vedano: A. M. Calzolaro, La Madredi Dio nel dialogo ecumenico: convergenze e divergenze, in Miles Immaculatae 35 (1999), 391-461; J. Wicks, The Virgin Mary in recent ecumenical dialogs, in Gregorianum 81 (2000), 25-57; S. M. Perrella, Quanta est nobis via? Maria Madre di Gesù e la ricerca dell’unità perduta. Per una lettura del documento “des Dombes”, in Marianum 64 (2002), 163-250; N. Sagovski, Maria e il metodo “ARCIC”, in Il Regno – documenti 11 (2005), 271-273; J. Wicks, Tra la Scrittura e la prospettiva escatologica, Ibidem, 273-280; S. De Fiores, Attualità, in Id., Maria. Nuovissimo Dizionario, I, cit., 123-163.
[24]«Il linguaggio biblico conosce la distinzione tra visione e apparizione. Visione equivale a esperienza soggettiva, proiezione di un’immagine, interpretazione di segni, elaborazione di un concetto o di un messaggio mediante propria marcatissima sensibilità, immersione nella mistica. Apparizione equivale a presenza reale della persona vivente nel mondo del divino che si affaccia temporaneamente davanti al veggente o che lui percepisce nella fede. Qualche citazione documenta questa sintesi. In Gn 12,1-4.7 Abramo – nostro padre nella fede – intuisce la voce del Signore che gli addita un percorso: è un’apparizione interlocutoria, ossia è presente una voce. In Gn 18,1-16 e 22,11-12 il medesimo patriarca vede figure umane e angeliche: è apparizione iconica perché interviene la mediazione di un’immagine. In Gn 28,10-22 Giacobbe vede la scala bidirezionale: è apparizione onirica perché avviene nel sogno. In Es 3,1-6 Mosè scorge un inconsueto roveto ardente: è apparizione allegorica perché allude al divino mediante il simbolo», L. M. De Candido, Manifestazioni straordinarie per il bene del popolo di Dio, in Credere Oggi 24 (2004) 4, 77-89, 81. Sulla base di queste precisazioni, La Salette si presenta come apparizione iconica (viene percepita una “bella signora”) e interlocutoria (la “bella signora” parla ai veggenti e lascia loro un messaggio da ripetere ad altri).
[25]J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., 40-41. Per il testo del messaggio si rimanda a A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 24-28.
[26]J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, in Bullettin Mensuel de l’Académie Delphinale, 7 (2004), 256; la citazione è di E. Claverie, Les guerres de la Vierge. Une antropologie des apparitions, Gallimard, Paris 2003, 241. Si veda ancora C. Proudhomme, La Saletteau-delà des mers: entre reproduction et inculturation, in F. Angelier – C. Langlois [dir], La Salette. Apocalypse, pèlerinage et littérature (1856-1996), cit., 179: «La Salette si inserisce nella pedagogia della catechesi tradizionale, dove la paura dell’inferno precede la rinuncia ai peccati, la confessione delle colpe e la riconciliazione con Dio». Tuttavia, è d’obbligo ricordare che la “religiosità popolare” si presenta come un fenomeno complesso, non liquidabile come semplicemente “arcaico”.
[27]J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., 48. Per un ulteriore approfondimento della specificità dell’apparizione de La Salette si veda il recente A. M. Gila – U. Paiola, In cammino con Maria. Aspetti mariani del messaggio de La Salette, Campisano Editore, Roma 2006.
[28]J. Stern, Les évêques de Grenoble et les débuts de la dévotion à Notre-Dame de La Salette, in Pontificia Academia Mariana Internationalis, De cultu mariano saeculis XIX-XX, Vol.II, Pontificia Academia Mariana Internationalis, Romae 1991, 153-165; Id., Discernement en matière d’apparitions et communion ecclésiale. Un cas significatif: La Salette, in Marianum 64 (2002), 407-426.
[29]La stessa cosa si può dire in genere della maggioranza dell’episcopato francese dell’epoca. Anzi, vale la pena di sottolineare gli stretti contatti che Mons. De Bruillard ebbe con diversi vescovi nel corso della lunga indagine sul fatto de La Salette (sia prima che dopo l’istituzione di una apposita commissione di studio e di inchiesta) e poi dopo la pubblicazione del suo giudizio dottrinale. Si veda L. Bassette, Le fait de La Salette, Cerf, Paris 1965, 222-269.
[30]A detta dello stesso Mons. De Bruillard, in una lettera al cardinale Lambruschini, Segretario di Stato, datata 23 gennaio 1852, si trattava di una ventina di sacerdoti su un totale di quasi novecento. Si veda il testo riportato Ibidem, 247-248.
[31]Ibidem, 294-346.371-410.
[32]Essa è opera del sacerdote Jean-Pierre Cartellier.
[33]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 339. A sua volta ancheJ. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, cit., 250: «Esso è un atto di rivolta contro l’autorità diocesana, tanto più che contiene diversi passaggi oltraggiosi nei confronti di Mons. De Bruillard».
[34]T. Tackett, Priest and parish in eigthteenth century France. A Social and political study of the cures in a diocese of Dauphiné 1750-1791, Princeton University Press, Princeton 1977.
[35]T. A. Kselman, Miracles and Prophecies in Nineteenth-century France, Rutgers University Press, New Brunswick, 1983, 175. Anche questo autore vede nel ricorso al metropolita prima e poi al papa il marchio di un generale risentimento di questa piccola parte di clero contro l’autorità del vescovo.
[36]J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, in F. Angelier – C. Langlois [dir], La Salette. Apocalypse, pèlerinage et littérature (1856-1996), cit., 58-59.
[37]Testo in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 305.
[38]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 339-340.
[39]In esso si può leggere: «L’apparizione si riduce alla camminata sulla montagna de La Salette di una religiosa illuminata, chiamata per nome e messa in grado di provare il suo alibi. La Salette protegge un’eresia capitale e introduce il razionalismo nella Chiesa per via di autorità […] L’onore della religione, il pericolo che le fa correre La Salette hanno determinato i preti più intelligenti e più coscienziosi della diocesi a rompere il silenzio imposto dai canoni disciplinari e a deferire al Papa l’affare de La Salette, attraverso una Mèmoire, modello di convenienza e di moderazione, che segnala i mezzi sciagurati con cui si è voluto elevare all’altezza di un miracolo questo fatto esclusivamente umano»; il testo è riportato da L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 334; i corsivi sono nel testo.
[40]La candidatura di Achille Marie Ginoulhiac alla successione di Mons. De Bruillard viene proposta da quest’ultimo. E ci si trova di fronte a una successione preparata in maniera quasi meticolosa, a cui il fatto de La Salette non è estraneo, dal momento che Mons. De Bruillard desiderava ardentemente un successore che portasse avanti l’opera iniziata con l’approvazione dell’apparizione e la fondazione del santuario come dei Missionari di Nostra Signora de La Salette. Si vedaJ. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 59-62.
[41]Testo riportato in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 333.
[42]«Il nuovo vescovo di Grenoble intende rimettere ordine intorno a La Salette. Il suo proposito rivela una grande incredulità a riguardo delle diverse interpretazioni del fatto […] Questo rigore si applica egualmente ai due protagonisti del fatto, Melania e Massimino, trattati con una estrema severità. Il vescovo li fa discendere dal piedistallo su cui i pellegrini de La Salette avevano teso a collocarli. Ma questo rigore non si accompagna ad una rimessa in causa dell’autenticità del fatto», J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 62; J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, cit., 250-251.
[43]J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, 253-254.248; Id., La Salette. Documentsauthentiques, Vol.III, Cerf, Paris 1991, 254.329-331.
[44]Il testo di questo Mandement è integralmente riportato in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 343-396.
[45]È la posizione di R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, Fayard, Paris 2002, 27.51.79.119.149.166.170.171.186. Per una discussione più approfondita, si veda il successivo paragrafo 3.1.2
[46]D’altra parte, è la stessa Mémoire a porre questioni di natura specificamente ecclesiale: «L’onore della religione, il pericolo che le fa correre La Salette hanno determinato i preti più intelligenti e più coscienziosi della diocesi a rompere il silenzio imposto dai canoni disciplinari e a deferire al Papa l’affare de La Salette», testo riportato daL. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 334.
[47]Il testo integrale del decreto di Mons. De Bruillard è pubblicato Ibidem, 232-240.
[48]Ibidem, 232-233.
[49]Ibidem, 360. L’autore poi osserva che il linguaggio adottato dal Mandament  segue (e come poteva essere altrimenti?) la distinzione tomista tra la grazia santificante e la grazia gratuita (“gratis data”): la seconda differisce dalla prima perché non santifica, cioè non avvicina necessariamente a Dio chi la riceve, ed è per questo che è gratuita, dal momento che nulla della natura del soggetto la reclama; ma anche se non santifica necessariamente chi la riceve, essa è comunque ordinata alla grazia santificante negli altri, ossia alla grazia santificante nella Chiesa. Ibidem, 390.
[50]Ibidem,237.
[51]Ibidem, 240.
[52]Ibidem, 238.
[53]Ibidem, 361-362.366.
[54]J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, cit., 247-248.250.251; Id., La Salette. Documentsauthentiques, Vol.III, cit., 95ss.
[55]«A partire dal mese di novembre del 1847, vale a dire dal momento in cui il vescovo di Grenoble riunisce la commissione d’inchiesta, [il cardinale De Bonald] si pronuncia contro la verità dei fatti e continua a reiterare le sue critiche, a più riprese, nel dicembre 1847 e nel gennaio 1848», J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 55.
[56]Sulla “Congregation” J. Leflon, Storia della Chiesa. Restaurazione e crisi liberale, Vol.XX, Tomo 2, Editrice SAIE, Torino 19772, 1031, scrive: «Fu soprattutto in Francia, prima dei moti del 1848, che si svilupparono queste opere in seno alle quali i laici esplicarono il loro apostolato. La prima ad apparire durante l’Impero porta un nome diventato celebre: la Congregazione. Veramente essa esisteva già prima della Rivoluzione, nei collegi dei Gesuiti, per crearvi una élite piena di fervore, sotto la protezione della Madonna. Nel 1801, il padre Delpuits ebbe l’idea di rinnovare questa istituzione per formare una analoga élite tra la gioventù studentesca e borghese di Parigi. Si trattava, in questo caso, di una semplice associazione religiosa, i cui membri dovevano incoraggiarsi a vicenda a praticare la pietà e la carità, sotto la protezione della Vergine, cui si consacravano […] Proibita nel 1805 da Napoleone, la Congregazione si riorganizza nel 1814 sotto la direzione del padre Ronsin; pur continuando come prima a proporsi la santificazione personale dei propri aderenti, essa da questo momento li orienta maggiormente verso l’azione caritatevole e ne sviluppa il proselitismo». Si veda anche J. O. Boudon, L’influence de la Congrégation sur les nominations épiscopales dans la première moitié du XIXe siècle, in Revue d’Histoire de l’Église de France 78 (1992), 21-34.
[57]  J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 55.56. Per una visione più approfondita della situazione di quegli anni, si veda Id.,L’épiscopat française à l’époque concordataire (1802-1905), Cerf, Paris 1996.
[58]Il decreto porta la data del 19 settembre 1851, quinto anniversario dell’apparizione, ma venne reso pubblico a Grenoble il 10 novembre e letto in tutte le chiese della diocesi il 16 novembre.
[59]Si veda il testo della lettera del cardinale di Lione e la risposta del vescovo di Grenoble in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 242-247.
[60]J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 58.
[61]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 236.
[62]Ibidem, testo riportato nella nota 41 alla pagina 237.
[63]È la posizione ribadita ultimamente da R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 28: «I testi ufficiali [dei segreti] del 1851, più vicini all’avvenimento, più sobri, scritti per il papa con grande cura di esattezza, sono i testi ufficiali presi in considerazione dal papa e dal vescovo per pronunciare il giudizio sull’apparizione. Essi fissano i temi essenziali della profezia de La Salette»; Ibidem, 19.26.55.139.185.
[64]Testo in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 230.
[65]Ibidem, 222. Alla luce delle parole stesse di Mons. De Bruillard, la questione dell’atteggiamento personale di Pio IX davanti al fatto de La Salette va affrontata con una maggiore sobrietà. Considerate poi le non unitarie testimonianze pervenute e che presentano ora un papa favorevole all’apparizione, ora meno, a seconda dell’interlocutore incontrato, sembra adeguato ritenere la questione in oggetto una realtà secondaria e non primaria nella ricostruzione del processo che ha portato alla valutazione positiva dell’evento.
[66]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 235.
[67]Testo riportato in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit.,, 271
[68]Ibidem, 271.
[69]J. Stern,  Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire,cit., 250; J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 58; C. Guillet, La rumeur de Dieu. Apparitions, prophéties et miracles sous la Restauration, Imago, Paris 1994, 182-183.
[70]J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 52.57.
[71]Per una panoramica generale si vedano É. Glotin, Réparation, in Dictionnaire de Spiritualité, Vol.XIII, Beauchesne, Paris 1988, 369-413; G. Manzoni, Victimale (spiritualité), Vol.XVI, Beauchesne, Paris 1994, 531-545; Y. Krumenacker, L’École française de spiritualité, Cerf, Paris 1999.
[72]J. Comby, L’eucarestia nel XIX secolo, in M. Brouard [dir], Eucaristia. Enciclopedia dell’Eucarestia, Edizioni Dehoniane, Bologna 2004, 303-304.
[73]«Gli storici d’oggi affermano che, contrariamente all’idea molto diffusa di un costante declino della pratica religiosa, questa crebbe nella prima metà del secolo. Allo stesso tempo, è utile evidenziare la dimensione politica legittimista e ultramontana di queste attività. L’esaltazione del potere pontificio è associata al culto dell’eucarestia e a quello della Vergine Maria, unito a un violento antiprotestantesimo», Ibidem, 304-305.
[74]Archivi Vaticani, Segreteria di Stato, Rubrica 248, anno 1851, fascicolo 2, il cardinale De Bonald al nunzio, 3 agosto 1851, riportato in J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 57-58.
[75]J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 58. Come già ricordato, Mons. De Bruillard aveva guidato all’inizio del secolo la “Congregation”: essa aveva avuto al suo interno alcuni associati, iscritti all’associazione segreta dei Cavalieri della Fede, che avevano perseguito occultamente un’azione politica in favore dei Borboni. Si vedaJ. Leflon, Storia della Chiesa. Restaurazione e crisi liberale, cit., 1031.
[76]Non sembra condivisibile la posizione di J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, cit., 256, che afferma: «A differenza dei segreti, il messaggio pubblico riguarda direttamente il mondo della gente umile della campagna. Molti dei suoi temi si ritrovano nella letteratura divulgativa diffusa nel paese: riposo domenicale, bestemmia, intercessione mariana, sanzioni di ordine agricolo […] I loro redattori si ispiravano semplicemente alla predicazione ordinaria dei parroci. Parallelamente, il messaggio del 19 settembre 1846 non contiene nulla di fondamentalmente nuovo». Ciò che è nuovo, nel messaggio de La Salette, è invece il contesto interpretativo riconosciuto ed offerto da Mons. De Bruillard: la predicazione ordinaria dei parroci, infatti, è sostanzialmente debitrice al movimento riparatore e al suo immaginario, e pertanto è funzionale agli obiettivi di quest’ultimo: «All’inizio del secolo si insiste sulla morte e sulla paura della dannazione. Generalmente, il tono dei sermoni è pessimista e il mondo è presentato come un luogo di perdizione. Il parroco può permettersi di ammonire quei parrocchiani che mancano di fervore e che non sono presenti»,J. Comby, L’eucarestia nel XIX secolo, cit., 323. Si veda anche M. Launay, Le Bon prêtre: le clergé rural au XIXe siècle, Aubier, Paris 1986.
[77]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 240.
[78]J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 53.54., scrive: «Anche se non si può entrare nel dettaglio della sua azione pastorale, bisogna peraltro insistere sulle sue opzioni religiose e sulla sua spiritualità. Mons. De Bruillard rimane molto segnato dal gallicanismo nel quale è stato educato. Ma questo gallicanismo non impedisce un certo attaccamento alla persona del papa. Tuttavia il vescovo di Grenoble si mostra assai circospetto di fronte ai progressi dell’ultramontanismo. La sua spiritualità ne risente. Le sue lettere per la quaresima mettono l’accento su una religione severa, improntata all’austerità, e non esitano a fare appello alla collera divina. I suoi scritti lasciano intravedere una spiritualità cristocentrica molto forte. Ma, nello stesso tempo, il vescovo di Grenoble è anche un propagatore del culto mariano, cosa che viene a sfumare la sua immagine di prelato rigorista […] La sua ultima lettera pastorale rivela in effetti un uomo assai preoccupato della sua salvezza – è vero che egli sente avvicinarsi la morte – e del giudizio di Dio sulla sua azione terrestre […] La dimensione penitenziale del suo messaggio è forte. Questa è una delle componenti di una spiritualità dove si legano una forte pietà mariana e un rigorismo esacerbato, improntato di provvidenzialismo. Forse che questa spiritualità non favorisce in Mons. De Bruillard l’attenzione al messaggio lasciato a Melania e Massimino il 19 settembre 1846?».
[79]«Non sembra che l’insieme del corpo ecclesiale abbia avuto chiara coscienza di trovarsi di fronte ad una nuova forma di civiltà, che essa doveva accettare in spirito di comprensione, per poi procedere a quell’opera di cristianizzazione che le era più volte riuscita nei secoli precedenti. Il suo fu quindi un errore di valutazione storica: la rivoluzione restava per essa nient’altro che una sciagurata parentesi, che bisognava chiudere al più presto per ripristinare l’ordine antico, incomparabilmente migliore: la società moderna, scaturita da quella “rivoluzione diabolica”, non poteva che essere fondamentalmente tarata; contro di essa non era quindi concepibile che una lotta senza compromessi, poiché non si scende a compromessi con il male senza contaminarsi»,J. Leflon, Storia della Chiesa. Restaurazione e crisi liberale, cit., 493.
[80]L’allusione alla Scrittura e la sua forza espressiva non viene colta dallo storico Boudon, che così non è in grado di percepire adeguatamente il pensiero di Mons. De Bruillard. Nella sua ultima lettera pastorale egli scrive: «La conclusione è che un prete, soprattutto un pastore d’anime, non si può perdere o salvare da solo […] che le anime che gli sono state affidate sono o la sua condanna o la sua gloria; la sua condanna, se sono morte per colpa sua; la sua gloria e la sua corona se hanno trovato la salvezza per mezzo del suo ministero» (testo in J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 54). E Boudon così commenta: «La dimensione penitenziale del suo messaggio è forte», (Ibidem, 54). Egli non si rende conto che Mons. De Bruillard allude ai testi paolini che presentano il destino dell’apostolo (la comunità è la corona dell’apostolo e viceversa): la prospettiva generale che così si apre è senz’altro ben più complessa della semplice dimensione penitenziale ritenuta centrale ed essenziale da Boudon. Come vedremo più avanti, la figura dell’apostolo e l’allusione ad alcuni testi paolini sono invece assai significativi per cogliere l’originalità dell’approccio-risposta all’apparizione di Mons. De Bruillard e la sua non-classificabilità all’interno delle coordinate socio-religiose del suo tempo.
[81]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 272-273.
[82]«Secondo uno storico del sentimento religioso, il discorso riportato da Massimino e Melania, i veggenti de La Salette, deriverebbe “da questo fondo di instancabili rumori che provengono dall’interno oscuro della divinità”, al di là dello stesso cristianesimo. La signora che singhiozza a La Salette “piange la sua impotenza ad arginare la collera montante”», J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, cit., 256; le citazioni ivi riportate sono di  C. Guillet, La rumeur de Dieu. Apparitions, prophéties et miracles sous la Restauration, cit., 166.175.
[83]Questa scelta in controtendenza di Mons. De Bruillard è stata accolta e ribadita dalla Chiesa nel momento in cui è stato concesso l’ufficio liturgico proprio come memoria dell’apparizione: i formulari approntati, infatti, fanno leva su questa nuova creazione dell’essere umano resa possibile dalla croce di Cristo. Si veda in proposito A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 100-141.
[84]L. Bassette, Le fait de La Salette, 240.
[85]Ibidem, 272.
[86]Ibidem, 274. Nel progetto di regola per il corpo dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, Mons. De Bruillard scrive: «La comunità si compone di ecclesiastici negli ordini sacri. Essa prende come patrona la Santissima Vergine, sotto il titolo di Nostra Signora de La Salette […] Il numero degli associati non ha limite», Ph. De Bruillard, Project de regle pour la commounauté des prêtres de Notre Dame de La Salette, in J. Stern, Constitutions et règlement anciennes des Missionnaires de Notre Dame de La Salette, pro manuscripto ad uso interno, Roma 1968, 4.6.
[87]L. Bassette, Le fait de La Salette, 276. Consapevole di questa intenzione, il successore di Mons. De Bruillard, Mons. Ginoulhiac, nel promulgare un rinnovato “progetto di regola” per il corpo dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, affermerà: «Essi si svilupperanno secondo le indicazioni della Provvidenza», testo riportato in J. Stern, Constitutions et règlement anciennes des Missionnaires de Notre Dame de La Salette, cit., 8. Per una rapida panoramica dell’evoluzione teologica e spirituale dei testi legislativi propri dei Missionari di Nostra Signora de La Salette, si vedaA. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 150-169.
[88]«Le apparizioni della Vergine nel nostro tempo, i pellegrinaggi che hanno suscitato, le correnti di devozione mariana ed eucaristica che ne sono scaturite, i grandi raduni cattolici che hanno provocato, tutto questo ci sembra intimamente legato a tutte le meraviglie compiute da Dio a favore del suo popolo, nell’antico e nel nuovo Testamento. Tutto questo ci sembra far parte della vita stessa della chiesa e del suo cammino essenziale, che è quello di suscitare nel mondo un segno permanente dell’umanità riunita attorno al Cristo, di inaugurarne la vita per grazia e di sostenerne lo slancio dell’attesa di colui che compirà in essa le sue promesse. Maria glorificata viene presentata alla chiesa come l’immagine del suo destino e del suo compimento in Cristo», testo di L. Lochet pubblicato nella Nouvelle Revue Théologique 10 (1954), e riportato da L. Bassette, Le fait de La Salette, cit.,alla nota 46 pagina 239. «Le apparizioni mariane sono materia a rischio. Se autentiche, ti sospingono verso il centro della fede, Cristo incarnato-morto-risorto (lui è “l’apparizione” perfetta e definitiva del volto di Dio al nostro mondo). Se frutto di suggestione, ti dirottano verso i rigagnoli infidi dei movimenti settari, notoriamente malati di caccia al sensazionalismo», A. Serra, Prefazione, in A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 5.
[89]Proprio questi ultimi hanno attirato su di sé un’attenzione sempre più crescente da parte di una buona fetta del mondo politico, sociale e culturale francese di fine ottocento e inizio novecento: figure come Léon Bloy, Jacques e Raissa Maritain, Louis Massignon hanno praticamente votato se stesse alla causa dei “segreti” de La Salette, e alla progressiva difesa-esaltazione di Melania, che nel corso della sua vita più di una volta si è fatta paladina e annunciatrice del segreto a lei affidato, dopo averlo reso pubblico attraverso cinque diverse redazioni. Si vedano P. Chevaux, Maritain et La Salette, in F. Angelier – C. Langlois [dir], La Salette. Apocalypse, pèlerinage et litterature (1856-1996), cit., 107-116; F. Angelier, Les écrivains de La Salette: Huysmans, Bloy, Claudel, Ibidem, 185-192; F. L’Yvonnet, Un destin à rendre jaloux des anges: Louis Massignon et La Salette, Ibidem, 193-210; J. P. Laurent, L’apocalypse des occultistes, Ibidem, 81-88; J. Stern, La Salettevue par Léon Bloy, in M. Arvellier – P. Glaudes [dir], Léon Bloy, Cahiers de l’Herne, Paris 1988 ; Id., Le sens de l’apparition de La Salette. Réponse à Henri Dion et Fernand Corteville, in Bulletin de la Société des études bloyennes, 7-8 (1990), 69-89.
[90]Per una riscoperta di ulteriori elementi in controtendenza dell’apparizione de La Salette rispetto all’immaginario del movimento riparatore si vedanoA. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 37-99; A. Avitabile – G. M. Roggio – I. A. Perin, Bellezza e solidarietà. La spiritualità dell’apparizione di Maria a La Salette, cit., 91-158.
[91]F. Angelier – C. Langlois, Avant-propos, inF. Angelier – C. Langlois [dir], La Salette. Apocalypse, pèlerinage et litterature (1856-1996), cit., 12-13. Un simile approccio non rende ragione della complessità con cui si è attuata la ricezione ecclesiale dell’evento de La Salette, che, segnata in modo crescente dalle esigenze proprie del movimento riparatore, ha conosciuto (e continua in un certo senso a conoscere) l’aspra dialettica tra quelle che si possono chiamare la spiritualità dell’espiazione e l’attesa della rigenerazione definitiva: P. Vanzan, L’apparizione della Salette, in La Civiltà Cattolica, 3726 (2005) III, 469-482. Per lo sviluppo storico della ricezione della mariofania de La Salette in Italia si rimanda alla pregevole e monumentale ricerca di U. Paiola, La Salettein Italia. Storia, arte, grazie, culto e tradizioni, 3 Voll., Campisano Editore, Roma 2007. Si veda anche S. De Fiores, Italia, in Id., Maria. Nuovissimo Dizionario, II, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006, 991-1055.
[92]Come già rilevato in apertura di questo studio, la mariofania de La Salette fa problema: il suo messaggio non è immediato e richiede uno sforzo di comprensione e di interpretazione. Anziché rispondere alle curiosità e al desiderio di conoscere quanto è nascosto, esso fa al contrario nascere molte domande. E tali domande possono avere differenti risposte a seconda dell’orizzonte con cui si affrontano. Mons. De Bruillard e i Missionari di Nostra Signora de La Salette con lui e dopo di lui hanno scelto di prescindere dall’esperienza spirituale dei ragazzi e di Melania in particolare nel cercare il senso delle parole che hanno ricevuto, nella convinzione che esse avessero in sé la capacità di “spiegarsi” ed offrirsi a chi le avesse ascoltate con attenzione, pietà e prudenza. Altri hanno invece cercato nell’esperienza spirituale dei veggenti e di Melania in particolare la chiave di volta per “spiegare” il valore di quanto avvenne sulla montagna de La Salette, nella convinzione che solo la mistica è in grado di “spiegare” quel medesimo valore. Quando si cerca, è fondamentale essere consapevoli della metodologia che si utilizza e della adeguatezza della sua capacità euristica rispetto a quanto cercato, essendo sempre pronti a rendere ragione delle motivazioni alla base della propria scelta. Il presente studio vuole essere un contributo che punta in tale direzione.
[93]P. Chevaux, Maritain et La Salette, cit., 116.
[94]Diversi sono stati i pronunciamenti negativi dell’autorità ecclesiastica in relazione alla diffusione del “segreto” di Melania, con interventi che vanno dai vescovi di Grenoble fino all’allora Sant’Uffizio. L’ultimo pronunziamento del vescovo di Grenoble è del 5 settembre 2006. Ognuno di essi va ovviamente inquadrato nel suo specifico contesto (essendo per loro natura interventi occasionati da particolari circostanze) e nel livello di autorità proprio (ed impegnato). Quello che qui interessa è che a loro modo sono anch’essi una testimonianza considerevole (diretta o indiretta) che riporta alla portata e al valore dell’operato di Mons. De Bruillard davanti al fatto de La Salette. Per i testi e le informazioni si veda U. Paiola, La Salettein Italia. Storia, arte, grazie, culto e tradizioni, Vol.I, cit., 269-309.
[95]Si veda da ultimo G. Galazzi – V. Mercante, L’infanzia prodigiosa di Melania Calvat veggente de La Salette. Un caso clinico?, Edizioni Segno, Udine 2005, 64-65: «L’improvvisa fama e il calore plaudente delle folle incalzano nel creare in Melania stati di subeccitazione, fino ad alimentare in lei, fragile e sprovveduta creatura (quindi suggestionabile ed esposta ad abili manovre induttive) la tendenza, moralmente censurabile, alla più spudorata menzogna. Non siamo in grado di stabilire con assoluta certezza se i suoi fallaci resoconti biografici siano stati prodotti per malattia, eccesso di protagonismo o condizionamenti esterni: sta di fatto che Melania, ormai adulta, aveva ritenuto utile per la società del tempo, per la propaganda della Fede […] e per sé stessa, impreziosire la sublime esperienza dell’Apparizione con quella sequela di grossolane bugie che, oggi più che mai di pubblico dominio, non stanno e non potranno mai stare, davvero, né in cielo né in terra».
[96]Si veda da ultimo R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit. La tesi di fondo portata avanti dagli Autori è che la mariofania de La Salette trova la sua spiegazione autentica nei segreti affidati dalla Vergine a Massimino e Melania. Essi funzionano da criterio ermeneutico e metodologico primo per la comprensione del valore teologico, spirituale e pastorale dell’apparizione stessa. Tra i due segreti, spicca quello di Mélanie, che pertanto diventa il punto focale di tutta la trattazione (gli autori parlano a p.147 dello «stesso segreto» ricevuto dai ragazzi, anche se «secondo una percezione e una prospettiva differenti»). Questa posizione, che individua nel segreto di Melania il nucleo centrale dell’apparizione (dal momento che in più di un’occasione si afferma che Massimino ha preso coscienza dell’evento grazie a Melania: «è attraverso Melania che Massimino è entrato nella visione», Ibidem, 31), può essere ragionevolmente sostenuta solo a partire dall’affermazione positiva della santità dei veggenti: infatti, solo la reale santità di Massimino e Melania può garantire che quanto riportato dai segreti è vero e pertanto degno di fede. Se è vero e degno di fede quanto riportato dai segreti, allora ne consegue logicamente che anche il messaggio pubblico (solo grazie ad essi comprensibile e spiegabile) beneficia delle stesse prerogative: la santità positiva (perciò rilevabile) dei ragazzi diviene la garanzia prima della verità dell’apparizione. Giudicare l’evento de La Salette significa giudicare la santità di Massimino e Melania, presupposta e resa visibile dai segreti. Ed è per questo che l’analisi dei segreti, o meglio, del segreto di Melania cammina di pari passo con l’esplorazione di questa santità. Accogliere La Salette significa, di fatto, accogliere Melania: lei, con Massimino in posizione subordinata, è il vero segno dell’apparizione, la vera grazia donata alla Chiesa. Il volume si presenta quindi come applicazione precisa ed esatta dell’ermeneutica propria del modello della “suite mariofanica”.
[97]Citato in J. Berthier, Notre Dame de La Salette, son apparition, son culte, Victor Palmé, Paris 1872, capitolo V.
[98]H. Multon, Le discours sur l’apocalypse dans les années 1870: une réponse aux malheurs des temps, in F. Angelier – C. Langlois [dir], La Salette. Apocalypse, pèlerinage et littérature (1856-1996),  cit., 75-76.
[99]Riportato in J. Berthier, Notre Dame de La Salette, son apparition, son culte, cit.,  capitolo VI.
[100]Per il tema delle crociate come chiave di lettura delle correnti spirituali e religiose, si veda A. Dupront, Le mythe de croisade, 4 Voll., Gallimard, Paris 1998.
[101]Riportato in J. Berthier, Notre Dame de La Salette, son apparition, son culte, cit., capitolo V.
[102]Ibidem, capitolo VI.
[103]Riportato in Comte Lafond, La Salette, Lourdes, Pontmain, voyage d’un croyant, Bray et Retaux, Paris 1872, Annesso.
[104]M. Calvat,L'apparition de la Très-sainte Vierge sur la montagne de La Salette, Litografia EditriceSalentina, Lecce 1879, riportato in P. Sardone [dir], Melania Calvat. Corps 1831- Altamura 1904, Grafica & Stampa Altamura, Altamura 2004, 100.
[105]Si noti che in questo testo di Melania ritorna la figura del serpente, ma significativamente rovesciata rispetto all’uso che ne aveva fatto Mons. De Bruillard: lì era la rilettura giovannea del serpente esodico, quindi una immagine con un valore altamente positivo e funzionale alla sottolineatura della riconciliazione possibile, in controtendenza rispetto alla sensibilità riparatrice. Qui invece essa è la ripresa combinata di Genesi ed Apocalisse, quindi una immagine con un valore altamente negativo e funzionale alla sottolineatura di un castigo inevitabile, perfettamente in linea con la visione tendenzialmente negativa della storia tipica del movimento riparatore. Si tratta di un rovesciamento difficilmente casuale.
[106]Come fondatore, Mons. De Bruillard è colui che riceve «un doppio dono: il primo lo rende capace di creare una famiglia evangelica nella chiesa; il secondo li orienta verso un genere di vita e un servizio nella comunità. Il primo è loro come persone; il secondo lo condivideranno con i membri del loro gruppo e sarà per questo carisma dell’istituto», J. M. L. Nieto, Fondatore, in A. A. Rodriguez – J. M. Canals Casas [dir], Dizionario Teologico della vita consacrata, Ancora, Milano 1994, 758-759. Mons. De Bruillard ha ricevuto il dono personale di creare una famiglia evangelica nella chiesa: il cuore della sua ispirazione è l’uomo apostolico, l’uomo segnato dall’apostolato. E’ questa insistenza sostanziale ed essenziale sulla vita apostolica che lo spinge a dare vita a una comunità evangelica: tale comunità è una “famiglia evangelica” nella chiesa proprio per la sua dedizione essenziale alla vita apostolica. Mons. De Bruillard ha ricevuto anche il dono dell’orientamento verso un genere di vita e un servizio nella comunità. Questo genere di vita e il servizio nella comunità sono condensati nell’apparizione. E’ l’apparizione a determinare il genere di vita e il servizio della comunità. L’apparizione è il carisma proprio di quel che diventerà in seguito la Congregazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette.
[107]«The founding of the Congregation can be seen as the crowning point of the Bishop’s whole pastoral response to the Apparition. He had been investigating, meditating and promoting the Apparition. He had seen the center of pilgrimage grow and pilgrims coming from his diocese, from all over France, for all of Europe. He had officially declared the Apparition as authentic; approved devotion to Our Lady of La Salette; allowed La Salette to be preached and the consequences of the message to be spelled out. He was convinced that La Salette was a great gift to the Church and meant to endure and be passed on. The erection of the Shrine would assure some permanence, but the Bishop felt there was something more needed. He needed men who were going to preach the message -- men to be called and sent -- real apostles and missionaries. And this is why he called together his band of priests. He wanted to share with them his convictions about the Apparition and his awareness of the spiritual fruit produced from it. His conviction of the grace of La Salette was transmitted to these men […] by the very title he gave them -- Missionaries of Our Lady of La Salette. This title gave them the Apparition of La Salette as their heritage and indicated to them that the apparition was their charism, the source of their inspiration, their book of life», E. Barrette, A Search Into The Origins And Evolution Of The Charism Of The Missionaries Of Our Lady Of La Salette, Pontificia UniversitàGregoriana, Roma 19762, Edizione su supporto digitale priva di impaginazione.
[108]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 276.
[109]P. Lécrivain, L’eucarestia nel XVIII secolo, in M. Brouard [dir], Eucaristia. Enciclopedia dell’Eucarestia, cit., 281.
[110]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 275.
[111]J. Comby, L’eucarestia nel XIX secolo, cit., 313; la citazione è tratta da J. Gaume, La profanation du dimanche, considérée du point de vue de la religion, de la société, de la famille, du bien-être, de la dignité humaine et de la société, Gaume frères, Paris 1850.
[112]J. Comby, L’eucarestia nel XIX secolo, cit., 303;J. Leflon, Storia della Chiesa. Restaurazione e crisi liberale, cit., 900-903.1031-1032. La Jaricot avrà contatti anche con Pierre-Julien Eymard, figura di spicco della seconda ondata del movimento riparatore in Francia e della spiritualità eucaristica ad esso collegata: si veda ancora J. Comby, L’eucarestia nel XIX secolo, cit., 315-316.
[113]Ph. De Bruillard, Project de regle pour la commounauté des pretres de Notre Dame de La Salette, cit., 4.
[114]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 274.275.
[115]Ph. De Bruillard, Project de regle pour la commounauté des pretres de Notre Dame de La Salette, cit., 3. E più avanti, Mons. De Bruillard scrive: «Sebbene gli associati non facciano voto di povertà […] essi si impegneranno a riempirsi dello spirito di povertà evangelica; così nella loro camera, nei loro mobili, nei loro vestiti, nel loro presentarsi, essi si allontaneranno dallo spirito del mondo e mostreranno la semplicità e la povertà che convengono ad uomini apostolici», Ibidem, 6.
[116]Lo storico Hilaire Multon osserva a questo proposito: «Il clero cattolico fa risuonare nei suoi sermoni la paura della “fine dei tempi”, considerata come imminente. Si costruisce così l’immagine di un Dio giudice, vendicatore, che ha castigato Parigi, “nuova Babilonia”, di un Dio di cui bisogna attirare la compassione con l’espiazione e la penitenza collettiva. In altri termini, il cattolicesimo si serve di questa crisi, nata dalla sconfitta [Rivoluzione del 1789 ecc.], per offrire una risposta cristiana alla crisi d’identità della Francia postrivoluzionaria», H. Multon, Le discours sur l’apocalypse dans les années 1870: une réponse aux malheurs des temps, cit.,65.
[117]F. Marxer, L’eucarestia nel XVII secolo, in M. Brouard [dir], Eucaristia. Enciclopedia dell’Eucarestia, cit., 262-263; le citazioni nel testo sono tratte da H. Brémond, Histoire littéraire du sentiment religieux en France, Vol.IX, Bloud et Gay, Paris 1932, 208.209.213.
[118]J. Stern, La Salette. Documentsauthentiques, Vol.III, cit., 3-137.
[119]M. Calvat,L'apparition de la Très-sainte Vierge sur la montagne de La Salette, cit., 103; R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 38.46.53.64.67.75.77.78.79.80.81.82.97.102.106.107.119.122. 144.159.161.163.177.187.190.
[120]J. Comby, L’eucarestia nel XIX secolo, cit., 316.318. Il magistero ecclesiale avrebbe poi affermato nel 1928: «Lo spirito di espiazione e di riparazione ha sempre occupato il primo e più importante posto nel culto reso al cuore di Gesù», Pio XI, Lettera enciclica “Miserentissimus Redemptor”, in Acta Apostolicae Sedis 20 (1928), 165-178.
[121]Nell’evento de La Salette ci sarebbe, secondo C. Guillet, un fondo escatologico che sembra «essere sfuggito ai prelati che ebbero nelle loro mani le prime relazioni dell’avvenimento», Mons. De Bruillard ed anche Mons. Ginoulhiac. Il messaggio attribuito a Maria immergerebbe così «nelle radici inconfessabili del cristianesimo: l’arcaico spirito escatologico che, nel corso dei secoli, i membri del clero si erano impegnati a rimuovere», C. Guillet, La rumeur de Dieu. Apparitions, prophéties et miracles sous la Restauration, cit., 179. Ma c’è da chiedersi se una simile osservazione non vada piuttosto applicata alla querelle dei segreti e al segreto di Melania in particolare, proprio in quello che li rende differenti dalla realtà dell’apparizione.
[122]M. Calvat,L'apparition de la Très-sainte Vierge sur la montagne de La Salette, cit., 103-104.
[123]Ibidem, cit., 99-100.
[124]H. Multon, Le discours sur l’apocalypse dans les années 1870: une réponse aux malheurs des temps, cit., 77.79 ;  H. De  Lubac, La postérité spirituelle de Joachim de Flore, 2 Voll., Lethielleux – Culture et vérité, Paris – Namur 1979-1981; Vol.II, 1987; J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, cit., 252-253.
[125]H. Multon, Le discours sur l’apocalypse dans les années 1870: une réponse aux malheurs des temps, cit.,67.66.
[126]Il testo è riportato da J. Comby, L’eucarestia nel XIX secolo, cit., 319.320.
[127]Ibidem, 318.320.
[128]«Di qui un atteggiamento di rifiuto, che irrigidiva le opposte posizioni e rinfocolava i contrasti; di qui l’alleanza tra il potere spirituale e quello temporale, sottoposti al medesimo attacco, e il ricorso ai metodi autoritari: anzi era proprio all’abbandono di questi metodi che si attribuivano tutte le nefaste conseguenze provocate dagli ideali liberali, primo fra tutti il rovesciamento dell’ordine del “buon tempo antico”, quando il trono e l’altare erano uniti per il maggior vantaggio reciproco; di qui una mentalità che giustamente è stata definita “da stato d’assedio”, nella quale è facile ravvisare tutti gli elementi che una forma mentis di tal genere comporta: un costante stato di allarme, una posizione essenzialmente difensiva e statica, senza possibilità di manovra», J. Leflon, Storia della Chiesa. Restaurazione e crisi liberale, cit., 493.
[129]H. Multon, Le discours sur l’apocalypse dans les années 1870: une réponse aux malheurs des temps, cit., 71.73.
[130]J. Leflon, Storia della Chiesa. Restaurazione e crisi liberale, cit., 950.
[131]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 240.
[132]Ibidem, 232-233.
[133]Ibidem, cit., 233.
[134]Ibidem, cit., 238; la citazione ivi riportata è tratta da J. D’Hulst, Mélanges théologiques, Vol.I, Poussièlgue, Paris 1909, 317-318; S. De Fiores, Apparizioni, cit., 37-46.
[135]Si tratta peraltro dell’assenso relativo alle varie manifestazioni di quella che si può chiamare tout court esperienza cristiana.
[136]È stato già sottolineato nei paragrafi precedenti come l’allusione scritturistica sia una caratteristica del modo di procedere di Mons. De Bruillard davanti all’apparizione proprio nei suoi documenti-atti ufficiali davanti ad essa.
[137]Ci sia permesso notare come in questa sua metodologia di approccio Mons. De Bruillard sia in controtendenza rispetto al ruolo e all’uso ordinario della Scrittura all’interno della teologia del suo tempo. Inoltre è davvero sorprendente la vitalità intellettuale di un uomo che, come ricordava il Cardinale De Bonald, aveva ottantasei anni e pertanto poteva essere sospettato (come lo fu e continua ad esserlo) di non avere né la lucidità né la forza di affrontare un evento così a rischio come un’apparizione.
[138]E’ importante qui non confondere i diversi piani storici: se l’esegesi contemporanea si mostra sostanzialmente unita nel considerare le lettere pastorali come espressione dell’eredità dell’apostolo e non come sua opera diretta, questo non si può dire dell’epoca di Mons. De Bruillard, in cui la diretta paternità paolina delle pastorali è un dato di fatto indiscutibile. Questa distinzione permette di comprendere il legame istituito da Mons. De Bruillard tra le lettere ai Corinzi e la seconda lettera a Timoteo: esse funzionano come esperienza di un unico autore (Paolo) capace di illuminare l’attualità. Non deve comunque essere dimenticato che l’approccio alla Scrittura non viene regolato esclusivamente dall’esegesi storico-critica.
[139]Il forte cristocentrismo è, come già rilevato, un tratto caratteristico della spiritualità di Mons. De Bruillard: si veda  J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 53.
[140]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 233-234.
[141]Una parte dell’esegesi contemporanea parla a questo proposito del tema della “visita” di Dio al suo popolo: la Scrittura annuncia le diverse “visite” di Dio nel mondo e nella comunità dei credenti. Si veda J. P. Prévost, La “visita” di Dio secondo il libro della Sapienza, in Parola Spirito e Vita 8 (1983), 66-75.
[142]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 233.
[143]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 233.
[144]L’eccedenza di questo richiamo operato da Mons. De Bruillard sembra essere confermata anche dalla sua gratuità: si tratta cioè di un dettaglio in più, che può tranquillamente essere soppresso senza alterare l’andamento e il senso del testo. Proprio perché il testo può funzionare benissimo senza di esso, questo dettaglio assume un’importanza del tutto particolare, dal momento che si tratta di un segnale particolare intenzionalmente posto, che chiede di essere notato e interpretato.
[145]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit.,, 234.
[146]Testo chiave per comprendere la risposta di Mons. De Bruillard al fatto de La Salette: vedi sopra il paragrafo 1.3.2
[147]Non si dimentichi che poco prima, Mons. De Bruillard aveva inserito le apparizioni nel quadro della testimonianza scritturistica della potenza di Dio: “il suo braccio non si è raccorciato e la sua potenza è la medesima oggi che nei secoli passati”. L’immagine isaiana (che si ritrova anche nel messaggio de La Salette: “il braccio di mio figlio”) era stata utilizzata da Giovanni Gerson per affermare la permanenza del carisma della profezia nella Chiesa in vista della sua credibilità:A. Romano, Carisma, in A. A. Rodriguez – J. M. Canals Casas [dir], Dizionario Teologico della vita consacrata, cit., 172.
[148]Il richiamo reciproco tra l’opera paolina e l’opera lucana operato da Mons. De Bruillard si innesta sulla naturale presenza dell’apostolo Paolo in entrambi gli scritti.
[149]La posizione di Mons. De Bruillard, nella sua originalità, trova fondamento nei principi canonici enunciati da Prospero Lambertini, papa Benedetto XIV, che nell’opera “Sulla beatificazione e la canonizzazione dei Santi”, al capitolo trentaduesimo, paragrafo dodici, studia la competenza degli Ordinari a giudicare i miracoli. Quello che ai nostri occhi sembra quindi un’associazione discutibile trova in realtà la sua giustificazione nella prassi canonica allora codificata. Questo stesso testo sarà citato da Mons. De Bruillard  nel decreto come una delle fonti su cui egli ha fondato il suo pronunciamento: L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 237. Per uno studio sui miracoli cui Mons. De Bruillard fa riferimento si veda J. Giray, Les miracles de La Salette. Étude historique et critique, 2 Voll., Impr. Saint-Bruno, Grenoble 1921.
[150]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 236.
[151]Sono le osservazioni già rilevate di J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 53.54.
[152]Si ricordi qui come l’approccio di Mons. De Bruillard all’apparizione sia segnato da una dimensione fortemente centrifuga: si veda il paragrafo 1.3.1. Va poi ribadito che queste dimensioni cristologiche ed ecclesiologiche si staccano decisamente dall’orizzonte tipico del movimento riparatore, manifestando una originalità degna di nota.
[153]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 234-235. Il luogo dell’apparizione è situato su una cima alpina, a 1.800 metri di altezza, luogo molto ben difficilmente raggiungibile all’epoca. Si veda V. Bettega – R. Reymond, La grande aventure du pèlerinage de La Salette de 1846 à nos jours, Dardelet, Grenoble 1984. Tenendo conto della situazione culturale e teologica di allora, questo “protagonismo” della folla rilevato e accolto da Mons. De Bruillard rimanda a quello che sarà poi riscoperto nel Concilio Vaticano II, ossia il carisma battesimale del sensus fidelium: «Nel delicato processo di discernimento ecclesiale, sovente il popolo di Dio, che pur possiede uno straordinario intuito battesimale che sa discernere in ordine alla vera fede (sensus fidelium), viene emarginato, o non sufficientemente reso compartecipe del processo di verifica, che vede giustamente il protagonismo e la responsabilità del vescovo diocesano coadiuvato dagli esperti, chierici e laici, talvolta anche studiosi non credenti, ma che non coinvolge come sarebbe auspicabile il popolo cristiano, sovente diviso tra entusiasmo e indifferenza. Eppure, dalla storia delle manifestazioni straordinarie “emerge l’importanza del concorso del popolo nel discernere i segni di Dio e nel creare luoghi di culto. Senza tale sensibilità popolare ‘le apparizioni sarebbero nate-morte, e la Chiesa vi avrebbe perso molto’ [R. Laurentin]” (S. De Fiores, Maria Madre di Gesù. Sintesi storico-salvifica, cit., 359-360) […] Siamo allo stesso tempo consapevoli che i placita fidelium, ossia il “gusto dei fedeli”, non vanno confusi con il sensus fidelium, carisma battesimale che non va, a sua volta, separato dal consensus Ecclesiae, costituito, come ha insegnato la costituzione dogmatica Ineffabilis Deus, dal “singolare consenso dei vescovi e dei fedeli” (Pio IX, Ineffabilis Deus, bolla dogmatica dell’8 dicembre 1854, in Pii IX Pontificis Maximi Acta, Romae, I, 615), dalla liturgia, dalle istituzioni ecclesiali e dalle altre espressioni della genuina Paradosis Ecclesiae», S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 90-91.92; si veda anche J. Stern, Discernement en matière d’apparitions et communion ecclésiale. Un cas significatif: La Salette, cit., 420-426.
[154]«Come la volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama mondo, così la sua intenzione è la salvezza dell’uomo, ed essa si chiama Chiesa», Clemente d’Alessandria, Pedagogus, 1, 6, riportato in Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 760.
[155]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit, 236.
[156]Ibidem, 238-240.
[157]In una lettera del primo settembre 1852 di Mons. De Bruillard al cardinale Segretario di Stato e Prefetto della Congregazione dei Riti, Luigi Lambruschini, si legge: «il Fatto de La Salette [è] così consolante, così pieno di avvenire, di una autenticità così incontestabile e appartiene più all’universo cattolico che alla mia diocesi», testo in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 304-305.
[158]Questo dinamismo ecclesiogenetico posto da Mons. De Bruillard a fondamento della verità dell’apparizione rettifica in profondità una prospettiva generale adottata da molti e che può essere così espressa: «La Salette dai due volti. La Salette tra istituzione e contestazione […] La Salette al di là di se stessa, esempio delle tensioni che attraversano lo stesso cattolicesimo. Quest’ultimo è a suo agio con le peregrinazioni, con lo spostamento stagionale delle folle che si spostano e si agglomerano nelle migliaia di pellegrinaggi mariani presenti in Francia. Che in questo paesaggio largamente diversificato si edifichi un nuovo santuario, fondato su un’apparizione – probabile o certa – non commuove in modo particolare, al contrario: Maria è il sacramento dell’ubiquità cattolica ma anche l’espressione continuamente rinnovata di dispensare i favori del Cielo attraverso miracoli e guarigioni dei corpi e delle anime. Ma la Chiesa cattolica non sa che farsene di parole ricevute come delle rivelazioni, di sospette confidenze del Cielo, di segreti confidati ad una sola persona e mormorati da molti: ella diffida di quello che si dice e di colei che lo dice, della parola e del testimone. Ma lascia fare, più spesso tollera – e talora vieta -, permettendo così ai cattolici di vivere queste parole erranti e perciò sospette e giudicando dopotutto l’albero dai suoi frutti, vale a dire convertiti celebri o eventualmente celebrati»,F. Angelier – C. Langlois, Avant-propos, cit., 13.
[159]Il potersi appropriare di un discorso implica la possibilità di conoscere ed adoperare le regole che stanno alla base della sua formulazione, regole socialmente costruite e condivise. Queste regole non rimandano solamente ad una dimensione astratta, costituita dalla pura interazione reciproca dei segni linguistici intesi come un sistema chiuso e totalmente autoreferenziale, ma hanno una dimensione concreta, perché rimandano all’esperienza della coscienza incarnata nel mondo e nella storia. Utilizzare queste regole significa allora situare sé stessi in rapporto all’alterità del mondo e della storia: in altre parole, il loro utilizzo permette di costruire la propria identità come movimento e solidarietà relazionale. È quanto il filosofo Ludwig Wittgenstein chiama “gioco linguistico”: L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1976, nn.7.83.68.70.71.31.66.67.204.492.108.125.205.567. Si veda A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 62-69.
[160]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 232. La formulazione del decreto rende problematicoquantoaffermato da R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit.,a pagina 147, e che cioè la Vergine abbia di fatto affidato lo stesso segreto ai ragazzi, anche se secondo una percezione e una prospettiva differenti. Sembra che questa idea serva solamente a giustificare in maniera logica e soddisfacente la tesi della preminenza di Melania nei confronti di Massimino, preminenza che è funzionale alle affermazioni degli autori e alle tesi che vogliono portare avanti.
[161]Quello di Mons. De Bruillard è un metodo seguito più tardi da Mons. Laurence, vescovo di Tarbes, nel dichiarare autentiche le apparizioni di Lourdes a Bernadette Soubirous: per un esame dei due decreti di approvazione e delle loro somiglianze strutturali si veda L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 444-450.
[162]A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette. Significatoe attualità, cit., 142-163.
[163]Uno spazio che alcuni ritengono fosse stato chiuso dal Sant’Uffizio con due suoi pronunciamenti di condanna, precisamente del 21 dicembre 1915 e del 9 maggio 1923; ma in realtà, si trattava della condanna degli scritti contenenti il segreto di Melania: si vedano i testi in L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 439-441.
[164]Per rendersi conto di questo, basta effettuare una semplicissima ricerca in internet con un qualsiasi motore di ricerca, digitando “La Salette”: il risultato è davvero impressionante.
[165]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 232.236-237.
[166]Talmente valida e talmente assoluta che, come ribadito più di una volta, lo stesso Mons. De Bruillard non ritiene i segreti né il centro dell’apparizione né tantomeno il criterio ermeneutico di essa. Non concedendo ai segreti alcun posto nella definizione dei fini spirituali dell’apparizione, Mons. De Bruillard afferma implicitamente che essi debbono rimanere tali, cioè segreti, non conoscibili, per poter apprezzare la verità e la validità di quanto accaduto il 19 settembre 1846. Invece, «dopo La Salette, ma soprattutto dopo Fatima, il segreto è parte integrante, quasi obbligatoria, di ogni apparizione degna di questo nome (ricordiamo il segreto, personale, che Bernardette ha ricevuto a Lourdes) […] È importante sottolineare anche la differenza strutturale che esiste tra i segreti confidati ai ragazzi de La Salette e quello (in tre parti) che è comunicato ai ragazzi di Fatima: i primi sembrano distaccati dal corpo del messaggio e costituire degli elementi autonomi, mentre invece il segreto di Fatima […] si inscrive nel corpo del messaggio: quest’ultimo senza il segreto sembra realmente interrotto, troncato, come è sottolineato dalla costruzione del testo», J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., p.44.
[167]Vedi il paragrafo 1.2.
[168]J. Stern, Mgr Ginoulhiac, La Salette et le prophétisme populaire, cit., 250; L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 204-212.
[169]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit. Il volume si presenta come un estratto della tesi dottorale sostenuta con successo dal Corteville presso l’Angelicum di Roma, di cui un primo riassunto si può trovare in M. Corteville, La “grande nouvelle” des Bergers de La Salette: le plus grand amour, les plus fortes expressions.  I. L'apparition et les secrets, Téqui, Paris 2001.
[170]J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., 44.
[171]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 32.88.89.90.92.95.96.107.113.152.158.
[172]Si vedano, ad esempio, le cosiddette profezie di Don Bosco o di San Domenico Savio: Ibidem, 32.152. Lascia comunque molto perplessi la tipologia di santità portata avanti dagli autori nel libro. Essa è infatti completamente modellata su questa visione oracolare, laddove santità e verità degli oracoli sembrano richiamarsi a vicenda in maniera quasi necessaria, in modo che al santo spetti una parola definitiva, che deve sicuramente accadere e avvenire: Ibidem, 104.146.152. È in questo quadro che si inserisce la descrizione della santità di Melania: Ibidem, 86.87.92.95.96.
[173]Ibidem, 44. Si vedano ulteriormente 10.11.38.45.46.145.155.
[174]Ibidem, 38.
[175]Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione “Dei Verbum”, n.2, in Enchiridion Vaticanum, Vol.1, Edizioni Dehoniane, Bologna 198112, 489-491.
[176]«Il termine tradizione contiene sia un aspetto attivo, l’atto del tramandare, sia un aspetto passivo, il tramandato, il traditum. Ambedue gli aspetti sono in rapporto reciproco e si richiamano a vicenda. L’atto del tramandare va definito come un processo comunicativo diacronico a cui partecipano costitutivamente il tradente, il ricevente e il traditum [corsivo nostro]. La tradizione si dilata in dottrina, riti, usanze, norme, racconti e costituisce ciò che di solito è detto cultura. La tradizione è per sua natura legata all’articolazione linguistica», R. Kampling, Tradizione, in P. Eicher [dir], Enciclopedia Teologica, Queriniana, Brescia 1989, 1116. Si vedano anche W. Kasper, Dogma/Sviluppo dei dogmi, Ibidem, 215-228; S. Wiedenhofer, Rivelazione, Ibidem, 904-916.
[177]Di fatto, si tratta della non sovrapponibilità tra depositum fidei e rivelazioni private: essa non vuol dire perciò separazione, ma relazione ordinata nella differenza, capace di assumere le specificità e il valore assiologico proprio ad entrambe. Gli autori sarebbero stati più chiari se avessero parlato della “visione” come di una possibile forma di comunicazione della rivelazione, indagandone le relazioni con la tradizione, senza invece sovrapporle l’una all’altra.
[178]Come già richiamato, la (tragica) richiesta (senza ulteriori specificazioni o notazioni) di mettere per iscritto i segreti sembra ragionevolmente supporre che i ragazzi, raccontando quanto era loro avvenuto il 19 settembre 1846 sulla montagna de La Salette, abbiano comunque indotto chi li ascoltava a pensare che questi segreti avessero una connotazione linguistica e non iconica: erano parole che, al pari del resto del messaggio, potevano essere scritte. Sono quindi i ragazzi stessi, con la loro invariata e perseverante testimonianza, a rendere problematica una concezione dei segreti in quanto visione: essi non devono dire quanto hanno ascoltato, piuttosto che tacere quanto hanno visto.
[179]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 46-49.
[180]Ibidem, 50-65.
[181]S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 176. 
[182]V. Macca – M. Caprioli, Comunicazioni mistiche, in E. Ancilli [dir], Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, Vol.I, Città Nuova, Roma 1990, 576-581; Id., Fenomeni straordinari, in Id.,Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, Vol.II, Città Nuova, Roma 1990, 1002-1011; G. Helewa, Profeti, in Id.,Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, Vol.III, Città Nuova, Roma 1990, 2037-2050; H. Zirker, Forme linguistiche della fede, in P. Eicher [dir], Enciclopedia Teologica, cit., 383-390.
[183]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 44; 10.11.38.45.46.145.155.
[184]Ibidem,12.29.31.36.155.159.
[185]Ibidem, 12.31.32.37.152.153.159.
[186]«In modo generale, i veggenti non discernono bene i piani generali, spesso giustapposti in maniera tipologica, dal momento che nel disegno di Dio, gli avvenimenti storici sono tappe del mistero della salvezza, con strutture analoghe che si corrispondono in periodi diversi», Ibidem, 145.
[187]S. De Fiores, Maria Madre di Gesù. Sintesi storico-salvifica, cit., 356.
[188]Id, Apparizioni, cit., 32.33.
[189]Chi accosta la mariofania de La Salette dall’interno dell’ermeneutica della “suite mariofanica” ritiene invece queste “inversioni” fondate: R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 27.52.57.74.96.112.113.118.187.190. Secondo gli autori, la stessa apparizione diventa una prova dell’unione mistica con il divino vissuta da Melania (e, in modo logicamente subordinato, della medesima unione mistica di Massimino). Ma non solo. Si potrebbe dire che l’unione mistica di Melania è la causa dell’apparizione de La Salette: se Melania non fosse stata la mistica che era fin dalla sua fanciullezza (le stigmate, il “petit frére”, i “fiori per il buon Dio”), l’apparizione non sarebbe potuta avvenire. Siamo quindi un gradino oltre le affermazioni esaminate fin qui: all’interno di questa visione i ragazzi non sono solo, in virtù della loro reale e positiva (tangibile) santità, i veri esegeti e interpreti dell’apparizione; essi non solo ricevono una missione profetica. Ma l’apparizione in realtà serve a svelare Melania e la sua missione. Il fine dell’apparizione diviene Melania: è la Vergine stessa a testimoniare in suo favore e a farsi garante della missione che Melania, in perfetta coscienza e consapevolezza, deve svolgere presso la chiesa e il mondo, attraverso il racconto del segreto da lei ricevuto e la fondazione religiosa la cui regola è ascrivibile sempre alla Vergine. Ma chi sostiene una tale posizione dimentica quanto stabilito dal decreto di approvazione. Inoltre, Mons. De Bruillard ha pensato, voluto e fondato una comunità di sacerdoti che portasse avanti la memoria e la profezia dell’apparizione: è evidente, quindi, che nel suo pensiero e nelle sue intenzioni la memoria e la profezia dell’apparizione non sono legati ai veggenti. E’ proprio questo fatto che lo spinge alla fondazione dei missionari di Nostra Signora de La Salette: essi nascono non come “supplenti qualificati” dei veggenti e di Melania in particolare, ma nascono in ragione della peculiarità dell’evento e del suo carattere geneticamente ecclesiale, che travalica le singole persone dei ragazzi.
[190]Questa incompiutezza linguistica, dipendente non dall’eccedenza di una visione mistica (che non è supportata dal decreto di approvazione né da quanto i ragazzi hanno testimoniato mettendo per iscritto i segreti), quanto piuttosto dalle caratteristiche dell’individualità (l’ingiunzione al silenzio come segno di una parola “per” l’individuo e la sua storia, non “per” gli altri e la loro storia), è alla base del fenomeno della riscrittura progressiva dei segreti: essi non conoscono una sola redazione, ma vengono scritti e riscritti, poiché evolvono con i soggetti che li hanno ricevuti ed è probabilmente solo la morte di essi che ha impedito ancora ulteriori passaggi. Si veda il paragrafo 2.2.1 e quanto R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., scrivono alle pagine 70-72 in relazione a quanto essi chiamano «Confidences sur la fin des temps: l’ “autre secret” de Mélanie?».
[191]S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 176.
[192]In precedenza si era riconosciuto come attraverso il legare insieme “segreto” (letto in prevalenza come annuncio profetico del futuro) con l’esperienza mistica intesa come “visione”, la “suite mariofanica” intercettasse il bisogno reale di riconciliare e di riportare all’unità la dimensione profetica e la dimensione contemplativa nella vita della Chiesa. Allo stesso modo, si può qui riconoscere come attraverso la centralità della proclamazione del “segreto”, la “suite mariofanica” raccolga il bisogno reale di riconciliare la dimensione individuale con la dimensione comunitaria nella Chiesa e nella società, bene espresso dalle parole diS. De Fiores, Apparizioni, cit., 32. Anche qui è però necessaria la verifica se la risposta da essa elaborata sia effettivamente adeguata a tale bisogno.
[193]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 48, riferito in nota a piè di pagina, affinché Massimino scriva il segreto; Ibidem,97, in Inghilterra, affinché Melania scriva il segreto.
[194]Ibidem, 25.
[195]J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., 45-48.
[196]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 238.
[197]In questo va ravvisata una differenza non da poco della prassi ecclesiale rispetto ai modelli euristici e gnoseologici contemporanei, che sono attratti dal modello del “work in progress”, per il quale una valutazione è tanto più attendibile quanto più è formulabile a partire dalla sua capacità di essere contemporanea non alla conclusione di un processo, ma al processo stesso: è la traduzione della preminenza della “verità della storia” sulla “storia della verità”.
[198]Né si potrebbe parlare di un’approvazione parziale, dal momento che è proprio la parzialità ad essere esclusa a priori sia dallo stesso processo valutativo utilizzato dalla Chiesa in genere e dal decreto del vescovo in particolare.
[199]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 38.46.53.64.67.75.77.78.79.80.81.82. 97.102.106.107.119.122.144.159.161. 163.177.187.190.
[200]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 343-396. Si veda l’intero paragrafo 1.1 di questo studio.
[201]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 363.
[202]Ibidem, 366.
[203]Egli, come ampiamente dimostrato in precedenza, non fa nient’altro che ribadire quanto stabilito da Mons. De Bruillard nel decreto di approvazione dell’apparizione.
[204]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 10.11.27.28.30.32.33.45.46. 52.53.57.58.64.74.75.77.78.79.80.81.82.92.95.96.102.104.144.
[205]Ibidem, 27.51.79.119.149.166.170.171.186.
[206]Si è qui in presenza del fenomeno delle “inversioni” precedentemente notato: la costante e paziente testimonianza costituiscono un elemento decisivo per accertare l’attendibilità dei ragazzi. Solo che essa riguarda il messaggio pubblico; e quando viene applicata ai segreti, essa riguarda il rifiuto di farli conoscere e quindi il loro mantenimento come parola non pubblica. L’inversione riguarda appunto questo passaggio dalla relazione essenziale della testimonianza con il discorso pubblico a quella con l’annunzio pubblico dei segreti.
[207]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 27.51.
[208]Ibidem, 119.
[209]Ibidem, 149.
[210]Evidentemente, qui gli autori suppongono la necessità di un legame vitale (quasi un cordone ombelicale) tra l’apparizione e i veggenti, fedeli all’assioma (tipico della “suite mariofanica”) che sono essi gli autentici esegeti/interpreti dell’evento.
[211]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 119.
[212]Ibidem, 186.
[213]J. O. Boudon, L’évêque de La Salette, Monseigneur Bruillard, cit., 59-62.
[214]«Burnoud, the superior, had been working on a rule and saw the taking of vows as a step that would facilitate the approval of his rule. It must be noted that his rule was formed under the influence of a “visionary” of the area, Rosalie Prodell, called “la Solitaire.” Burnoud was also getting nervous because there was tension in the group because of his sister who was at the mountain helping to care for the pilgrims. She looked upon the other missionaries as servants more than as missionaries and took it upon herself to command them and treat them as inferiors. Although she was a dedicated soul, the fathers had no great fondness for “la Grande supérieure” and asked the Bishop to demand her departure. When the Bishop wrote to Burnoud about the matter, Burnoud fired back with a list of conditions which he demanded if he was expected to stay with the missionaries: that his rule be approved, that he be allowed to keep his sister, and that Sibillat be sent  away. The Bishop followed through by assigning Burnoud elsewhere. From the start, therefore, obstacles were put in the path of the faltering steps towards religious life. At  the departure of Burnoud, Chavrier was named superior. His term was a short one, only six months. Chavrier also wanted the society to become a religious congregation with a rule distinctly its own. Strangely enough, the rule Chavrier was proposing also came from a “visionary,” Adele Chevalier, a postulant in a community of religious women who were at La Salette. “She believed that she had received a revelation, and that under the guidance of the Holy Virgin, she had written a rule for the religious women of La Salette and for the Missionaries.” Chavrier incurred the displeasure of the Bishop when he pronounced that the rule of Adele was a revealed one and that he approved of it. Undoubtedly because of the strange circumstances surrounding these proposed rules, the Bishop became more adamant in not granting his approval and in delaying the granting of vows.In May, 1856, Archier was appointed the new superior. The choice was not well received by the fathers and conditions got worse […] Basically the problem was in the manner that each member perceived the congregation taking. The fathers were actually divided into little camps. Chavrier and Albertin claimed that the Adele rule was revealed and was what the Virgin wanted. Berlioz, remaining faithful to Burnoud’s ideas, said the Virgin’s will was revealed to “la solitaire” and that the Virgin wanted them to follow the rule of the Third Order of Francis. Bossan had his own ideas that he had been nurturing for some time about a congregation to be composed of missionaries, religious women and teaching brothers. The new superior, Archier, displayed the sanest position. He held that the rule would evolve little by little through the cooperation of the Bishop, the Bishop’s vicar, Fr. Orcel, and the missionaries […] Each member, with the best of intentions, was unfortunately tunneled within his own vision. They were individuals obsessed with their own ideas and ideals […] During the fathers’ retreat in Feb., 1857, the Bishop read some ideas from a rule he had been working on at the time. It was not warmly received. In April the Bishop gave Archier a rule to present to the group for consideration. Again the reception was negative. The end result was that their reputation in the eyes of the Bishop was losing its luster […] It had been the Bishop’s desire to stay out of the situation and allow the group to evolve on its own in terms of its vowed commitment  and the definition of the commitment by rule. When it became apparent that this was not going to happen, Bishop Ginoulhiac sent the missionaries a letter on Oct. 8, 1857, calling for a definite decision by the following Feb.2. “I believe that the taking vows for a year would definitely establish the community. These vows are to be taken no later than Feb. 2nd. On the same day [...] the community will be constituted in conformity to the prescriptions of the rule.” He then added a little clout to his message, making his meaning clear. “You are not unaware that there are religious groups who would be happy to be given the work of La Salette. I do not believe that would be the will of God, nor the intention of Mary; nor is it what I want»,E. Barrette,A Search Into The Origins And Evolution Of The Charism Of The Missionaries Of Our Lady Of La Salette, cit.
[215]Ibidem.
[216]Ph. De Bruillard, Project de regle pour la commounauté des prêtres de Notre Dame de La Salette, cit., 4-7.
[217]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 186.
[218]P. Vanzan, Presentazione, in U. Paiola, La Salettein Italia. Storia, arte, grazie, culto e tradizioni, Vol.I, cit., 12. Senza il riconoscimento di questa “povertà radicale” che caratterizza essenzialmente le apparizioni autentiche, si assume una prospettiva che rischia di deformare tutto ciò che incontra: parole, persone, esperienze, simboli vengono “sovraccaricati” di aspettative e di significati che non è detto che essi in realtà abbiano o debbano necessariamente avere. Davanti a questa prospettiva che “sovraccarica” bisogna invece accettare la regola del duplice passo indietro che la “povertà radicale” di un’apparizione autentica richiede: il passo indietro primario dell’apparizione stessa, che anziché annunciare sé stessa o i suoi (veri o presunti) segreti rimanda con la sua stessa struttura comunicativa a Cristo, al suo modo di essere e di comportarsi, alle scelte da lui fatte e riconfermate dalla e nella risurrezione (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, cit., 10); e il conseguente passo indietro di coloro che ne sono i testimoni, che trovano così davanti a sé il percorso che, secondo l’evangelista Giovanni, ha trovato e compiuto il Battista, l’amico dello sposo disposto a diminuire perché lui cresca e riceva la sua sposa. La “povertà radicale” di una mariofania autentica conduce così all’ecclesiogenesi, che manifesta l’unità del Cristo sposo con la Chiesa sua sposa (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 796).
[219]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 25.
[220]Nell’economia di tale modello, il segreto diviene  «un fattore di rilancio, capace di mantenere col fiato sospeso i fedeli fino alla sua divulgazione e/o realizzazione : si pensi ai famosi segreti di Medjugorje, che da ormai quindici anni sono l’elemento motore di un’autentica suspence», J. Bouflet, Portée et signification de l’apparition unique dans l’histoire des mariophanies, cit., 44. Emblematica è la vicenda di Fatima, con le reazioni susseguenti alla divulgazione del cosiddetto terzo segreto.
[221]Per una presentazione della vita di Massimino e Melania si veda U. Paiola, La Salettein Italia. Storia, arte, grazie, culto e tradizioni, Vol.I, cit., 61-85.
[222]Il contrario avviene, invece, con la “visione” nel sistema della “suite mariofanica” fatto proprio dagli autori: di fatto, la “visione” riguarda coloro a cui il mistico viene inviato in missione e la relazione di accettazione-obbedienza che ne scaturisce logicamente. La mariofania raggiunge così il suo fine nel momento in cui la comunità accoglie, accetta il e obbedisce al veggente.
[223]Questa relazione può assumere logicamente diverse forme: consentimento, critica, rifiuto, appoggio, interrogazione, ecc. In quanto ripetibile e condivisibile, essa è aperta ad ogni possibilità.
[224]Melania ha ritrovato una certa serenità una volta venuta a contatto con Sant’Annibale Maria Di Francia: evidentemente l’azione di quest’ultimo ha saputo indirizzarsi proprio su questa ferita insanabile di cui Melania fu solamente vittima; si veda A. Sardone, Una memoria santa. P. Annibale e Melania Calvat veggente de La Salette, Rogazionisti, Roma 2005; P. Vanzan, L’apparizione della Salette, cit., 469-480.
[225]Il testo è riportato inL. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 243.
[226]P. Vanzan, Presentazione, in U. Paiola, La Salettein Italia. Storia, arte, grazie, culto e tradizioni, Vol.I, cit., 12-13.
[227]«Pur importante, il criterio della santità ci conferma che la stessa santità del soggetto-veggente non può garantire l’autenticità della manifestazione straordinaria [corsivo nostro], dato che la “rivelazione privata non è gratia gratum faciens relativa alla santificazione di una persona, ma gratia gratis data per l’utilità della Chiesa e non in funzione della persona” (A. Suh, Le rivelazioni private nella vita della Chiesa, cit., 259). D’altra parte nemmeno la beatificazione o la canonizzazione del veggente comporta automaticamente [corsivo nostro] il riconoscimento giuridico dell’autenticità del fenomeno straordinario da lui asserito, in quanto, osserva il Suh, sono sempre “possibili illusioni e errori anche in persone di alta santità. Non è escluso perciò che alcuni santi si ingannino, anche se i casi di errore non sono frequenti. A volte Dio concede benefici straordinari a persone indegne, come è accaduto a Paolo, persecutore dei cristiani prima della sua conversione. Ordinariamente però i doni straordinari sono concessi agli uomini giusti e umili, benché la santità non sia, in senso stretto, una condizione indispensabile per ricevere la rivelazione [corsivo nostro] (Ibidem, 260)», S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 108-109.
[228]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 124-130, rilevano nelle testimonianze a favore di Melania da parte del mondo intellettuale francese una ulteriore prova della loro tesi relativa alla santità di Melania e al complotto ordito contro di lei per evitare l’annuncio e la testimonianza del segreto. In realtà questa attenzione a Melania deriva dalla volontà di porre a fondamento della Francia non la cultura nata con la Rivoluzione, ma la cultura rurale: essa è la cultura dei poveri, dei senza voce, e per questo è la cultura dei mistici fondatori della nazione, come Giovanna d’Arco (Ibidem, 35.41). Ad esempio, «quando Léon Bloy muore, nel 1917, dieci anni dopo Huysmans, La Salette è divenuta per lui l’infuocata griglia attraverso cui decrittare tutti gli avvenimenti contemporanei, ciò che dà senso a tutte le presenti sofferenze della Francia dimentica di Maria. Come si può notare, per Bloy La Salette […] il segno più grande, la matrice interpretativa di ogni periodo storico. Gli avvenimenti si valutano e si calcolano in rapporto a La Salette che diviene, per questo, la Chiave della storia umana», F. Angelier, Les écrivains de La Salette: Huysmans, Bloy, Claudel, cit., 189.
[229]Il riferimento non è rivolto solamente a quella parte di tradizione centrata su Melania e il suo segreto, ma anche all’altra parte di tradizione che, per esaltare la specificità del messaggio pubblico, ha ridotto i ragazzi ad un mezzo estrinseco, utilizzato da Dio al pari di un oggetto. Aver trascurato tutta la realtà personale e teologale di Massimino e Melania non ha reso un servizio di giustizia e di gratitudine alla loro memoria. Entrambe le tradizioni, ciascuna a suo modo, si richiamano (chi in positivo, chi, specularmente, in negativo) a Mons. Ginoulhiac per giustificare le loro asserzioni e prese di posizione. Ma tale richiamo, in sé, è arbitrario e ingiustificato.
[230]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 361-362.365.366.
[231]«Se dopo una rivelazione la santità del soggetto progredisce, la sua origine divina è più attendibile»,A. Suh, Le rivelazioni private nella vita della Chiesa, cit., 260. Nel decreto si legge: «Ci si sbaglierebbe egualmente nel pensare che è dal carattere morale dei ragazzi all’epoca dell’apparizione che si induce in maniera principale la prova della sua realtà. I diversi autori che hanno scritto su questa materia la evincono dall’impossibilità nella quale si trovavano allora i ragazzi, di essere stati gli inventori, le vittime o i complici di una messinscena», L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 361.
[232]Sono molte le testimonianze che mostrano quanto Melania sia stata maltrattata e che vengono addotte per dimostrare che la tesi dell’ “oggetto di culto”  recepita (o volutamente costruita, secondo alcuni) dal decreto di Mons. Ginoulhiac è semplicemente infondata e gratuita.
[233]I veggenti erano divenuti «popolari» al punto tale di essere «qualche volta venerati (non senza rischi)»: R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 51.
[234]Ancora una volta è significativa la posizione del cardinale De Bonald, che in una lettera a Dom Prosper Gueranger, considerato l’iniziatore del movimento liturgico francese, datata 15 novembre 1852, scrive: «Io ho scritto più volte al mio suffraganeo. Gli ho ricordato inutilmente tutte le regole della Chiesa sull’esame dei fatti miracolosi. Tutto si basa su due ragazzi [corsivo nostro] […] Tutto questo è causa di molte afflizioni. Ecco, reverendo padre, quel che io posso dirvi su La Salette», testo riportato inL. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 307. Si può avvertire in queste parole tutto il disprezzo e la sfiducia di un nobile doppiamente toccato nella sua visione del mondo: un contadino con la mitra e due ragazzi ignoranti e semianalfabeti che si oppongono al suo giudizio e alla sua autorità ecclesiale di primate di Francia.
[235]J. P. Laurent, L’apocalypse des occultistes, cit. 81-88.
[236]«I veggenti hanno dunque patito entrambi attacchi di alcuni chierici che il segreto non aveva forse torto di biasimare. Attacchi di questo genere sono frequenti. Più vicino a noi, il vescovo di Padre Pio (oggi santo) indirizzava al Vaticano le accuse più nere contro di lui. Questo vescovo passava per una persona assai rispettabile […] Propagata dovunque, la calunnia sui pastori de La Salette, testimoni che hanno vissuto in seno al mondo senza poter realizzare la loro vocazione, e spesso soli (a differenza dei veggenti di Lourdes o di Rue du Bac, così nascosti nei loro conventi), è stata perpetuata fino ai nostri giorni», R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 107.È difficile condividere l’idea che Mons. Ginoulhiac rappresenti il prototipo di quel clero pesantemente condannato dal segreto di Melania.
[237]La Chiesa, infatti, non può mai essere ridotta ad una delle sue molteplici dimensioni, ma essa è popolo di Dio esattamente nella sua totalità: «la Chiesa è il popolo di Dio perché a lui piacque santificare e salvare gli uomini non isolatamente, ma costituendoli in un solo popolo, adunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo [E come totalità adempie alla sua missione:] essendo “convocazione” di tutti gli uomini alla salvezza, la Chiesa è missionaria per sua natura, inviata da Cristo a tutti i popoli, per farli discepoli […] Essere il sacramento dell’intima unione degli uomini con Dio: ecco il primo fine della Chiesa. Poiché la comunione tra gli uomini si radica nell’unione con Dio, la Chiesa è anche il sacramento dell’unità del genere umano. In essa tale unità è già iniziata poiché essa raduna uomini “di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9); nello stesso tempo la Chiesa è “segno e strumento” della piena realizzazione di questa unità che deve ancora compiersi […] In quanto sacramento, la Chiesa è strumento di Cristo […] attraverso il quale il Cristo “svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo” (Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 45). Essa “è il progetto visibile dell’amore di Dio per l’umanità” (Paolo VI, Discorso del 23 giugno 1973), progetto che vuole “la costituzione di tutto il genere umano nell’unico Popolo di Dio, la sua riunione nell’unico Corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo” (Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 7; cf. Id., Lumen gentium, 17)», Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 767.775-776. Inoltre, come ulteriore ponte ermeneutico con l’oggi, bisogna tenere presente che a livello psicologico l’“oggetto di culto” non si costruisce solo in maniera positiva (come assume il testo di Mons. Ginoulhiac dalla sua prospettiva parziale storicamente accertata), ma anche in negativo, attraverso processi che comportano l’instaurazione di relazioni violente. Se tutto l’ambiente lancia a un soggetto un messaggio di riconoscimento legandolo all’osservanza di determinate condizioni da parte del soggetto stesso, quest’ultimo, per arginare la violenza che subisce (la violenza sta nella mancata accettazione del soggetto per quello che è, ma nella sua riduzione a quello che si pensa egli debba essere e nell’impostare la relazione su tale riduzione, ossia su un binario fusionale dove non esistono confini tra comunità ed individuo), ha di fronte a sé la fluttuazione tra la conformazione al giudizio dell’ambiente e la chiusura in sé stesso quale unica istanza di verità. Probabilmente Melania ha vissuto, nel corso della sua vita, una simile fluttuazione e ciò implica che sia stata resa “oggetto di culto” soprattutto (e purtroppo) all’interno delle dolorose esperienze che ha dovuto subire. Ma questa è una realtà che Mons. Ginoulhiac non era in grado di comprendere mancando sia degli adeguati strumenti di conoscenza che di uno sguardo critico sull’operato della gerarchia ecclesiastica in quanto tale in merito alla pretesa di conoscere i segreti.
[238]A. Suh, Le rivelazioni private nella vita della Chiesa, cit., 257. Agli occhi di entrambi i vescovi di Grenoble, sia Massimino che Melania non sono dei ragazzi “patologici”. Mons. De Bruillard, rilevando nel decreto di approvazione il loro “naturale candore” e la loro “ignoranza”, offre una specie di merisma (la natura e la cultura come espressioni della individualità) in cui nulla fa supporre che esistano dei problemi particolari di personalità. Mons. Ginoulhiac, davanti alla crisi di credibilità dell’apparizione e dei suoi testimoni, richiamandosi a quanto già accertato da Mons. De Bruillard, in relazione a Melania parla di “attaccamento al proprio sentire” e delle “singolarità” che ne costituiscono “il naturale seguito”, insieme all’esigenza della “preservazione dalle illusioni della vita interiore”: egli descrive dei passaggi obbligati all’interno della maturazione di una esperienza spirituale sana, non patologica, ossia l’esperienza di una persona sana che si trova in una situazione di pericolo, ossia nella “crisi” in genere incontrata dalle “anime favorite da doni straordinari”.
[239]A. Suh, Le rivelazioni private nella vita della Chiesa, cit., 258.
[240]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 232.
[241]Ibidem, 366.
[242]Si vedano i paragrafi 3.2 e 3.2.1.
[243]Questo non vuol dire che i segreti non significhino niente per chi cerca di comprendere la vita e l’esperienza di Massimino e soprattutto di Melania. Al contrario data la loro importanza nella vita dei due veggenti, che da essi è stata segnata in modo indelebile, è necessario accostarli all’interno di una metodologia che sia insieme adeguata e rispettosa della loro storia.
[244]A. Suh, Le rivelazioni private nella vita della Chiesa, cit., 259.
[245]U. Paiola, La Salettein Italia. Storia, arte, grazie, culto e tradizioni, Vol.I, cit., 74.84-85.«Lo sviluppo spirituale presenta delle somiglianze assai strette con quello psicologico al riguardo di alcune modalità. Esso non è una traiettoria uniforme, da un punto iniziale a quello terminale, a ritmo costante. È anzitutto e principalmente un processo “continuo” e “discontinuo”, cioè con cambiamenti quantitativi e qualitativi. L’organismo in crescita è per necessità in uno stadio di equilibrio instabile e oscillante; lo sviluppo quindi è un processo di instabilità formativa combinata con un movimento progressivo verso la stabilità. L’immagine dello sviluppo a spirale rende meglio l’esperienza della della progressiva trasformazione in Cristo; non è un movimento lineare semplice ma composto, per processi continuo e discontinuo. Ha un aspetto di cambiamento quantitativo, come l’esercizio e l’accumulo di azioni virtuose, la scoperta e la sottolineatura nel vissuto di realtà teologali diverse; presenta un cambiamento qualitativo in quanto pur operandosi sulle stesse realtà sostanziali (“conoscere Cristo, pregare, soffrire, amare, servire nella Chiesa, conoscere la grandezza e la povertà dell’uomo”), la fase seguente, strutturalmente, ingloba la precedente attuando così partecipazione e approfondimento maggiore; privilegiando nuovi modi di essere e sentire nel rapporto con Dio, con diversa accentuazione di campi spirituali […] Infine rileviamo come il primo momento di una data fase consista nel raccogliere, con un moto che appare regressivo, i punti stabili acquisiti della fase precedente. Questo fatto, da non assimilare ad un regresso effettivo nella evoluzione spirituale, giustifica la difficoltà a distinguere nettamente le fasi, e illumina anche quell’esperienza frequente in cui la persona continua a maturare, pur vivendo un clima spirituale deteriorato, presa da problemi psicologici […] Attribuire importanza autonoma alla conoscenza di sé e del mondo è sottolineare un altro aspetto della discontinuità fra la vita infantile, “personalità emotiva”, cioè chiusa nella sua emotività, e quella adulta adulta, “personalità conoscente”, aperta ai problemi generali della realtà e dell’esistenza. La dimensione emotiva e l’inconscio come suo “luogo” sono elementi che affermano la “continuità” della crescita: il tono affettivo di base, acquisito nelle prime esperienze familiari, tende a permeare nell’arco vitale e a condizionare la libertà o la coazione nell’accostare la realtà […] L’itinerario spirituale ha certamente a che fare con le caratteristiche emotive della singola persona, controllando le reazioni eccessive, sostenendo lo sforzo a far prevalere le emozioni positive, intervenendo a modificare quei sentimenti negativi, sfiducia, disistima, ostilità, ecc., che hanno radici lontane nel tempo ma colorano di se stessi la vita attuale, la vita di relazione, anche con Dio», C. Becattini, Crescita psicologica e crescita spirituale, in E. Ancilli [dir], Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, Vol.I, cit., 658-659.
[246]P. Vanzan, Presentazione, in U. Paiola, La Salettein Italia. Storia, arte, grazie, culto e tradizioni, Vol.I, cit., 12.
[247]R. Laurentin – M. Corteville, Découverte du secret de La Salette, cit., 119.186.
[248]A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette.Significatoe attualità, cit., 62-99.
[249]«Considerata nel suo significato più denso (quello relativo al momento cultuale), l’atteggiamento del partner umano che confessa il Signore non è mai una contemplazione delle idee pure in Dio; al contrario, è sempre una proclamazione esistenziale della superiorità assoluta dell’altro, la quale emerge dal suo confronto, gioioso e a un tempo sofferto, con la nostra umanità necessariamente permeata di infedeltà e di peccato. Anche quando l’Israele presente confessa le proprie colpe e le colpe dei padri, il termine ultimo della confessione rimane quel Signore cui solo compete di ristabilire il partner umano in una relazione di alleanza perennemente nuova», C. Giraudo, Confessare il Signore: la preghiera penitenziale di Ne 9, inParola Spirito e Vita 3 (1981), 36.
[250]All’interno della struttura retorica propria della controversia bilaterale, «l’ascolto di cui parla la profezia è allora il ricordare una parola che in precedenza non si è accettata, non si è capita [è quanto fa a La Salette Massimino]. Da questo punto di vista, l’accogliere la Parola di Dio è entrare nella comprensione di tutta la propria storia, fatta di peccato, di sofferenza, di morte ed infine di perdono», P. Bovati, La dottrina dell’ascolto nell’Antico Testamento, in Dizionario di Spiritualità Biblico Patristica 5 (1993), 51.
[251]A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette.Significatoe attualità, cit., 91.92-93.
[252]Per permettere la comprensione del discorso, riportiamo per esteso il brano del messaggio de La Salette cui si sta facendo riferimento: «Avete mai visto del grano guasto figli miei? No, Signora, rispondono. Allora la donna si rivolge a Massimino: Ma tu, figlio mio, lo devi aver visto una volta con tuo padre, verso la terra di Coin. Il padrone del campo disse a tuo padre di andare a vedere il suo grano guasto. Vi andaste tutti e due, prendeste in mano due o tre spighe, le stropicciaste e tutto cadde in polvere. Al ritorno, quando eravate a mezz’ora da Corps, tuo padre ti diede un pezzo di pane dicendoti: “Prendi, figlio mio, mangia ancora del pane quest’anno, perché non so chi ne mangerà l’anno prossimo, se il grano continua in questo modo”. Oh, sì, Signora, ora ricordo: prima non me lo ricordavo, risponde Massimino», A. Avitabile – G. M. Roggio, La Salette.Significatoe attualità, cit., 27-28.
[253]«Il cristiano resta legato alla terra, anche e proprio perché vuole arrivare a Dio […] È solamente attraverso le profondità della nostra terra, solamente attraverso le tempeste di una coscienza di uomo che lo sguardo si apre sull’eternità […] L’uomo che vuole lasciare la terra, l’uomo che vuole uscire dalla pesantezza del presente, perde la forza che lo fa rimanere in piedi per mezzo delle potenze eternamente misteriose. La terra rimane nostra madre, come Dio rimane nostro Padre e l’unico che rimane fedele alla madre; sarà la terra a rimettere il cristiano nelle mani del Padre. Ecco il Cantico dei Cantici proprio del cristiano, che sale a partire dalla terra e dalla sua angoscia», D. Bonhoeffer, Gesammelte Schriften, Vol.III, Kaiser, München 1961, 57-58.
[254]A. Avitabile – G. M. Roggio – I. A. Perin, Bellezza e solidarietà. La spiritualità dell’apparizione di Maria a La Salette, cit., 143-145.
[255]Ibidem, 151-152.153.
[256]«In realtà, intorno alle prime eresie dell’epoca post-apostolica e alla crisi montanista del II secolo, inizia una chiara eclissi del fattore carisma, che percorrerà la storia della Chiesa fino al Vaticano II, eccetto qualche sporadico interesse per i fenomeni di risveglio intrecciati nella variegata vita ecclesiale […] In realtà, dopo Agostino, i Padri latini si rifanno spesso alla dottrina della cessazione dei carismi del Crisostomo, fondandosi sulle sue stesse ragioni; mentre la posizione di Agostino, secondo cui la santità della Chiesa ha preso il posto dei carismi, sarà fatta propria per essere definita al Vaticano I dal cardinale Deschamps, arcivescovo di Malines […] In questo XX secolo il teologo che ha maggiormente influito sulla riabilitazione dei carismi, favorendone una più proficua attenzione nella teologia e nella rinnovata visione misterica e sacramentale della Chiesa, è stato indubbiamente K. Rahner. Sul piano prettamente magisteriale il riferimento fondamentale è da attribuirsi a Pio XII, il quale con la sua dottrina, oltre che cogliere la varietà e la molteplicità dei carismi, li ha inseriti positivamente all’interno di una rinnovata prospettiva ecclesiale e cristologico-pneumatica del Corpo di Cristo. La tesi di K. Rahner è molto esplicita su questo punto: l’elemento carismatico non è al margine della Chiesa, ma appartiene altrettanto necessariamente alla sua essenza, come i ministeri e i sacramenti. L’unica differenza sta nel fatto che il carisma, appartenendo alla libera e imprevedibile azione dello Spirito, emerge nella storia in forme sempre nuove e, quindi, tutta la Chiesa deve rendersi accogliente in maniera sempre nuova. Al ministero gerarchico, in particolare, incombe il delicato compito di esaminare e coltivare questi doni dello Spirito secondo l’originale identità per la quale sono stati donati nel seno del popolo di Dio», A. Romano, Carisma, in A. A. Rodriguez – J. M. Canals Casas [dir], Dizionario Teologico della vita consacrata, cit., 171-172.175.
[257]Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, cit., 28.30.32. «La rivelazione privata è un aiuto per [… la] fede, e si manifesta credibile proprio perché mi rimanda all’unica rivelazione pubblica», J. Ratzinger, Commento teologico, cit., 48. In questo orizzonte si può inserire la spiegazione delle apparizioni mariane offerta da Hans Urs Von Balthasar: «Chi si meraviglia […] non ha capito chi è veramente Maria. Ella è il prototipo della Chiesa, la Chiesa nella sua forma più pura, la Chiesa come dovrebbe essere o (poiché siamo tutti peccatori) come dovrebbe cercare di essere. Maria non è una persona privata. Ella è, si potrebbe dire, una persona universale […] quale Serva del Signore che si può a tutto adoperare. Ella è ora disponibile anche per il Figlio suo, per mostrare ai cristiani ciò che la Chiesa è in realtà – e dovrebbe essere. Proprio perché ella è la perfetta umile, non ha alcun timore nel rimandare a se stessa, nell’apparire con un rosario, nel fungere da intermediaria al Figlio. Tutto in lei è grazia, perché dovrebbe esitare a presentare al mondo questo miracolo di Dio, fare ammirare non già se stessa ma manifestare la potenza di Dio e del proprio Figlio? La parola “rivelazione privata” non è molto felice. Essa è giustificata se si considera che oltre alla parola di Dio nel Nuovo Testamento non c’è da aspettarsi per il mondo nessuna rivelazione del Dio uno e trino. Ma l’abbiamo compresa nella sua profondità e pienezza? Non abbiamo bisogno sempre di nuove spiegazioni per capire ciò che in essa è contenuto in profondità di grazia ma anche in richiesta di grazia? In che misura ne siamo assorbiti? E chi sarebbe più competente a darci questa mai conclusa spiegazione se non la Ecclesiaimmacolata?», H. U. Von Balthasar, Aprite i cuori all’Immacolata, ecco appare la Madre di Dio, in Il Sabato del 3-9 dicembre 1983, 19.
[258]Dopo il Concilio di Trento, «la teologia allarga il concetto dei carismi oltre i limiti della Chiesa primitiva e li definisce “gratiae gratis datae”, doni eccezionali e straordinari che Dio concede a qualche cristiano non per il suo bene personale, bensì per il bene della Chiesa intera […] San Roberto Bellarmino (1542-1621) sostiene che nella Chiesa sono sempre necessari alcuni miracoli e afferma che la “gratia gratis data” è un dono offerto da Dio per la salvezza degli altri. È una definizione abbastanza precisa, ma non ci dice nulla riguardo alla sua permanenza nella Chiesa, anche se ciò sembra piuttosto sottinteso (R.Bellarmino, Opera Omnia, Tomo IV, Napoli 1858, 272; Id., Opera oratoria postuma, Vol.V, Roma 1944, 222). Francesco Suarez (1548-1617) afferma in modo molto felice che i carismi sono doni offerti alla Chiesa in maniera permanente, anche se non abituale; e che quindi, anche quando mancano, essi sono “in corpore Ecclesiae”, pronti ad essere attivati quando servono per il bene della Chiesa. In particolare sottolinea i carismi delle guarigioni e dei miracoli (F. Suarez, Opera Omnia, Vol.VII, Paris 1857, 154-168) […] Giovanni Maldonado (1534-1583) sostiene che i miracoli sono fenomeni straordinari, che cessano quando cessa il fine per il quale sono stati donati (ad esempio per propagare e confermare la fede), ma non li crede totalmente estinti nel suo tempo, anche se rari», A. Romano, Carisma, cit., 173.
[259]Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 758-760. La vocazione al “servizio” costitutiva di un carisma manifesta una duplice relatività relazionale: al Cristo e alla Chiesa; ecco perché, quando autentico, il carisma non si sostituisce né all’uno né all’altra: «il loro ruolo non è quello di “migliorare” o di “completare” la Rivelazione definitiva di Cristo […] Cristo e la Chiesa formano […] il “Cristo totale”», Ibidem, 67.795.
[260]Tommaso «specifica che la gratia gratis data è “potius ad iustificationem alterius cooperetur”, distinguendo da una parte la gratia “gratum faciens”, il dono personale ed esclusivo che santifica la persona destinataria del dono; e dall’altra la grazia “gratis data”, che non si distingue per la sua gratuità, bensì per la specifica utilità di edificazione generale del Corpo Mistico. I carismi, per lui, continuano ad essere segni di credibilità della Chiesa e quindi è lecito pensare che debbano accompagnarla in tutta la sua storia. In particolare crede nella permanenza della profezia (Summa Theologiae Ia-IIae, q. 68, 70, 111, 1; IIa-IIae, q. 171-178)»,A. Romano, Carisma, cit. 172-173.
[261]«Considerando, in primo luogo, l’impossibilità in cui ci troviamo di spiegare il fatto de La Salette in maniera altra rispetto all’intervento divino, qualunque modalità trovassimo, sia nelle sue circostanze, sia nella sua finalità essenzialmente religiosa; considerando, in secondo luogo, che ciò che di meraviglioso è seguito al fatto de La Salette è la testimonianza di Dio stesso, che si manifesta attraverso i miracoli, e che questa testimonianza è superiore a quella degli uomini e alle loro obiezioni; considerando che questi due motivi, presi separatamente e a più forte ragione riuniti insieme, devono dominare tutta la questione e togliere ogni specie di valore alle pretese e alle supposizioni contrarie di cui noi dichiariamo di avere una perfetta conoscenza […] Noi enunciamo quel che segue”, L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 240.
[262]Oltre alla paura dell’inganno, si ha l’impressione che il carisma, quale è un’apparizione, venga confuso con i talenti dei testimoni. I carismi «possono essere passeggeri o permanenti, ordinari o straordinari, secondo la missione e il servizio per il quale sono stati donati e offerti ai fedeli di ogni ordine e grado, che si rendono docili alle mozioni dello Spirito. Si distinguono nettamente dai talenti. Infatti, mentre questi ultimi sono semplicemente doti naturali inerenti alla natura stessa dell’uomo, i carismi sono doni soprannaturali elargiti dalla amorevole liberalità di Dio […] Sono doni trasmessi unicamente dallo Spirito e destinati a tutto il popolo battezzato e credente, dopo la resurrezione e ascensione di Cristo al cielo, affinché tutti possano raggiungere pienamente la sua statura e maturità», A. Romano, Carisma, cit. 171.
[263]L. Bassette, Le fait de La Salette, cit., 222-269.
[264]Ne siano esempio le ecclesiologie elaborate dai Concili Vaticano I e II.
[265]È questo un equivoco che potrebbe essere suscitato dalla polemica con il cardinale De Bonald e dai suoi nefasti effetti, primo fra tutti, l’estorsione violenta e ingannevole dei segreti a Massimino e Melania. Va peraltro riconosciuto che proprio l’estorsione dei segreti costituisce ciò che non può essere ricevuto oggi a livello di metodologia ermeneutica, non solo per ragioni deontologiche ma soprattutto per una ragione ecclesiologica, mirabilmente espressa nel pensiero e nei documenti sia del Concilio Vaticano II che degli ultimi Vescovi di Roma.
[266]C. M. Boff, Mariologia sociale, Queriniana, Brescia 2007, 574-690.
[267]Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., 800.
[268]«L’autorità delle rivelazioni private è essenzialmente diversa dall’unica Rivelazione pubblica: questa esige la fede; in essa infatti per mezzo delle parole umane e della mediazione della comunità vivente della Chiesa Dio stesso parla a noi. La fede in Dio e nella sua Parola si distingue da ogni altra fede, fiducia, opinione umana. La certezza che Dio mi parla mi dà la sicurezza che incontro la verità stessa e così una certezza che non può verificarsi in nessuna forma umana di conoscenza. È la certezza sulla quale edifico la mia vita e alla quale mi affido morendo», J. Ratzinger, Commento teologico, cit., 48. «È assai importante su questo versante ricordare come la genuina fede cristiana è fondata sulla divina Rivelazione di Dio in Gesù Cristo, evento salvifico costituito da parole e segni che va accolto, celebrato e vissuto nella fede ecclesiale e personale. Sul piano del discernimento teologico e pastorale, inoltre, va ribadito che la Rivelazione pubblica, intesa come evento storico dell’autocomunicazione dell’Unitrino (cfr. Dei Verbum 2; 4), svoltosi economicamente sia nel “tempo della promessa” veterotestamentaria di Israele, sia nel “tempo del compimento” neotestamentario di Gesù e degli Apostoli, è al tempo stesso rivelazione cosmica, storica ed escatologica, per cui ad essa spetta un primato assiologico e un’adesione teologale indubitabile e inflessibile: è stata data una volta per tutte propter nos homines et propter nostram salutem (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn.50-73)»,S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 68-69.
[269]«Il cardinale Prospero Lambertini, arcivescovo di Bologna, futuro Benedetto XIV (1740-1758), nel XVIII secolo ha spiegato il valore teologico, giuridico e vincolante della “approvazione ecclesiastica” concessa per le apparizioni, visioni e rivelazioni. Il Lambertini, bisogna riconoscerlo, ha indirizzato anche la funzione del magistero in questo campo […] Tale regola dettata dalla sapienza teologica, giuridica e pastorale del cardinale Prospero Lambertini, vale sostanzialmente anche oggi», S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 82.84.
[270]P. Lambertini, Opus de servorum Dei beatificazione, liber II, caput 32, n.11, riportato Ibidem, 83.
[271]S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 72-73.
[272]K. Rahner, Visioni e profezie. Mistica ed esperienza della trascendenza, cit., 47.130. Egli si situa nel solco della tradizione gesuita, che già con Suarez e Bellarmino aveva affermato la necessità della fede teologale di fronte a qualunque cosa Dio riveli, dal momento che la ragione (motivo) della fede è l’autorità di Dio che si rivela: S. De Fiores, Apparizioni, cit., 23. Pur condividendo con Rahner che lo scopo o senso delle rivelazioni private sta, come già Tommaso d’Aquino pensava, nel fatto di essere direttive divine relative alla condotta degli uomini, L. Volken assume una posizione più sfumata: non si può intendere il giudizio della Chiesa come atteggiamento solo permissivo, e presenta l’assenso ad esse come un atto «di fede umana “comandato” (imperatus) dalla prudenza e corroborato dai motivi della virtù della pietà»,L. Volken, Le rivelazioni nella Chiesa, cit., 222.
[273]S. M. Perrella, Le apparizioni mariane. Dono per la fede e sfida per la ragione, cit., 175-194. Nelle apparizioni autentiche, la Chiesa ritrova se stessa e la sua missione, dal momento che tra Maria e la Chiesa esiste una relazione vocazionale strettissima: il protagonismo di Maria infatti consiste nel rilanciare con forza l’identità e la missione della Chiesa. «Il Concilio ha affrontato anche la delicata questione della “collaborazione” della Madre all’opera messianica del Figlio e della sua funzione salvifica subordinata ma efficace. Nell’ottica della teologia narrativa, anche tali funzioni vengono colte nella loro radice essenzialmente “esperienziale”, del “vissuto” di fede di Maria, in modo che la loro singolarità appare sempre relazionata sia all’unicità del mistero di Cristo, come “una forma particolare dell’essere-in-Cristo”, sia alla vita della Chiesa, nell’ordine simbolico proprio di una mariologia ecclesiotipica. In tal modo la Vergine appare come uno “specchio” che riflette il volto della sposa di Cristo, e nel quale la sposa-comunità contempla il suo mistero e il suo futuro eterno. Nella Madre di Gesù, infatti, questo nesso ecclesiologico fondamentale acquista una particolare rilevanza iconica, in cui si disvela pienamente, insegna il Concilio, il volto della Chiesa […] Sulla scia propulsiva avviata dal Vaticano II si sono incamminate anche la riflessione teologica, la prassi liturgica e la pastorale riguardanti la Madre del Signore (persona, evento, ruolo e significato): ella viene sempre scrutata, celebrata ed esperita quale presenza escatologica efficace ed operosa, secondo il disegno provvidente di Dio, all’interno del mysterium historiae, del mysterium ecclesiae, del mysterium hominis», Id., Ecco tua madre. La Madre di Gesù nel magistero di Giovanni Paolo II e nell’oggi della Chiesa e del mondo, cit., 78-79.81; A. Avitabile – G. M. Roggio – I. A. Perin, Bellezza e solidarietà. La spiritualità dell’apparizione di Maria a La Salette, cit., 31-43.
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